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 2015  giugno 29 Lunedì calendario

WIMBLEDON

& FEDERER –
Un giorno, un tabloid londinese mise in prima pagina una foto del Royal Box di Wimbledon e accanto Roger Federer. E scrisse: se guardate in alto, c’è la nostra storia, ma se guardate verso il campo troverete solo amore. Di giocatori leggendari, sui prati di Church Road, ne sono fioriti tanti, belli e perfetti come le viole del pensiero intonate al bianco, al viola e al lilla del Club di tennis più famoso del mondo. Eppure, solo per il Divino i rispettosi habituées di un torneo che non è un torneo ma un rito laico uguale nei secoli, hanno travolto il protocollo con un culto della personalità che si riserva solo agli immortali, fino a schierarsi tutti compatti da una sola parte: accadde giusto un anno fa, nel romanzo di una finale che Roger perse in cinque set contro Djokovic.
MAI ALTROVE E l’attesa del grande evento, da quel 2012 che sembrò l’apoteosi definitiva del campione più amato di sempre, si respira ancora ad ogni passo, malgrado i sogni Slam di Serena Williams, le velleità di rivincita post-parigina di Novak, le speranze rinforzate del suddito casalingo Murray: la gente vuole l’ottava di Federer. Lo sogna lassù, dove nessuno è mai arrivato, per salutare Sampras e Renshaw, come lui fermi a sette titoli. Soprattutto, la gente sa ed è convinta che il 18° Slam di Roger può maturare solo qui e non altrove. Qui, nel suo giardino, malgrado le 34 primavere che busseranno tra poco più di un mese, malgrado quello di tre anni fa a Wimbledon resti l’unico Major conquistato in un quinquennio, malgrado gli avversari non siano più così ammaliati dalle sue magie.
MAI COSI’ BENE Confortato dalla passione, alla fine pure lui sta cedendo alle lusinghe e già comincia ad avvertire l’ebbrezza di poter salire sull’ottovolante di un mito intramontabile: «Ho vinto il torneo di Halle, mi sono allenato bene qui, credo sia stata la mia miglior preparazione di sempre in avvicinamento al torneo. E anche il fisico è ok». Parole come balsamo, mentre blandisce con un sorriso la diciassettenne promessa americana Taylor Fritz con cui nei giorni scorsi ha palleggiato a lungo («Con quel fisico e quei colpi, ha di certo un futuro») e benedice il calendario che da questa stagione ha allungato di una settimana l’intervallo tra Parigi e Londra: «Sono convinto che molti altri giocatori vi diranno la stessa cosa: avere sette giorni in più per affrontare l’approccio con la superficie cambia decisamente in meglio le prospettive. Finiva il Roland Garros e Wimbledon arrivava subito, quasi senza accorgertene, e ti portavi dietro tanti dubbi anche se magari avevi già giocato uno o due tornei sull’erba. Così invece affronterò la prima partita dopo aver gestito completamente in armonia e senza fretta il mio percorso».
SORPRESA Roger è atterrato da Halle martedì scorso («Aver vinto di nuovo quel torneo mi dà ulteriore slancio»), si è allenato tre giorni e poi sabato ha riposato, godendosi i gemelli e concedendosi una passerella televisiva alla Cnn. Gioca il 63° Major consecutivo e di quel ragazzotto con i brufoli e un improbabile chignon che nel 2001, negli ottavi, pose fine al regno di Sampras, resta soltanto qualche fotografia negli annali. Il fatto è che ad ogni simil-impresa negli Slam di Roger, come l’epilogo fallito su questi prati 12 mesi fa, i più immaginano che non ci sarà posto per altre repliche. E invece questa è la grandezza di Federer, non smettere di sorprendere e sorprendersi: «Non credo che la sconfitta in cinque set dell’anno scorso possa in qualche modo incidere. Feci un gran torneo, ma penso di poter giocare meglio di allora, perché ho più confidenza con la racchetta e meno problemi fisici». Venticinque anni fa, stagione 1990, Edberg, l’uomo che nessuno immaginava coach, vinse l’ultimo dei suoi due Wimbledon. Una doppia festa e qui ci vorranno i fuochi d’artificio.