Jenner Meletti, la Repubblica 28/6/2015, 28 giugno 2015
UN UOVO RUBATO PER UNA PALLINA DI GELATO
Arrivava il martedì e il venerdì. Solo d’estate e sempre nell’ora più calda, quando gli uomini che si erano alzati all’alba riposavano a letto o sul fieno sotto il portico e i bambini potevano giocare ma senza alzare la voce per non disturbare.
Nel silenzio dell’afa la trombetta si sentiva da lontano. «Aghè quel di slè», c’è quello dei gelati. I bambini uscivano tutti dalle case, come se fosse arrivato il carro con Pinocchio e Lucignolo diretto al Paese dei balocchi. «Pee... pee…».
Il gelataio mobile della bassa modenese, invece, non aveva certo la forza di gridare. Il suo food truck era infatti un carretto-bicicletta, a tre ruote, spinto su una strada non asfaltata. Un cilindro con la panna, un altro con la crema. In mezzo, coperta da un sacco di juta, una grande stecca di ghiaccio.
Bisognava pedalare in fretta, fra i campi di cocomeri e barbabietole, e canali con anguille e pesci gatto, per riuscire a vendere i gelati prima che si squagliassero. I bambini andavano dalla mamma a chiedere i soldi. Dieci lire per una pallina, venti lire per due palline.
«Ma l’hai già preso martedì, non è che ogni giorno…» . E allora, di nascosto, si andava nel pollaio. Si rubava un uovo e lo si portava all’uomo del carretto. Un uovo, una pallina di gelato. I bambini “ladri” non erano pochi, in quelle campagne dove negli anni Cinquanta il boom economico non era nemmeno una speranza. “Quello dei gelati” aveva infatti un cesto pieno di uova, materia prima per il prossimo viaggio con panna e crema. Si alzava in piedi sui pedali, per ripartire. C’era un mezzo chilometro, prima di arrivare all’altra casa. Per sua fortuna anche là una nidiata di bambini e un pollaio.
Un altro mini food truck percorreva la Bassa: un carretto spinto a pedali, poi “rinforzato” con l’applicazione di un motore Garelli Mosquito. Arrivava soltanto in certe domeniche, quando nella chiesa in mezzo alla valle c’erano le cresime o le prime comunioni. Ferruccio detto Feruc ìn vendeva arachidi, castagne secche, semi di zucca e liquirizie. Un sacchettino di arachidi costava venti lire. Voleva soldi, non uova. Poi alzava le sponde del suo carretto e metteva in mostra tante meraviglie: pistole da cowboys, maschere e spade di Zorro, fucili per sparare agli indiani… «Guardare e non toccare è una cosa da imparare», diceva. E noi si stava lì, a guardare. Se non eri tu, quello vestito da cresima o comunione, inutile chiedere regali. Tanto, le fionde fatte con le camere d’aria delle bici e gli archi con i rami di salice erano “armi” migliori di quelle di-Ferucìn. Si mangiavano le arachidi seduti accanto al carretto e sputando le pellicine rosse.
E si pensava al martedì, a “quello dei gelati”.
Jenner Meletti, la Repubblica 28/6/2015