VARIE 28/6/2015, 28 giugno 2015
APPUNTI PER OGGI - ITALIANI E DEFAULT GRECO
DALLA REPUBBLICA DI OGGI
Allarme speculazione interessi più elevati
Nessuno si aspetta di rivedere lo spread a quota 500, ma con ogni probabilità l’ulteriore aggravamento della crisi non passerà indolore sul mercato dei titoli di Stato italiani. «Una volta messa in dubbio l’irreversibilità dell’euro, e direi che a questo punto ci siamo, il contagio è probabile, anche se, come ha promesso, Draghi accentuerà gli acquisti dei titoli nei Paesi “periferici”», spiega Angelo Baglioni, economista della Cattolica. Venerdì lo spread era a 140, cosa dobbiamo aspettarci? «Tutto è possibile. Ovviamente se la conclusione sarà la Grexit, le conseguenze saranno più pesanti. Un aumento di 100 punti base, in un Paese che ha 2000 miliardi di debito, vale 20 miliardi. Visto che ogni anno vengono rinnovati 3-400 miliardi di debito, fanno 3-4 miliardi in più di interessi. Poi però la crescita è esponenziale perché i titoli si accumulano e l’onere già dal secondo anno è di 5-6 miliardi. In cinque-sei anni si arriva appunto a 20, ovviamente sempre che non si sia riusciti ad abbattere nuovamente gli interessi». Sul debito pubblico pesa anche l’incognita della restituzione dei crediti alla Grecia: 48 miliardi fra diretti (10 miliardi prestati da Roma ad Atene all’inizio della crisi) e quelli indiretti, veicolati tramite il Fondo salvastati, tutti in scadenza fra il 2022 e il 2029. Ma si superano i 60 miliardi considerando le partite di giro che ruotano intorno alla Bce per il meccanismo del “target 2”. L’unica certezza è che non rientreranno tutti.
A Piazza Affari temono l’alt alla luna di miele
C’è il rischio che s’infranga, con il ritorno dell’Italia fra i Paesi
front line
nella crisi greca, quella che Francesco Daveri, docente alla Bocconi School of Management, chiama «la luna di miele» degli investitori internazionali nei confronti della Borsa di Milano. E’ quella che è cresciuto di più dall’inizio dell’anno: l’indice Ftse-Mib è infatti in salita del 25% (più del 18,4% che è la media dell’Euro Stoxx) contro il 20,1 di Francoforte, il 17,4 di Parigi, il 14% di Madrid. Per i dodici mesi che finiscono domani, peraltro, il guadagno di Piazza Affari è più contenuto (11,6%), anche se ci sono stati balzi notevoli, primo di tutti il titolo Fca (+83,2%). Quello che ha circondato fino a venerdì la Borsa, abbastanza sorprendente visto che le contrattazioni avvengono da mesi col fiato della trattativa greca sul collo, è un clima di fiducia e tranquillità: «I mercati vedono con favore la volontà riformatrice del governo Renzi», spiega Daveri. «Delle riforme che ha messo in campo ha realizzato solo il Jobs Act, però il pacchetto delle “promesse”, dalla pubblica amministrazione alla giustizia, risponde a quello che chiedono gli investitori internazionali». Ora tutto questo torna a rischio e si farà più stretto il sentiero per la politica e la finanza. L’occhio attento e la volontà di arricchirsi degli speculatori, guarderanno con maggior attenzione all’Italia e non perdoneranno il benché minimo passo falso.
La ripresa, già fragile di nuovo in pericolo
Il precipitare della crisi greca coglie l’Italia all’alba di una soffertissima ripresa: + 0,7% il Pil nel 2015 secondo il Documento economico-finanziario del 10 aprile scorso, poi +1,4 nel 2016 e ancora di più nel 2017. Che ne sarà di queste previsioni? «E’ una ripresa così fragile che rischia seriamente di venir compromessa», puntualizza Brunello Rosa, capo economista del Roubini Global Economy con base a Londra. «Manca ancora il fattore fiducia dei consumatori. Senza una sostenuta domanda interna non c’è ripresa solida. E ora con questa situazione, l’incertezza che torna a dominare e la speculazione probabilmente all’attacco, chi avvierà importanti programmi di consumi e investimenti?» L’impatto negativo più immediato sulla crescita sarà probabilmente l’aumento dell’intera struttura dei tassi come conseguenza dell’aumento di quelli dei Btp. E quindi l’ennesima difficoltà per le imprese a finanziarsi, proprio mentre si stava uscendo dagli anni della stretta creditizia grazie al quantitative easing e alle misure collaterali della Bce. La stessa Bce dispone, oltre al Qe, degli Omt, gli acquisti illimitati di titoli pubblici annunciati da Draghi nel luglio 2012. Ma per accedervi un Paese deve fare richiesta al Fondo salvastati e sottoscrivere un memorandum di impegni che può essere pesante e comportare una anche massiccia cessione di sovranità. E a Palazzo Chigi non vogliono neanche sentirne parlare.
