Valerio Millefoglie, la Repubblica 28/6/2015, 28 giugno 2015
I SIGNORI DEL TEMPO
PARIGI
“Bollettino C 49. Alle autorità responsabili della misurazione e della distribuzione del tempo. Nella notte fra il 30 giugno e l’1 luglio 2015 inseriremo il secondo intercalare. L’esatta sequenza di dati sarà la seguente: 23h 59m 59s, 23h 59m 60s, 0h 0m 0s”. Daniel Gambis è il direttore dell’istituto che controlla il tempo ufficiale del mondo. Dirama la circolare dall’Osservatorio di Parigi a tutti gli altri osservatori del pianeta. Grazie a lui il 30 giugno ci sarà concesso un secondo di vita in più. Il fatto è che la rotazione terrestre ha una velocità irregolare a causa delle forze di marea, dei terremoti e di altri eventi naturali che ne rallentano o accelerano il corso. Mentre gli orologi atomici, che segnano il tempo coordinato universale, hanno una cadenza fissa e precisa. Le due rotazioni, della Terra e delle lancette, prendono così direzioni diverse. Il secondo intercalare le riavvicina, portandoci nella stessa dimensione. Dal 1972 a oggi ne sono stati inseriti venticinque. Cosa ne abbiamo fatto di questo tempo in più? Quanto dura davvero un secondo e come può cambiare la vita? Per rispondere a queste domande ho visitato gli uffici in cui si decidono le nostre ore. La rotazione terrestre e la rotazione dell’umanità. Questo è il mio bollettino dall’Osservatorio di Parigi, secondo per secondo.
Daniel Gambis, dicevamo. È in ritardo di 29m 08,51s. Mi soffermo ad ascoltare la musica classica in filodiffusione nell’ascensore. Al quinto piano c’è l’Istituto di Meccanica Celeste e di Calcolo delle Effemeridi, all’ottavo piano il Laboratorio di Studi sulle Radiazioni della Materia in Astrofisica, al quarto il Sistema di Riferimento Spazio Tempo, che fa parte dell’International Earth Rotation and Reference System. È qui che sono diretto.
Le porte si aprono su un corridoio buio e stretto. Accanto alla macchinetta del caffè ci sono dei calici e una bottiglia di rosso del 2011, quell’anno il secondo intercalare non è stato aggiunto. Leggo il titolo di un articolo appuntato in bacheca, Les maîtres du temps , due “padroni del tempo” mi indicano l’ufficio del direttore.
Daniel Gambis ha un sorriso gentile, una sessantina d’anni, un completo marrone, una scarpa slacciata, un ciuffo slacciato anche lui dai capelli, un tono di voce calmo e rilassato e mi dice che ha tardato perché alcuni pedoni camminavano sui binari e il tram procedeva lento. Lavora all’Osservatorio di Parigi dal 1978. Il 16 settembre di quell’anno, alle 9h 05m 55s ore locali di Tabasi, Iran, un terremoto causò la morte di più di diecimila persone. La Terra, scossa, aumentò la rotazione e così il 31 dicembre venne aggiunto un secondo intercalare. Sulla sua scrivania sono accumulati fogli, bigliettini, cartoline, una lettera dell’istituto di navigazione e un apparecchio radio anni Novanta. Mi fa venire in mente una puntata del telefilm Ai confini della realtà in cui un vecchio apparecchio radio si sintonizza sulle frequenze del passato e il protagonista, un anziano in un ospizio, ascoltando le trasmissioni ringiovanisce. Gambis ascolta musica jazz. Sulla parete alle sue spalle ci sono alcuni poster di conferenze scientifiche e la locandina del concerto di un trio jazz. Lui è uno del trio, sax tenore: «Ho studiato in Brasile, lì avevo degli amici che suonavano bossa nova e appena li ho visti suonare per la prima volta mi sono detto “Farò questo nella vita!”, ma non l’ho fatto, quindi la mia scelta di un secondo è stata una scelta mancata».
