Valerio Magrelli, la Repubblica 28/6/2015, 28 giugno 2015
ALLA RICERCA DEL FILM PERDUTO
Tutto comincia quando, la notte in cui muore Visconti, qualcuno svaligia la sua villa di Castel Gandolfo. Il regista non vi aveva mai abitato, ma la grande dimora custodiva materiali inestimabili. Indisturbati, i ladri trascinano in giardino molte casse contenenti documenti. Non trovando preziosi, abbandonano sul posto «una marea di detriti, avanzi, scorie, in una specie di desolata Pompei» spiega oggi Quirino Conti, stilista, regista e scenografo per Lattuada, Fellini, Welles. Molto andò smarrito, e il vento spinse via le povere carte sin nella cavea del vulcano lì accanto. Solo più tardi gli eredi recuperarono i resti scampati al disastro.
E qui, sebbene estraneo alla vicenda, va ricordato un pensiero del grande architetto Alvar Aalto: «Le poesie scritte sulla sabbia non servono né agli editori né alle riviste. Il loro editore è il vento. Un buon editore». In questo caso, purtroppo, non fu così. Infatti quei bauli non contenevano versi, ma tutta la produzione di Visconti: sceneggiature e corrispondenza, foto e testi. Solo anni dopo, grazie alla Fondazione Istituto Gramsci, si raccolsero i fogli perduti – perduti, inutile dirlo, come il Tempo che dà il titolo a quell’opera di Proust cui Visconti si dedicò tanto a lungo. Ma ecco la sorpresa: fra i reperti smarriti, la parte più integra («Traboccante di vita», precisa Conti) risultò proprio la trasposizione cinematografica della Recherche: appunti e illustrazioni raccolti in una scatola siglata UA35.
Nasce da questo scrigno Alla Ricerca del Tempo Perduto, Visconti-Proust. Sulla tracce di un film immaginato (da un’idea dello stesso Conti, direttore artistico per la Fondazione Carla Fendi, che l’ha realizzata a Spoleto nell’ambito del festival diretto da Giorgio Ferrara). Occorre precisare che quella che si apre oggi è più di una mostra: è una sorta di installazione-performance in cui appaiono su grandi specchi – come delle visioni – i personaggi immaginati da Visconti per il film. Una performance felicemente progettata a partire da una performance tragicamente realizzatasi quarant’anni fa, nella notte del furto. Amico e collaboratore del regista, Enrico Medioli muove da là per ricostruire l’atmosfera di casa Visconti, raccontando come, un giorno del 1920, il giovane Luchino vide suo padre assorto in un libro giunto da Parigi: «Accortosi del mio stupore mi confessò che soffriva a ogni pagina voltata, pensando che ben presto quel romanzo prodigioso sarebbe arrivato alla fine. Era Du coté de chez Swann di Proust. Avrò avuto diciassette anni… Be’, fu proprio una febbre… E io sono rimasto lì. A Proust».
Nato nel 1906, il contino fu un autentico Guermantes (la nobile famiglia della Recherche), erede di chi resse la città di Milano per secoli, ne fece costruire la cattedrale e fu presente nella storia del Teatro alla Scala. Ripercorrendo la tortuosa avventura del «non film», Medioli sottolinea le assonanze fra lo scrittore francese e il suo potenziale regista: il ricordo di un’infanzia mitizzata, l’evocazione di un mondo sull’orlo dell’abisso, l’inafferrabilità dell’amato, l’amore per la madre, l’omosessualità. Il caso volle che, nel 1962, la produttrice Nicole Stéphane (nata Rothschild e attrice negli Enfants terribles di Cocteau) acquisisse i diritti della
Recherche, scegliendo René Clément e Ennio Flaiano come regista e sceneggiatore, e pensando, per i ruoli principali, a Mastroianni e Jeanne Moreau. Ma Georges Beaume, agente della Stéphane e di Delon, consiglia: «Il regista ideale è Visconti». Detto fatto, nel 1969 quest’ultimo accetta, mentre lo stesso Medioli e Enzo Siciliano lavorano a un nuovo trattamento, basato sull’intera opera. Nel frattempo, interrotta la collaborazione con Flaiano, a preparare un’ennesima sceneggiatura viene chiamata Suso Cecchi d’Amico. Ne verrà fuori una stesura in francese, fatta di soli dialoghi e descrizioni narrative, che inizia col soggiorno a Balbec, e si conclude senza salti temporali con la serata dai Verdurin. Suso Cecchi d’Amico, con Mario Garbuglia, lavora al progetto per otto mesi, passando al setaccio la Francia per sei settimane. Medioli ricorda i sopralluoghi a Parigi, poi nel castello di Ferriére, quindi a Combray e a Cabourg, la Balbec della Recherche: le foto son qui a Spoleto. Tra gli aneddoti più curiosi, quello secondo cui “gli italiani” riuscirono a convincere le autorità a posticipare la demolizione del Grand Hotel, là dove Proust era solito alloggiare. Quanto agli attori, se alcuni avevano già firmato, molti restavano in ballo. Rispetto a Charlus, la preferenza era andata a Marlon Brando, ma la casa di produzione puntava su Laurence Olivier. Inoltre, visto che Brigitte Bardot desiderava apparire, le era stato affidato il piccolo ruolo di una Odette invecchiata. In tutto ciò Piero Tosi disegna i bozzetti per i costumi. L’inizio delle riprese è previsto per l’agosto del 1971, anno in cui cade il centenario dello scrittore. Visconti afferma: «So fin d’ora che nessuno sarà soddisfatto, che tutti protesteranno, contesteranno, resteranno indignati, offesi, scandalizzati. Non me ne preoccupo. Lavoro in serenità, perché sono sicuro che dispiacerò a tutti».
Tutto procede, insomma, quando il progetto si ferma per problemi economici: il preventivo, in effetti, è stratosferico. E qui, a sorpresa, Visconti dichiara di rinunciare al film. La produttrice si precipita a Roma, gli raddoppia il compenso. Niente: il regista comincia a girare Ludwig. Mentre la casa di produzione passa agli avvocati, Nicole Stéphane, sentendosi tradita, intraprende a sua volta un’azione legale e si rivolge a Joseph Losey per la regia, sceneggiatura di Harold Pinter. Ma la situazione è bloccata: serve il permesso di Visconti, le major non sostengono il costo eccessivo. Morale: l’opera non vedrà la luce.
Visconti scomparirà nel 1976 senza mai aver spiegato le ragioni del gran rifiuto. Tuttavia, nota Medioli, il sogno infranto continuerà a seguirlo. Così, ricreerà la spiaggia di Balbec in Morte a Venezia , esalterà Wagner in Ludwig e trasfigurerà l’amore fra Charlus e Morel nella relazione fra i personaggi della Mangano e di Helmut Berger in Gruppo di famiglia in un interno .
Per non parlare de L’innocente , in cui prima viene ricostruito il salotto dei Verdurin, poi è messa in scena la fine dello scrittore Filippo D’Arborio (tanto simile al personaggio di Bergotte). Del resto Visconti confessa: «La mia ambizione più grande è che Tancredi e Angelica, nella notte del ballo a Palazzo Ponteleone, ricordino allo spettatore Odette e Swann». La foto finale dell’installazione a Spoleto ritrae la sceneggiatura posata sui quaderni autografi di Proust. «Si tratta di un elogio della parola», termina Conti: «Segno che non c’è più spazio per le immagini».
Valerio Magrelli, la Repubblica 28/6/2015