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 2015  giugno 28 Domenica calendario

“DOVREMO SCEGLIERE TRA MALE E PEGGIO” I GRECI SI RASSEGNANO

ATENE.
La strategia del cameriere del Giantes – va detto – è perfetta. Fa sedere il cliente. Prende l’ordine. Porta il calice di Moscofilero. Poi, quando tornare indietro è impossibile, piazza la bordata: «Mi ero dimenticato, da oggi prendiamo solo contanti. Ok?». Sono passate solo 12 ore da quando Alexis Tsipras ha annunciato in un drammatico messaggio in diretta tv il referendum sulle proposte di Bce, Ue e Fmi. La Grecia dirà sì o no? Al ristorante nel cuore di Exarchia dove Yanis Varoufakis è stato aggredito a bottigliate due mesi fa dagli anarchici - hanno già preso la loro decisione preventiva: “No” alle monete virtuali come carte di credito, buoni pasto o assegni, carta straccia in un’Atene dove lunedì rischiano di non riaprire le banche. “Sì” alle care vecchie banconote. L’unica certezza in un Paese che stamattina si è risvegliato diviso, incerto e con un solo impellente bisogno: correre a ritirare un po’ di soldi - a metà pomeriggio i prelievi erano a quota 800 milioni - prima di trovarsi con le pive nel sacco di fronte a un messaggio come quello apparso ieri mattina (ironia della sorte) sugli schermi dell’unico bancomat in Parlamento: “Prelievo non disponibile”.
Tassos Stathopoulos, per dire, non ha voluto prendere rischi: «Tsipras ha fatto bene a rompere con la Troika – si scalda il 32enne geometra in coda sotto il sole luminoso di fine giugno davanti alla National Bank di Syntagma- . In cinque anni d’austerità hanno messo sul lastrico milioni di persone. Questa è la prima volta che queste persone possono dire la loro». Il cuore non dubita. Il portafoglio ha meno certezze. Thassos si guarda alle spalle, copre con la mano la tastiera, digita il Pin e ritira i suoi 500 euro («devo pagare la rata per la colonia del bambino…», spiega imbarazzato).
A trecento metri da qui, chiusi nel vecchio Palazzo imperiale, i deputati stanno per dare l’ok al referendum, che dovrà raggiungere il quorum del 40% dei votanti per essere valido. Evangelis Venizelos, vecchio leone del Pasok, chiede al presidente della Repubblica di dimettersi per portare il Paese alle elezioni («sarebbe più onesto») e contesta la validità del voto: «La Costituzione – dice - non prevede consultazioni su questioni fiscali». I giuristi si affannano per mettere a punto un quesito che – nelle versioni allo studio – sembra un arzigogolato sciogli-lingua da Settimana Enigmistica. Alba Dorata, per dire quanta confusione c’è sotto il cielo della Grecia, si schiera con Syriza («Diciamo no a chi vuol sottomettere il popolo ellenico», dice il portavoce Ilias Kasidiaris, in permesso dagli arresti domiciliari).
Certezze non ce ne sono più. Eva Moschopoulos, a spasso con il cocker per le vie di Pangrati, sorride delusa: «Ho votato Tsipras pensando fosse il nuovo Papandreou – ammette -. Mi sbagliavo. I veri politici sono quelli in grado di prendersi le responsabilità. Lui non l’ha fatto. Ha messo l’interesse del partito sopra quello del Paese. E ha passato il cerino acceso a noi». Le strade sono vuote. Dalle finestre esce l’eco della diretta del dibattito parlamentare, su cui pare siano sintetizzati tutti. «Spero succeda qualche miracolo nel week end– sogna Joanna Gezerlis, insegnante all’asilo di Kessariani -. Altro che sì o no. Al referendum dovremo scegliere tra male e peggio». Qui lo credono un po’ tutti. «Come farà Syriza a votare le riforme della Troika se vincerà il sì? – si domanda Joanna -. I suoi deputati usciranno dall’aula e sarà il caos». E se vincerà il no? «Allora ciao euro», sintetizza crudo Sofoklis Tsafouros con la incosciente certezza dei suoi 22 anni.
«I prossimi giorni saranno una via crucis» è convinta Sofia Litsardakis, la sua ragazza. L’incubo di queste ore è la sindrome- Cipro, dove due anni fa – con l’isola sull’orlo del crac – Ue, Bce e Fmi hanno imposto la chiusura delle banche per due settimane, mettendo un tetto di 300 euro al giorno ai prelievi al bancomat e paletti rigidissimi al movimento di capitali. «Io ho pagato i miei 12 dipendenti ieri in anticipo per evitare sorprese – racconta Kostas Larios, titolare di uno studio legale a Kolonaki -. Tsipras? Ha fatto quello che ha potuto. Tre giorni fa era pronto a firmare 8 miliardi di tagli, cosa che Syriza non gli avrebbe mai perdonato. Poi è arrivato l’Fmi a correggergli il piano con la matita rossa. E lì è finito tutto». Il Fondo non ha mai avuto molti fan ad Atene. Oggi è sceso a quota zero. «Chi vincerà al referendum? Non so - conclude Kostas- . Questo è un Paese più abituato a dire no che sì. Il rischio è che sinistra e destra da domani provino a sfidarsi piazza. E’ dalla fine della giunte dei Colonnelli che se la contendono sottotraccia e un redde rationem sarebbe disastroso e pericolosissimo».
Sono le sei di sera. Il dibattito in aula continua. Il voto finale è previsto attorno a mezzanotte. Il tam tam della crisi segnala code a supermercati e benzinai. Un migliaio dei 7mila bancomat ateniesi sono rimasti senza soldi. Tra i deputati si è sparsa la voce che quello del Parlamento è stato riattivato e fornito di contanti. E’ vero, le telecamere inquadrano un serpentone di politici in attesa del loro turno per prelevare. Quelli di Syriza sono in prima fila. La loro speranza è che dalle urne – come ha detto Tsipras – esca “un grande no”. In quel caso però, vale a destra come a sinistra, meglio farsi trovare con il portafoglio pieno di euro.
Ettore Livini, la Repubblica 28/6/2015