Ettore Livini, la Repubblica 28/6/2015, 28 giugno 2015
AZIONI E SPREAD SUI BTP A RISCHIO FIBRILLAZIONE MA L’OMBRELLO DELLA BCE PUÒ EVITARE IL CONTAGIO
Atene voterà il 5 luglio sul referendum più delicato e complesso della storia europea degli ultimi anni. I greci dovranno dire sì o no a una proposta che – in realtà – non esiste più (l’Eurogruppo sembra averla tolta dal tavolo). Il governo Syriza-Anel chiede di votare no ma è pronto a implementare le riforme necessarie se vincerà il sì. I costituzionalisti ne contestano la legittimità – la Carta ellenica non prevede consultazioni su questioni fiscali – e il Presidente della Repubblica Prokopis Pavlopoulos, uomo di centrodestra, potrebbe far saltare il banco dimettendosi e obbligando il paese ad andare ad elezioni. Un mezzo rompicapo, insomma. Ecco una mini-guida per orientarsi in questo labirinto.
Cosa succederà se vince il sì?
Atene, in teoria, accetta l’ultima proposta delle istituzioni. Sempre che valga ancora. Il Parlamento vota il pacchetto e implementa le riforme in tempi strettissimi. Arriva l’ok anche degli altri Parlamenti Ue dove deve essere approvato. I creditori sbloccano i fondi necessari a rimborsare 1,6 miliardi all’Fmi prima del default e i prestiti Bce in scadenza a luglio e agosto. La Grecia resta nell’euro e in autunno si tratta per il terzo programma di aiuti dove potrebbe spuntare la ristrutturazione del debito. Unico dubbio: come faranno i parlamentari di Syriza, specie l’ala radicale a votare tagli alle pensioni e altra austerity? Molti sono certi che non lo faranno e il paese sarà costretto in ogni caso ad andare ad elezioni in tempi brevi.
Cosa succede se vince il no?
Tsipras può provare a riaprire i negoziati. Davanti al muro dei creditori deve decidere se cedere alle loro condizioni o se guidare il paese verso un default pilotato che non è detto porti Atene fuori dall’euro. Anche in questo caso gli osservatori ritengono molto probabili nuove elezioni in tempi strettissimi ad Atene.
Chi paga il conto se la Grecia va in default e non paga i suoi debiti?
Soprattutto i Governi (e quindi i contribuenti) europei. Atene ha 312 miliardi di debiti. Circa 140 verso il fondo salvastati, 55 in prestiti bilaterali dei paesi Ue, 27 con la Bce, 24 con l’Fmi e circa un cinquantina con privati. L’Italia è esposta complessivamente per 48 miliardi. In caso di crac la Grecia potrebbe rimborsare solo una parte di queste cifre.
C’è rischio di contagio per la crisi greca? Cosa significa?
In caso di default il prezzo più salato lo pagherebbe proprio la Grecia. L’introduzione di una valuta parallela o della dracma porterebbe una pesante svalutazione della moneta corrente, le banche salterebbero e l’economia, che ha già perso il 27% in 5 anni, crollerebbe di nuovo. Il resto d’Europa, dicono gli esperti, è molto meno esposto del 2012. Molti paesi allora in difficoltà (tra cui Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna) hanno mandato in porto diverse riforme. E sul continente è aperto l’ombrello del Quantitative easing della Bce che si è impegnata ad acquistare 60 miliardi di titoli di stato al mese, una cifra che dovrebbe aiutare a contenere il rialzo degli spread.
C’è rischio per i titoli di Stato italiani?
L’idea che l’euro non è irrevocabile potrebbe mandare di nuovo in fibrillazione (Bce permettendo) i tassi sui titoli di stato italiani e degli altri Paesi periferici allargando lo spread con i Bund. Nei giorni più difficili delle ultime settimane la forbice si è già allargata. Siamo però lontani mille miglia — incrociando le dita — dal corto circuito di novembre 2011 quando il differenziale tra bund e Btp arrivo a oltre 700 punti base. L’aumento dei tassi fa lievitare come ovvio la bolletta che l’Italia deve sborsare per onorare gli interessi da pagare ai suoi creditori, una cifra oggi vicina agli 80 miliardi l’anno.
Cosa succederebbe alle Borse in caso di Grexit?
Il discorso sulle Borse è più complicato. Di sicuro il caos finanziario che seguirebbe alla Grexit non sarebbe nel breve una buona notizia per i listini. Anzi. Sul medio termine invece dipende dalla reazione della Ue. Se il divorzio da Atene diventasse l’occasione per rafforzare davvero l’Unione, il vento potrebbe girare. Anche perché l’economia del Vecchio continente in questo momento è in ripresa. In caso contrario è possibile che il barometro resti sul brutto tempo molto più a lungo.
Tsipras ha corteggiato Russia e Cina. Come e quanto possono davvero aiutarlo?
Non molto. Almeno finanziariamente e nell’immediato. E non gratis. Putin potrebbe garantire un paio di miliardi di utili anticipati per la costruzione del gasdotto Turkish Stream e aprire la porta ad Atene della Banca di sviluppo dei Brics. Pechino potrebbe garantire investimenti nelle infrastrutture (porti e ferrovie in particolare). Ma nessuno, con ogni probabilità, può garantire le decine di miliardi ancora necessari per sistemare definitivamente la partita di Atene.
Ettore Livini, la Repubblica 28/6/2015