Suo padre era il contabile del circo Medrano. Gambis andava a vedere lo spettacolo ogni tre settimane. Il suo numero preferito era quello del clown Grock, figlio di un orologiaio, divenuto uno dei più popolari pagliacci di quel periodo. Da adolescente ascoltava il Tour de France alla radio e appuntava su un quaderno tutti i ritardi dei ciclisti. Oggi capita che sua moglie gli chieda che tempo fa e lui le risponda con l’esatta temperatura, «19°C, per lo più soleggiato, umidità al 44 per cento». Il suo proverbio è “È urgente non fare niente”. Mi spiega che se la durata di un secondo sulla Terra è impercettibile, nello Spazio assume un’importanza enorme e che se la rotazione terrestre non andasse di pari passo con il tempo convenzionale, in un lontano futuro l’uomo potrebbe ritrovarsi a pranzare a mezzanotte. Cene a lume di candela alle otto di mattina, appuntamenti nello stesso momento ma senza riuscire a incontrarsi, riunioni di lavoro in vacanza. Solo un team di controllori potrebbe riportare l’ordine, vigilando sulla popolazione affinché nessun cittadino perda tempo nella propria vita. Gambis mi mostra due libri di science-fiction, Il giorno che la terra ha smesso di ruotare su se stessa di Jean-Marc Auclair e Il bizzarro incidente del tempo rubato , di Rachel Joyce, titolo originale Deux secondes des trop , ambientato nel 1972: nel romanzo i due secondi intercalari riportano un bambino a vivere due secondi in un’altra epoca. Nel prologo c’è un ringraziamento a Gambis. Lo ringrazio anch’io prima di dirigermi nella stanza dell’Orologio Parlante dove incontro l’addetto alle sequenze temporali. È un ingegnere italiano che lavora qui da venticinque anni. Un albero piantato, con una grande barba bianca a coprirgli metà volto, un paio di occhialini in bilico sulla punta del naso, i capelli lunghissimi che scendono su una maglia a maniche corte bianca e che s’intrecciano ai fili e agli spinotti dei terminali. Un mago, un hippie, un naufrago nella sala del tempo. Mi mostra un cavo collegato a un calcolatore e mi dice, «Il tempo è qui. Se mi sposto di trenta centimetri nello Spazio, mi sposto di un nanosecondo. Il tempo è una dimensione fisica».
Al polso non ha orologi dall’età di dieci anni, da quando giocando a battaglia di pietre nel suo paese, in Piemonte, venne colpito al polso e il quadrante andò in frantumi. «Poi se lavori con il laser dell’orologio atomico non devi avere nulla perché prima o poi metti la mano nel fascio. Infatti ho un sacco di magliette piene di buchi».
Mi racconta che nel 1676 l’astronomo danese Ole Rømer scoprì proprio qui la propagazione della velocità della luce, mentre era in visita per incontrare l’allora direttore dell’Osservatorio, Giovanni Cassini, «Io in Italia abitavo in via Giovanni Cassini». Martedì 30 giugno a mezzanotte non sarà in questa sala. Il secondo intercalare sarà inserito automaticamente, ma alle due del mattino un suo giovane collega chiamerà l’Orologio Parlante per accertarsi che tutto sia andato a buon fine. Allora dal sottofondo di aria condizionata che soffia rumorosa e feroce nelle tubature sopra il soffitto, si leverà una voce che pronuncerà l’ora esatta. Azioniamo la levetta “Parlateur” e le voci di un uomo e di una donna annunciano la data, le ore, i minuti e i secondi precisi, “Fra quattro rintocchi saranno le...”, seguono quindi quattro suoni acuti e arriva l’ora annunciata. Sono le 11h 52m 32s eppure fuori dalla mensa si è già formata la coda. Gli impiegati del tempo si siedono ai tavoli, guardano il parco fuori dalle finestre. Si fermano per un attimo. Io esco dall’Osservatorio alle 14h 17m 06s. Camminando mi ritrovo in una grande casa d’aste. Tre piani, sedici sale, e come Gambis con il suo quaderno dei ritardi del Tour de France, inauguro un quaderno per scoprire quanto valgono in denaro i secondi. Una coppia di cristalli di Boemia, prezzo di partenza 700 euro, raggiunge in 1m 39,79s la cifra di 4.700 euro. Un uomo srotola delicatamente un’antica pergamena giapponese impiegandoci 29,80s e 50mila euro. Una raccolta di lettere originali di Alexander Dumas in 36,41s arriva a 700 euro. Una veste da sacerdote in 13,32s trova chi la indosserà.
Per un’ora rimango affascinato dal rito della vendita. Penso al tempo infinito che può starci in un secondo.
Il 30 giugno del 1985 viene aggiunto un secondo intercalare e il giorno successivo, a Padova, un uomo spara alla madre con un fucile da caccia. Senza quel secondo in più si sarebbe fermato all’idea del delitto e non avrebbe avuto il tempo di premere il grilletto. Il 30 dicembre del 1990 viene inserito un secondo intercalare. La sera dopo gli abitanti di Berlino hanno così voglia di guardare avanti che l’orologio della città segna la mezzanotte in anticipo, ingannando il secondo in più.
Il 2 ottobre del 1959 (in quei giorni lontani l’essere umano per misurare la rotazione del pianeta Terra guarda ancora su in alto, al cielo) va in onda negli Stati Uniti d’America la puntata La barriera della solitudine del telefilm Ai confini della realtà . L’episodio si conclude con questa voce fuori campo, “Lassù c’è l’immensità dello Spazio, il senso dell’infinito. Lassù c’è un nemico che si chiama solitudine. Se ne sta lì con le stelle e aspetta, aspetta con la pazienza dell’eternità, impassibile, ai confini della realtà”.
Valerio Millefoglie, la Repubblica 28/6/2015