Niente contagio diretto affari misti al minimo
Sulle banche italiane non ci sarà un contagio diretto, nel senso che ormai più nessuna fa affari con la Grecia (a differenza di quelle tedesche e francesi) e le posizioni sono state praticamente tutte chiuse. Le uniche misure amministrative che la Banca d’Italia potrebbe prendere in caso di Grexit sarebbero i controlli sui capitali o il bank holiday forzato come quello in corso in Grecia, «ma non siamo assolutamente a quel livello», dice Brunello Rosa dell’Rge. «Però è importante tener presente che per le banche l’uscita della Grecia dall’euro non sarebbe una passeggiata, come in tanti fanno intendere, ma un Vietnam». Dal punto di vista strettamente finanziario preoccupa innanzitutto l’effetto dell’attuale tensione sullo spread, con la conseguente caduta dei valori dei buoni in bilancio. «Ancora non si è sciolto il vincolo perverso fra salute delle banche, tuttora sovraccariche di Bot e Btp, e titoli di Stato», osserva Paolo Guerrieri, economista della Sapienza nonché senatore Pd. «E’ questo uno degli scopi dell’Unione bancaria, la cui implementazione però procede a rilento. Il meccanismo di vigilanza, che entrerà in vigore solo nel gennaio prossimo, e soprattutto quelli di risoluzione della crisi con un fondo comune che andrà a regime fra dieci anni, sono stati per ora solo varati, e neanche in tutti i Paesi. In Grecia, per quello che può servire, non sono stati neanche approvati».
LA STAMPA DI OGGI
Cosa rischiamo noi italiani?
Come paese ad alto debito, è possibile un colpo di frusta speculativa, i cui effetti dovrebbero essere contenuti dal combinato disposto della migliorata sostenibilità del bilancio nazionale e dai nuovi strumenti di intervento a disposizione dell’Eurozona. Probabile una caduta dell’euro nei confronti del dollaro. Come probabile sarebbe l’avvio di un processo di più stretta integrazione europea, anche parziale, per evitare il ripetersi del pasticcio greco
BARONI/ZINGALES SULLA STAMPA DI OGGI
Difficile immaginare un attacco speculativo contro l’Italia, mentre sul piano psicologico un contagio è possibile: se la situazione greca dovesse precipitare davvero e dopo il default la Bce dovesse sospendere l’erogazione dei fondi di emergenza agli istituti ellenici, tutto è possibile», spiega l’economista Luigi Zingales, docente della University of Chicago Booth School of Business.
Professore, cosa rischiamo: c’è un rischio di contagio Grecia-Italia?
«Distinguiamo tra i vari tipi di possibile contagio. Ci può essere un contagio di tipo psicologico, che può essere immediato. E ce n’è uno più di lungo periodo, di tipo normativo».
Partiamo dal primo.
«Se in questa settimana la corsa agli sportelli diventa sfrenata, perché domani la Grecia non paga il Fondo monetario e col default la Bce interrompe l’erogazione dei fondi di emergenza alla banche, la situazione può diventare complicata. Al di là di quello che vogliono i politici, i consiglieri della Bce di fronte a un default non potrebbero certo estendere le linee di credito. E in questa situazione, rispetto agli italiani che assistono a tutto ciò, la domanda da farsi è: pensano anche loro di iniziare a ritirare i loro soldi dalle banche oppure no?».
E’ «la» domanda che in molti si fanno in queste ore.
«Andrebbe rivolta a uno psicologo, però, non a un economista».
Ma l’economista cosa risponde?
«Che non c’è una ragione ovvia per cui questo avvenga. La corsa agli sportelli, però, risponde alla cosiddetta teoria degli equilibri multipli, ovvero se tutti ritirano i soldi dalle banche diventa razionale fare altrettanto. Che cosa la determina? Sostanzialmente solo fattori psicologici. Basta ricordare, ad esempio, quello che è successo nel 1991 quando l’Italia entrò in guerra con la prima guerra del Golfo. Allora sparì la pasta dai negozi».
