Vittorio Zucconi, la Repubblica 28/6/2015, 28 giugno 2015
DAL RAZZISMO ALL’OMOFOBIA LA SFIDA DI OBAMA AI TABÙ D’AMERICA
WASHINGTON.
«A volte - dice l’uomo stanco, ma più vero, che entrò giovane alla Casa Bianca e ne sta uscendo vecchio - ci sono giorni come questo, quando la giustizia arriva e colpisce come un fulmine». E il fulmine benevolo che ha spezzato per sempre la catena della discriminazione incostituzionale contro i gay ha compiuto un altro prodigio di trasformazione: ha rotto la crosta del politicante, ha aperto la corazza dell’opportunismo ambiguo e reticente per rivelare, come mai era avvenuto, l’uomo dentro il costume. Quel Barack Obama che avevamo atteso invano per otto anni.
Lo avevamo intravisto nei fienili gelidi dell’Iowa 2008, quando osò presentarsi alla più bianca dell’America bianca e nelle aule magne dei licei nel New Hampshire, e poi, per uno smagliante momento, per il discorso della vittoria il 7 novembre a Chicago, quando avvertì che «la montagna era ripida» e il «cammino sarebbe stato faticoso», ma nessuna scalata era sembrata troppo dura. E poi lo avevamo perso, nei sentieri di rovo della politica washingtoniana, nella coscienza ossessiva e quotidiana dell’odio che lo assaliva come una marea montante, lui, il ”nero” che aveva usurpato la grande villa bianca costruita nello stile delle piantagioni del Sud in onore, e nel nome, di un latifondista virginiano proprietario di schiavi, chiamato George Washington.
Poi, in questi giorni del lungo addio all’avventura di un afroamericano alla Casa Bianca che non si ripeterà per anni, forse per decenni, si scatenano uno dopo l’altro i fulmini che spezzano la crosta artificiale della coolness, del distacco, della prudenza, in fondo della paura, e permettono all’uomo di volare. Non deve più fingere, Obama, come finse durante la campagna elettorale del 2008 quando- lo ricorda malizioso uno dei suoi massimi consiglieri, David Axelrod nelle proprie memorie negò di essere a favore dei matrimoni gay, per non alienarsi i conservatori bianchi, e soprattutto neri, specialmente allergici all’idea. «Ho sbagliato troppe volte per dovermi ancora preoccupare - ha detto lui stesso - mi sento come qualcuno che sia rotolato giù dalle cascate del Niagara dentro un barile e sia sopravvissuto. Mi sento così liberato, così libero». Tutto, improvvisamente, sembra allinearsi per l’ Obama Liberato, dopo anni in cui le carte si sparigliavano implacabilmente per l’Obama Incatenato alla politica. Il Congresso gli concede l’autorità per negoziare il Trattato di Libero scambio con le nazione asiatiche, con gran dispetto della sua presunta erede, Hillary, costretta a nuove capriole per cambiare idea. La Corte suprema sancisce definitivamente, e senza possibilità di appello, l’eguaglianza di tutti i cittadini anche nelle loro unioni, portandolo alla commozione di fronte alla felicità di uomini e donne e trans che per tanti anni avevano “sofferto” e “rischiato” per ottenere il diritto di celebrare la propria unione. E insieme salva la eredità più preziosa del suo tempo, la Riforma dell’assicurazione sanitaria.
Persino nella tragedia di Charleston, davanti alle bare degli innocenti falciati da un miserabile razzista armato, trova l’eco di quella passione che tanto aveva dovuto frenare, per sembrare meno nero. Anzi nigger, quell’espressione oscena e dispregiativa che per la prima volta lui osa pronunciare in una pubblica omelia, per esorcizzarla, per svuotarla del contenuto di odio, prima di intonare
Amazin Grace accompagnato dai fedeli in lacrime come lui. Tutti a cantare l’inno che rigrazia il Signore per avere «salvato un rottame come me», per »avermi permesso di vedere, dopo essere stato cieco», quasi autobiografico.
È il miracolo del tramonto, dell’ora che spinge i naviganti della politica e dei suoi inevitabili compromessi, alla nostalgia di sé e della verità, quando anche Nixon chiese di non odiarlo più, perché lui non odiava più i propri nemici, sfortunatamente un po’ troppo tardi. È il momento in cui un Presidente costretto a tornare uomo da una Costituzione che gli impone di andare in pensione anche a 50 anni, misura il capitale che lascerà alla nazione e che nel suo caso vanta almeno tre lasciti storici, la pur lentissima ripresa dell’economia con il ritorno al lavoro di milioni, la riforma della sanità, l’affermazione dei diritti civili per tutti, indipendentemente dal genere, come già fu, almeno sulla carta, per il colore della pelle.
Ma è anche il tempo nel quale la persona uscita dal bozzolo della finzione politica evita le mine che sa di non poter disinnescare e dunque ignora. Il mostruoso viluppo di sangue e di violenza ereditato dal predecessore Bush e affrontato male da lui, il mondo della “mezzaluna araba” dal Golfo all’Atlantico non ci sono, se non per frasi fatte. Come non c’è il prodotto tossico del fallimento americano tra l’Afghanistan e ora anche la Tunisia, il terrorismo organizzato sotto l’etichetta dello Stato islamico, per il quale non si va oltre il glossario delle esecrazioni e le operazioni dei droni telecomandati.
Mentre l’Uomo ritrova se stesso, e abbandona il “barile” dentro il quale era ruzzolato, il Presidente, il Capo di Stato sembra divorziare da problemi che non sa affrontare e neppure denunciare con forza attiva, come quella catastrofe umana e morale delle migrazioni di massa che Washington e lui preferiscono ignorare. I problemi fuori dai confini degli Stati Uniti saranno lasciati in carico al successore, maschio o femmina che sia, la palla avvelenata scaricata al domani. I successi saranno tenuti ben stretti, e assaporati nei lunghi mesi che rimangono da trascorrere nella grande villa bianca, dove l’avvocato, costituzionalista, professorino eloquente e cauto già è partito e oggi vive il nuovo Obama “liberato” da se stesso. E davanti alla Russia di Putin, allo sfacelo del mondo arabo, alla intrattabilità del viluppo israelo-palestinese, la risposta è il rovescio della promessa fatta sette anni or sono nelle nevi delle Primarie. Non più «Yes We Can», sì, possiamo, ma, sorry, «No, We Can’t», non possiamo farci niente.
Vittorio Zucconi, la Repubblica 28/6/2015