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 2015  giugno 28 Domenica calendario

NUOVE TECNOLOGIE E DIALOGO SOCIALE: LA DOPPIA APERTURA DELLA RICETTA PIRELLI

I cinesi di Chemchina entrano nel capitale di Pirelli. E per Pirelli si apre l’«era globale» nella quale sono entrati, o stanno entrando, a vario titolo e con una varietà di posizioni, imprese che vanno dalla Fiat, unitasi a Chrysler, a Prada, quotata a Hong Kong; dalle banche italiane in cui entra in maniera consistente il capitale estero, ai consistenti accordi di Finmeccanica con partner asiatici. È questo, quindi, il momento di una riflessione sul futuro imprenditoriale del Paese, riflessione che è pressoché assente non solo dal dibattito politico e anche da quello intellettuale.
Per riflettere sul futuro è opportuno conoscere il passato. È pertanto molto utile il saggio Pirelli. Innovazione e passione. 1872-2015 (pp. 838, euro 42), edito dal Mulino e scritto da Carlo Bellavite Pellegrini, professore di Finanza aziendale all’Università Cattolica di Milano, autore, nel 2013, di un’importante monografia sulle vicende che hanno portato alla costituzione di Intesa Sanpaolo. Entrambi i lavori si distinguono per l’attenzione all’organizzazione giuridico-contabile, alla finanza, alla «governance».
La Pirelli venne fondata nel 1872 da Giovanni Battista Pirelli, un ingegnere di 23 anni (l’Italia di quel tempo offriva evidentemente ai giovani maggiori occasioni di intraprendere che l’Italia di oggi) che era stato un giovanissimo garibaldino e aveva partecipato alla Terza Guerra d’Indipendenza. Cinquant’anni più tardi, la società fu quotata in Borsa. Oggi il suo fatturato, di oltre 6 miliardi di euro, ne fa il quinto produttore mondiale di pneumatici, prevalentemente di qualità media e alta, con una presenza produttiva in una ventina di paesi e organizzazioni di vendita in quasi tutto il mondo.
CON GLI AGNELLI E GLI OLIVETTI
Con gli Agnelli e gli Olivetti, i Pirelli fecero parte del gruppo, relativamente piccolo, di industriali italiani che avevano forte interesse per le nuove tecnologie, grande apertura, anche culturale, sull’estero, e almeno una certa disponibilità al dialogo sociale. Tutti e tre crebbero fortemente, a partire dal secondo dopoguerra, con novità produttive rivolte al grande pubblico europeo: per la Pirelli vanno ricordati il «cinturato» e il «ribassato», pneumatici fortemente innovativi che la proiettarono nella competizione mondiale.
Per gli italiani, i successi industriali e commerciali in questa competizione si accompagnarono a difficoltà strategiche. L’Olivetti comprò la statunitense Underwood nel 1960 ma scoprì che dietro al grande nome si celavano tecnologie antiquate; nel 1968 la Fiat acquisì un’importante partecipazione nella francese Citroën ma dovette disfarsene per l’opposizione del generale De Gaulle. Pirelli arrivò a un passo dal diventare azionista di maggioranza dell’inglese Dunlop ma esitò di fronte a un mercato finanziario molto più sofisticato di quello italiano. Successivamente tentò di acquisire, senza successo, il controllo o la fusione con varie imprese straniere di primo piano, tra cui in particolare la tedesca Continental.
Tre costanti sembrano caratterizzare i quasi 150 anni di vita della Pirelli. La prima è una cultura aziendale costruita come una sorta di patto implicito: ampia autonomia ai dirigenti e investimenti adeguati a loro disposizione, in cambio di profitti soddisfacenti. Anche per questo, le maggioranze di controllo della Pirelli non furono mai molto «pesanti» e il saggio di Bellavite Pellegrini presenta anche approfondimenti preziosi sull’elaborata architettura finanziaria del gruppo, capace di reinventarsi per adattarsi a nuove situazioni.
IL FATTORE PASSIONE
La seconda costante, corollario della prima, è una grande attenzione alle tecnologie e alle svolte tecnologiche nelle quali cogliere lo spazio per crescita e profitti. Pirelli nacque come produttore di cinghie di trasmissione e simili e entrò al momento giusto – ossia a fine Ottocento, quando nascevano auto e biciclette – nel mercato degli pneumatici dove introdusse innovazioni fondamentali. Poi riportò una parte della sua attenzione ai cavi, da quelli normali a quelli a fibra ottica. Il suo interesse per Telecom è frutto anche di queste conoscenze tecnologiche e così si spiega pure l’attenzione per ciò che i cavi trasportano, come i programmi televisivi.
Si può probabilmente concludere che l’uscita dal settore cavi ebbe, come corollario, anche l’uscita da Telecom nel 2007, con una nuova concentrazione della Pirelli sugli pneumatici, i suoi prodotti più tipici, nel frattempo tecnologicamente avanzati; l’entrata dei cinesi pare rivolta ad assicurare sia capitali per gli investimenti sia gli sbocchi di mercato per questi prodotti.
Innovazione, quindi, condita con molta passione (la terza costante). Il titolo del libro è una buona sintesi di alcuni aspetti salienti della Pirelli, e non solo: si tratta di condizioni necessarie, anche se non purtroppo non sufficienti, per una vera rinascita industriale dell’Italia.
mario.deaglio@libero.it
Mario Deaglio, La Stampa 28/6/2015