Wlodekgoldkorn, la Repubblica 29/6/2015, 29 giugno 2015
“IN RUSSIA I ROMANZI AIUTANO A RESISTERE”
[Intervista a Vladimir Sorokin] –
Per Vladimir Sorokin la letteratura è una forma di resistenza. Russo, scrittore tradotto in numerose lingue, Sorokin, quando non è a Berlino, abita in una bella ed elegante dacia che assomiglia alle dimore di narratori celebri delle precedenti generazioni, a Vnukovo, a pochi chilometri da Mosca («ma nella capitale ci vado malvolentieri, è diventata un luogo brutale e privo di anima»). Nello studio dove lavora c’è il ritratto di Lev Tolstoj in vista, ma a differenza del maestro dell’Ottocento, la sua prosa visionaria, fantasiosa, postmoderna, con scene di violenza, sesso, sodomizzazione (per esempio tra Stalin e Krusciov), è lontana da ogni canone di realismo.
I suoi romanzi provocano accuse di pornografia e denigrazione della patria; ed è successo che giovani sostenitori di Putin siano scesi in piazza per chiedere la sua pelle. Vincitore del premio von Rezzori, a Firenze, ospite domani al festival La Milanesiana, il suo più recente libro uscito in italiano è La giornata di un opricnik (editore atmosphere), un racconto, ambientato in una Russia del 2027, dove il potere è in mano a una specie di polizia privata, composta da sadici al servizio di un re. Storicamente, gli opricnik erano uomini armati, fedelissimi allo zar Ivan il Terribile: vestivano di nero, come oggi i militari dell’Is e uccidevano con metodi particolarmente feroci chiunque fosse sospettato di infedeltà al monarca.
«La opricinina, il regime del terrore durò solo sette anni dal 1565 al 1572», spiega Sorokin in questa conversazione, «ma i metodi usati hanno determinato la natura dello Stato russo, per sempre e fino a oggi».
All’Expo di Milano, il padiglione russo presenta un enorme spazio in cui si dice che sul suolo russo esistono tutti gli elementi racchiusi nel sistema periodico di Mendeleev e che il sistema periodico rispecchia a sua volta il suolo russo. La Russia come metafora dell’ordine cosmico: un messaggio che richiama l’ideologia imperiale dell’Ottocento...
«Per quanto riguarda l’impero, quello che sta cercando di costruire Vladimir Putin è un impero di straccioni: un fenomeno pericolosissimo nel XXI secolo».
Perché pericoloso?
«Perché la Russia non è pronta a svolgere un ruolo imperiale. Non lo è, prima di tutto dal punto di vista economico. La nostra agricoltura è a pezzi; e questo in un paese che era il granaio del mondo. E poi, chi dispone di capitale, cerca di spostarlo all’estero. Pochi sono gli imprenditori che si sentono al sicuro. L’origine di tutti i mali è la corruzione dilagante. Se Putin mi ascoltasse, gli direi: non puoi costruire un impero coi ladri. Ma sarebbe un discorso inutile visto che è lo stesso potere a essere corrotto».
Intanto però, la Crimea è stata de facto annessa alla Russia, l’Ucraina soffre. Qualche successo Putin lo ha avuto....
«Davvero? Con l’annessione della Crimea abbiamo perso più di quanto abbiamo guadagnato. Guardi la carta geografica. La Russia è un Paese enorme. Cosa ci ha guadagnato con un pezzettino di territorio come la Crimea? E invece abbiamo perso l’Occidente. Siamo un Paese isolato. Con la questione ucraina nei nostri media si è scatenata una grottesca campagna imperialista. Nella nostra tv si dice che possiamo trasformare l’America in un mucchio di cenere radioattiva. È ridicolo. Ma è anche pericoloso per il potere stesso, perché questo isterismo ha il respiro corto. Il popolo sente le urla, ma la gente vuole vivere tranquillamente e bene. In apparenza, Putin gode di un consenso enorme, ma parlando coi business men noto quanto siano depressi. Non si può fare business senza sapere cosa succede domani. Aggiungo: la Russia non è un paese prevedibile. Nessuno avrebbe previsto la nascita del dissenso negli anni Settanta o la perestrojka di Gorbaciov. Ho l’impressione che oggi ci stiamo risvegliando da una colossale sbronza, la testa fa male e l’animo è inquieto» .
Parliamo dei suoi libri. Quasi tutti presentano una visione dispotica della società: controllo totale, distruzione di legami tra le persone, un futuro nero. La Russia, con Evgenij Zamjatin, scrittore messo al bando dai bolscevichi, nel 1921, per il suo romanzo “Noi”, è la patria della distopia...
«Non mi sono ispirato solo a Zamjatin, anche se lo amo molto. Il mio modello è piuttosto il 1984 di George Orwell. Nel 1979 frequentavo già i circoli del dissenso e mi è stato dato questo libro. Un giorno, me lo sono portato sulla metropolitana. Era l’ora di punta. Stavo in piedi con un libro proibito, aperto e pensavo di essere il protagonista del romanzo che stavo leggendo. Voglio dire: la distopia pone domande su chi siamo oggi, non su come saremo domani. La giornata di un opricnik l’ho scritto nel 2006. Molti, allora, hanno insinuato che quel libro l’avrei concepito in preda al troppo alcol. Oggi, si dice invece ironicamente che al Cremlino lo usano come un manuale, un libro di istruzioni sui metodi con cui mantenere il potere».
Lei il suo primo romanzo “La coda” lo pubblicò a Parigi, nella casa editrice di Sinjavskij, nei primi anno Ottanta. L’intellighenzia, all’epoca, era divisa tra coloro che amavano lo slavofilo Solgenitsyn e i sostenitori del liberale e occidentalista Sinjavskij. In Russia, chi dei due ha vinto? «Solgenitsyn, per ora. Gli piaceva il discorso imperiale. Ha incontrato Putin e non lo ha mai criticato. Ma non ci scordiamo che la rivista che Sinjavskij fondò a Parigi si chiamava Synthaxis . Sintassi e grammatica come fondamento dell’etica e quindi grammatica come resistenza. Ecco, io vedo che molti giovani conoscono a memoria e amano quello straordinario testo di Sinjavskij che è Le passeggiate con Puskin. È un libro in cui lo scrittore auspica uno sguardo irriverente sul nostro poeta nazionale. La propaganda imperiale sta costruendo monumenti a Puskin e Puskin rischia di diventare un idolo. Imperi veri e presunti fanno monumenti per distruggere la poesia. Ma molti giovani, in Sinjavskij hanno trovato un antidoto».
Lei non ha paura?
«Quando cominciai a frequentare i dissidenti, avevo capito che uno scrittore in Russia ha due sole possibilità: avere paura oppure scrivere. Ho quasi 60 anni, non è l’età in cui è dignitoso provare paura».
Wlodekgoldkorn, la Repubblica 29/6/2015