La pasta e tutti i generi di prima necessità, farina, zucchero...
«Chiaramente non importavano pasta e zucchero dall’Iraq. Però, se la maggioranza delle persone teme che possano mancare questi generi diventa razionale aumentarne le scorte. Insomma, il rischio c’è. La buona notizia però è che fintanto che la Bce continua ad assicurare credito alle banche greche le banche italiane dovrebbero resistere. Il problema insomma non si pone, a patto che la Bce intervenga in maniera massiccia e illimitata».
Nello scenario peggiore con la Grecia in default e la Bce che sconta già pesanti perdite sui prestiti cosa può accadere?
«Il dubbio a quel punto sarebbe capire se la Germania fosse disponibile ad assicurare un credito incondizionato anche all’Italia. Se la risposta fosse positiva il problema sarebbe risolto, in caso contrario rischieremmo. Insomma, la risposta in questo caso la deve dare la politica: se la politica funziona quelle che possono essere le turbolenze di breve periodo non sono un problema».
Nessun problema anche per i possibili contraccolpi sui tassi e quindi sulla nostra spesa per interessi? Ricordo che l’ultimo Def prevede uno spread inferiore ai 100 punti base, livello che tra l’altro non abbiamo mai agganciato stabilmente.
«Questo è più un problema di lungo periodo. Il grosso vantaggio rispetto al passato è che attraverso il “Quantitative easing” la Bce può comprare titoli italiani, per cui nel breve periodo vedo difficile un attacco speculativo contro l’Italia. Però, certo, rimane la nostra debolezza di fondo. Perché una volta che si è capito che l’Unione monetaria non è una scelta irreversibile quando un paese ha delle difficoltà poi queste difficoltà si amplificano».
Ma l’economia italiana è sufficientemente solida per reggere le turbolenze che si potrebbero scatenare come sostiene il ministro Padoan?
«Mah? Io non la vedo così solida. Rimane il problema di fondo che noi non cresciamo, un problema che preesisteva alla crisi. Il nostro reddito pro-capite è al livello di vent’anni fa e questo rappresenta certamente un problema grosso, soprattutto in presenza di un forte debito. E se non cresciamo, è chiaro che siamo più in difficoltà».
CORRIERE DI DOMENICA
«Abbiamo passato di peggio e lo abbiamo superato». Il ricordo delle tensioni del dicembre 2011, quando l’Italia sotto l’attacco della speculazione si è trovata ad un passo dalla bancarotta, attenua di molto i timori per l’impatto sui mercati di un default della Grecia. Sulla reazione degli investitori, poi, anche tra gli esperti, sono in pochi ad azzardare una previsione al di là di una grande volatilità dei prezzi e di un inevitabile allargamento degli spread . Le mosse — e le difese — in campo monetario saranno comunque decise a livello europeo, dalla Banca centrale europea in primo luogo, ma in Italia, al momento, dove vigila il Tesoro, si prevedono variazioni nella gestione del debito.
Nei primi mesi dell’anno del resto, approfittando dei bassi tassi di interesse, il Tesoro ha anticipato il più possibile il suo finanziamento sui mercati — ad aprile la raccolta aveva già superato il 42% del programma annuale e la percentuale è ancora aumentata — cercando di allungare la scadenza dei titoli. E le aste mensili continuano a fare il tutto esaurito con i tassi solo moderatamente in aumento a seguito delle tensioni per la Grecia ma anche per la crisi ucraina e per il nervosismo politico sulla politica comune sui migranti. Il programma di emissioni — comunque — non sarà modificato, così come del resto non lo è stato tra il 2011 e il 2012.
La situazione dell’Italia, d’altronde, è ben diversa da quella del 2011: i conti pubblici sono in equilibrio con il deficit-Pil tornato sotto al 3%; il percorso del debito sarà in discesa sin dal prossimo anno e la crescita è apparsa, seppure ancora debolmente, all’orizzonte. Non bisogna dimenticare infine la politica espansiva della Bce che con il suo Q uantitative easing , l’acquisto massiccio di titoli pubblici, avviato per combattere il pericolo della deflazione, fa anche da scudo anticontagio alle tensioni sui mercati e difende la tenuta dell’euro. Una difesa preziosa per l’Italia e per gli altri Paesi «periferici», Spagna in testa, tradizionalmente più esposti alla speculazione. Insomma le tensioni non mancheranno, pur se nessuno anche al Tesoro si immagina per ora tempeste in arrivo: la sostenibilità del debito non corre rischi. Con buona pace dei crediti vantati sulla Grecia: 37,2 miliardi di cui 10 di prestiti bilaterali e 27,2 del fondo salva Stati, da restituire dal 2020 e dal 2023.
