Antonella Rampino, La Stampa 29/6/2015, 29 giugno 2015
NAPOLITANO, 90 ANNI DI SOBRIETÀ
«Non compirò i novant’anni al Quirinale», aveva detto sibillino quando ancora ci si chiedeva quando avrebbe dato le dimissioni preannunciate senza data già al momento della rielezione, e interrompendo quella che lui stesso aveva definito «l’eccezionalità del secondo mandato». La data fatidica scocca oggi, il genetliaco verrà onorato con un pranzo in famiglia nell’amatissima casa al rione Monti e poi, alla riapertura del Senato domani, con un brindisi per happy few organizzato dal presidente Grasso.
Ma intanto, tono sobrio dei festeggiamenti a parte, i novant’anni di Giorgio Napolitano sono molto, molto presidenziali. Il regalo più bello, del resto, deve averglielo fatto Henry Kissinger consegnandogli il premio omonimo, una cerimonia per la quale Napolitano non molti giorni fa è volato all’ American Academy di Berlino scortato dal ministro degli Esteri italiano Gentiloni, e dalla titolare delle Riforme Boschi, consentendosi anche lo sfizio di rievocare dettagliatamente in un’intervista l’andamento alterno, ma via via sempre più affettuoso, dei suoi rapporti con il Metternich della politica estera statunitense in base alle dediche sui libri.
Guardando l’agenda di tutto quel che ha fatto il presidente emerito (vera e propria carica istituita per volontà di Cossiga) si potrebbe perfino fare un motto di spirito, nel Paese dei due Papi, il titolare e l’emerito, forse è scontato ci siano anche due presidenti. Ma non si tratta del tempismo con cui ha un incontro privato con Ignazio Marino (il 21, stessa giornata della roboante esternazione antifascista del sindaco alla festa dell’Unità), dell’ovvia competenza con cui interviene in Aula suggerendo la via per la futura Europa o un nuovo ordine mondiale, o della passione con la quale, dalla sua Napoli, bacchetta il governo che trascura il Mezzogiorno e ricorda che sì, magari l’Europa non ci tira più le orecchie, ma l’ingiustizia delle carceri italiane è ancora lì, esattamente come il suo unico messaggio al Parlamento, al quale il Parlamento non ha dato le risposte che lui dettagliatamente chiedeva. Non si tratta nemmeno, purtroppo, delle invettive cui sono soggetti gli emeriti e i senatori a vita da parte di opposizioni di neofiti recalcitranti a un minimo di educazione istituzionale, cosa accaduta l’altro giorno quando Napolitano ha votato a favore della riforma della scuola.
No, il punto è che Napolitano è Napolitano. Il premio più prestigioso, il Leibniz-Ring, lo prese nel 1997, spiccava per lo standing anglo-partenopeo già dai tempi del Congresso di Salerno con Togliatti o in piazza in mezzo a proletari comunisti scamiciati, e in un Paese affollato di gente che straparla di cose che per lo più ignora lui continua a vivisezionare le questioni sin nelle virgole. Al Quirinale o a Palazzo Giustiniani, le cartelline e i dossier che si accumulano, lato destro della scrivania, sono gli stessi. Adesso, magari i tratti del viso sono più distesi, si può andare al cinema o a teatro, la battuta (anche tagliente) è ridiventata pronta. Ha potuto prender le distanze dall’assillo e dal peso del Paese – e in un passaggio dei più difficili in assoluto della storia repubblicana – e può riprendere a guardare col binocolo quella gazzarra che è troppo spesso la politica italiana. Ma è un uomo politico. Tutto quello che è politico è la sua vita. E a Palazzo Giustiniani, come disse di Monti sconsigliandolo dal candidarsi, «si può sempre andare a chiedere un consiglio». Auguri, presidente emerito.
Antonella Rampino, La Stampa 29/6/2015