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 2015  giugno 29 Lunedì calendario

RIVELINO: «E’ SPARITA L’ALLEGRIA E LA TATTICA CI ROVINA» – 

«Estou puto da vida», che tradotto suona più o meno così: «Sono arrabbiato da morire». Chi parla è Roberto Rivelino, 69 anni. Ai più giovani, cui probabilmente questo nome dice poco, consigliamo di aprire il sito di Youtube, digitare «Rivelino», accomodarsi in poltrona e prepararsi a godere quello che è stato uno dei più forti numeri 10 della storia del Brasile. Campione del mondo nel 1970 (allora indossava la maglia numero 11, perché il 10 era sulle spalle di un certo Pelé...), titolare nel 1974 e capitano nel 1978. Mica uno qualsiasi, quindi, e difatti la sua rabbia non è quella di uno qualsiasi, ma di un uomo che per la Seleçao e per il calcio darebbe la vita.
Brasile fuori dalla Coppa America per mano del Paraguay. Che ne dice?
«Incredibile. Anzi: impossibile. Noi siamo sempre stati gli eroi del calcio, noi insegnavamo a tutti a giocare e adesso prendiamo sberle da chiunque. Pazzesco».
Di chi è la colpa?
«Tutto nasce da quella maledetta sconfitta contro la Germania al Mondiale dell’anno scorso. 7-1, ricordate? Noi siamo rimasti a Belo Horizonte, quel risultato ci ha tramortiti».
E’ stato cambiato il c.t., da Scolari a Dunga.
«Ma non è cambiata la mentalità. Scolari pensava prima di tutto a difendersi e Dunga che cosa fa? Mette due mediani incontristi per non prendere gol. Stessa testa, stessi risultati. Non è questa la strada da seguire».
E su che cosa bisognerebbe puntare?
«Sull’allegria, sulla voglia di divertirsi, sul dribbling, sulla poesia. Possibile che io, brasiliano dalla testa ai piedi, non possa vedere un giocatore della mia Nazionale che punta un avversario e lo salta con una finta e con un doppio passo? Ma dove hanno imparato a giocare, questi qui?».
Possibili soluzioni?
«Ne vedo una sola: azzerare completamente la federazione brasiliana, cambiare i dirigenti e riprogrammare tutto. E poi bisogna dire alla gente che ci vuole pazienza, che non si può pretendere di avere subito una squadra di fenomeni: le cose belle si costruiscono anche correggendo gli errori».
Secondo lei, dunque, il calcio brasileiro è stato troppo contaminato da quello europeo.
«Questo è il problema dei problemi. Ai miei tempi non si andava all’estero, oppure erano pochi quelli che ci andavano. Dunque la nostra mentalità restava pura: attaccare, attaccare, attaccare. Pensavamo soltanto a questo. Adesso, invece, tutti i giocatori, o quasi, appartengono a club europei, e quando arrivano in Nazionale portano le loro esperienze, discutono di tattica, si preoccupano di difendere. Non sono più brasiliani, e non sono completamente europei. Alla fine non si sa nemmeno che cosa sono, e difatti vengono eliminati dal Paraguay».
Forse se ci fosse stato Neymar...
«Neymar è un grande, su questo non si discute. Però, nella Seleçao, parlo di tanti anni fa, di Neymar ce n’erano tre o quattro... Questa è la differenza. Nel 1970, in attacco giocavamo io, Jairzinho, Tostao e Pelé. Facevano fatica a portarci via il pallone... Il calcio è tecnica, solo tecnica. Bisogna ripartire da qui».
Provi a fare il c.t.
«Per carità, voglio vivere a lungo... Mi limito a dare un solo consiglio: scegliere i giocatori in base alla qualità, e non guardando i muscoli, e non perdere tempo a parlare di tattica. Ecco la ricetta».

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