Claudio Ghisalberti, La Gazzetta dello Sport 28/6/2015, 28 giugno 2015
NIBALI SCACCIA GLI INCUBI
Undici mesi dopo Hautacam, Vincenzo Nibali torna ad alzare le braccia al cielo. Il 24 luglio scorso era la 18a tappa del Tour de France, ultimo sigillo prima della consacrazione in giallo sui Campi Elisi. Ieri, davanti alla basilica di Superga, la sofferta impresa con la quale lo Squalo si conferma campione d’Italia. Un trionfo che lo sblocca emotivamente, che scioglie la tensione. Così, dopo il traguardo, le lacrime e le gocce di sudore si mescolano sul suo viso. Vincenzo fa tenerezza. Eppure lui è un gigante del ciclismo, capace di conquistare Giro, Tour e Vuelta. Ma Nibali è soprattutto un uomo capace di affrontare la vita come le corse, a testa alta e con il cuore in mano. «Le vittorie non hanno senso se non danno emozioni», è un suo motto. E ieri, nel tratto finale del Tricolore con la doppia ascesa a Superga, lo Squalo ha saputo colpire ancora una volta al cuore.
La sua vigilia non era stata semplice. Venerdì aveva confidato le preoccupazioni e, con onestà, gli errori che hanno portato, inutile negarlo, a una mancanza di risultati: «Soprattutto, ho sbagliato inverno. Troppi impegni, non ho riposato a sufficienza e questo ha fatto sì che non sono mai riuscito a trovare una condizione soddisfacente». Ma dietro la grande tensione non c’è solo questo. Vincenzo nei mesi scorsi ci ha messo la faccia più volte per difendere la sua Astana dagli attacchi dell’Uci. Brian Cookson, il presidente della Federciclo mondiale, per due volte aveva chiesto che il team fosse messo al bando per i casi di doping 2014. E lì Nibali, da capitano, ha schierato la sua credibilità. E ha vinto la partita. Alla vigilia del Tricolore, invece, Vincenzo s’è sentito tradito da un suo uomo. Proprio questo aveva fatto traboccare il vaso. Così Nibali s’è presentato al via di Legnano teso come mai s’era visto. Pochi minuti prima del via, la gente gli chiedeva autografi e lui, invece di avviarsi verso lo schieramento, ha scosso la testa: «Meglio vada a fare un giro». Dietrofront e via alla chetichella per lasciare allentare un po’ i nervi. Dopo la vittoria invece, seduto nella tenda-spogliatoio mentre Michele Pallini lo coccola, è un altro. Un lungo sospiro. Poi un sorriso e una strizzata d’occhio accompagnano la stretta di mano: «Ci voleva. Ti sono piaciuto?».
Vincenzo, da dove ricominciamo?
«Dal fatto che sapevo di avere lavorato bene come negli ultimi 7 anni e che questo lavoro paga. Però ero bloccato dalla paura di perdere e di sbagliare. Nei primi chilometri avevo un peso sullo stomaco come se non avessi digerito».
Che differenza con la vittoria dello scorso anno?
«Sono diverse. Lo scorso anno c’era più rabbia, stavolta più consapevolezza. Al Delfinato mi è mancata la continuità a sopportare la fatica e ho anche fatto qualche errore che mi ha reso ancora più nervoso. Quando ha vinto Rui Costa forse dovevo aspettarlo. Comunque in montagna ho recuperato le forze. Questa vittoria ci voleva, mi fa bene. È una liberazione anche dalla tanta pressione che mi sentivo addosso».
Tensioni che si ripercuotevano anche a casa? Chi è come marito e padre Vincenzo Nibali?
«Sono me stesso: sereno, tranquillo, giocherellone».
Vincenzo, come è stata la corsa?
«Un grande lavoro l’ha fatto Agnoli. Era da tanto che non correvo con lui e sono particolarmente felice. Sapete che tra noi c’è un feeling particolare. Poi io ho cercato di fare un grande ritmo già dal primo Superga. Reda e Ulissi hanno fatto una grande prestazione. Diego è un amico, ma in corsa ci siamo scambiati solo occhiatacce. Ho fatto di tutto per farlo fuori e non portarlo allo sprint».
Sensazioni?
«Finalmente buone anche se in avvio ho sofferto un po’ il caldo. Sul San Pellegrino c’erano 15 gradi, qui 35. Il fisico ci ha messo un pochino a trovare i giusti adattamenti».
Che valore ha questa maglia?
«Enorme, soprattutto se la devi portare 25 giorni al Tour. L’idea di piegarla e metterla in un cassetto non mi piaceva troppo».
Il Tour scatta sabato 4 luglio da Utrecht, in Olanda: come stanno i rivali?
«Li avete visti anche voi. Froome al Delfinato ha impressionato in salita. Quintana, però, per me è il più pericoloso. Contador stanco? Non saprei. Ci vuole la stagione perfetta, però la doppietta si può tentare e lui ne ha le capacità».
I momenti chiave?
«Quelli della prima settimana che si preannuncia molto stressante, pericolosa. E se al Tour parto bene...».
Al quarto giorno, a Cambrai, c’è la tappa del pavé, quindi terreno favorevole
«Non lo voglio dire, però forse sì, un piccolo vantaggio lì dovrei averlo. La ricognizione che abbiamo fatto prima delle Ardenne sarà importante».
Venerdì è parso persino troppo amaro e deluso.
«Anche se sembra un gioco di parole, mi fa bene stare male: poi reagisco e rendo di più».
Ma cos’era successo?
«Ero stretto tra un mix di sensazioni, di rabbia e di malumore. È dura stare un anno senza vincere ed essere bersaglio delle critiche. Poi ho avuto anche un problema che non ho mai confessato. Quest’inverno avevo problemi al tendine d’Achille destro, che per fortuna ora ho superato. Comunque venerdì è stato particolare».
Perché?
«Ero molto arrabbiato, e lo sono ancora, con Vanotti. Sa bene quanto ci tenessi a questa gara ma ha preferito non venire a correre. Ha detto che è stanco e che non era in condizione per venire qui a correre. La cosa a me ha dato fastidio».
Ieri nella MotoGp la vittoria di un altro gigante: Valentino Rossi
«Il Dottore è tornato. Campione che ammiro moltissimo. Sono andato un anno al Mugello per vederlo correre, ma lui s’era fatto male il giorno prima. Poi l’ho incontrato in altre occasioni, ma aveva molta gente addosso e ho sempre preferito non disturbarlo. È un grande».