Stefania Tamburello
DAL CORRIERE DI IERI
In partenza per le Cicladi: passaporto, meno carte e più soldi
L e domande dei turisti di tutto il mondo in partenza per la Grecia, sono le stesse: che succede se Atene esce dall’euro e noi siamo lì in vacanza? Cosa fare per precauzione prima di partire? «Sono partito con gli stessi dubbi» ammette Jacopo De Ria, 46 anni, che oltre ad essere presidente di Fiavet, la Federazione italiana associazioni imprese viaggi e turismo, da 26 anni ha anche un’agenzia viaggi a Firenze. Lui è appena tornato da Santorini dov’è andato per visitare alcune strutture alberghiere e si è comportato seguendo gli stessi consigli che sta dando ai suoi clienti: «Ho portato più contante e mi sono imbarcato con il passaporto invece della consueta carta d’identità. Ad Atene — aggiunge De Ria — la situazione è diversa, ma nelle isole l’atmosfera è quella di sempre. Santorini era piena: visitatori di tutte le nazionalità e hotel al completo». Lui nell’isola vulcanica ci è rimasto appena tre giorni ma gli sono bastati per capire che, spiega, non c’è nulla da temere. «Prima di partire basta fare quelle due, tre cose di buon senso: mettere un po’ di fieno in cascina portandosi dietro un po’ più di liquidità e partire sereni. Un rischio — aggiunge — è quello della speculazione, pagare un po’ di più i taxi, il noleggio di auto e moto. Ma per ora la situazione è quella di sempre» .
Corinna De Cesare
Se c’è qualche timore — ammette l’economista Innocenzo Cipolletta — lo è soprattutto per i nostri produttori di macchine utensili fornitrici ad esempio di tutta l’industria agroalimentare. Perché i pagamenti da parte delle aziende committenti greche potrebbero essere annullati e senza un’adeguata copertura assicurativa (in questo caso se ne gioverà chi si è messo al riparo con Sace) il rischio è rimetterci di tasca propria. A ben vedere però le preoccupazioni per la nostra manifattura in caso di uscita della Grecia dall’euro sono minime. Dice l’economista Francesco Giavazzi, editorialista del «Corriere», che è già da qualche anno che le nostre imprese hanno abbandonato il Paese ellenico, soprattutto quelle edili, le più presenti prima che la Grecia si avvitasse in questa spirale. Ecco perché la quota di esportazioni italiane nel Paese è scesa ed è ormai pari soltanto allo 0,9% del totale dell’export, valuta Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo. Un dato che scende allo 0,2% se rapportato al Prodotto interno lordo. Un’inezia. Gli interrogativi semmai sono altri. E riguardano semmai l’industria navale legata al turismo e al commercio. Chi fornirà carburante in Italia ai traghetti battenti bandiera greca in partenza dal nostro Paese?
Fabio Savelli
Uno spread più elevato, Btp che perdono sul fronte dei prezzi perché devono pagare rendimenti maggiori, Borse in tempesta dopo un semestre di corsa, con Piazza Affari nelle prime posizioni tra i listini globali (+23 %). Questi sono gli effetti possibili sui mercati e sui portafogli degli investitori dello strappo consumatosi oggi tra Atene e l’Europa. Nella ricetta per chi si sente pessimista sulla possibilità di un ritorno al dialogo dovrebbero esserci titoli obbligazionari brevi e a rating medio alto, che da tempo non rendono praticamente nulla ma fungono da punto di riferimento quando tutto brucia e sono sempre al centro della caccia alla qualità che si scatena in questi frangenti. Ma anche le valute diverse dall’ euro, soprattutto il dollaro
e poi le sterline, le corone del Nord Europa, i dollari non americani sono un ingrediente fondamentale del paracadute perché consentono di diversificare, sempre puntando su bond brevi o fondi specializzati, su asset meno coinvolti dalla burrasca casalinga. In Borsa, ipotizzando che quelle dell’area euro siano le più penalizzate se i mercati la prendono male anche solo per un breve periodo, i titoli più bastonati saranno i finanziari, i più difensivi gli industriali con l’export nel bilancio.
Giuditta Marvelli