Bruno Giurato, Il Giornale 27/6/2015, 27 giugno 2015
INTERVISTA A UMBERTO SMAILA
Entertainer. Intrattenitore, anzi «ipnotizzatore», come si definisce, di pubblici. Comico raffinato con i Gatti di Vicolo Miracoli, prima al Derby poi nel varietà Rai di Enzo Trapani. Maestro di cerimonie nella prima trasmissione tv di spogliarello integrale (naturalmente parliamo di Colpo Grosso tra gli anni ’80 e i ’90) e in contemporanea conduttore di trasmissioni per famiglia sulle reti Fininvest. Poi imprenditore dell’intrattenimento live, suo il franchising dei locali Smaila’s, dal Salento alla Sardegna.
Umberto Smaila nella sua casa milanese ha un pianoforte Petrof da cui sono nate canzoni, per esempio È tutto un attimo, che con Anna Oxa quasi vinse un Sanremo, e colonne sonore (tante) di film, di serie A e di serie B. Ha una libreria fornita: i suoi preferiti sono Proust e Céline. E un corridoio tappezzato di fotografie storiche, in una canta insieme a Mike Tyson («Aveva mangiato aglio, con l’acuto finale di My Way mi ha praticamente ammorbato», ricorda). 65 anni appena compiuti, un presente da «zingaro di lusso», sempre in giro per serate, quattro figli. Origini orgogliosamente istriane: madre insegnante, padre artista. «La mia provenienza mi ha dato una coscienza geopolitica», racconta al Giornale. «Sin da bambino sapevo bene cos’era il regime di Tito. I miei tornavano regolarmente a Fiume, arrivavamo con la 600 appena acquistata, c’erano bambini in mutande che inseguivano la macchina chiedendo l’elemosina».
Comicità milanese. Con Gerry Calà, Franco Oppini, Nini Salerno avete anticipato Elio e Le Storie Tese. Un verso come «l’aerobica è giappo-italiana» è abbastanza esplicativo...
«Beh, certo, Elio e le Storie Tese ci hanno copiato, e ne vado fiero. Il nostro cabaret aveva anche riferimenti colti. Per noi era motivo d’orgoglio forte non appoggiarci alle comicità dialettali. Non far ridere alla napoletana, alla romana o alla toscana. Al Derby c’eravamo noi, poi Cochi e Renato, poi Villaggio, poi Jannacci. Cinque anni di gavetta, dopo la tv fu facile».
Dal Derby passava tutta Milano, dal boss Francis Turatello in poi...
«Una volta arrivarono Enrico Maria Salerno e Veronica Lario, lavoravano insieme al Manzoni, a guardare lo spettacolo di Enzo Robutti. Lui dice in bolognese: “Un bel spumon”. La Lario chiede a Salerno: “Cos’è lo spumone?”. E Salerno: “Pompino!”».
E la Milano di oggi? Quella dei Fuori salone e dell’Expo?
«In giro vedo più nervosismo. Ci sentiamo tutti un po’ meno sicuri: furti di ogni tipo, aggressioni. Ma io amo Milano. Ci trovi di tutto: dalla musica classica in poi. Perfino Casanova, nelle sue Memorie scrive: “Milano è una città dove le persone sono gentili e ci si dà una mano, Roma invece...”».
Dai Gatti a Colpo Grosso. Ha sdoganato il nudo. Ha rimappato la geografia del desiderio in tv.
«C’è un pre-Colpo Grosso e un post-Colpo Grosso. Con Quelli della notte di Arbore abbiamo rivoluzionato la Tv. Sia Beniamino Placido che Oreste Del Buono mi elogiarono, e anche Alberoni. Non tutti erano contrari».
Alcuni sì, però.
«Concita De Gregorio da direttrice dell’Unità scrisse che Colpo Grosso e Drive In avevano rovinato le generazioni a venire. Io ho frequentato la sinistra eccome, il mio amicone Diego Abatantuono è di sinistra, ho lavorato con l’aiuto regista di Dario Fo, insomma conosco quel mondo. Uno dei motti di allora non era “Vietato vietare?”».
Una sinistra da oratorio?
«Oratorio per oratorio, durante una partita della nazionale cantanti mi trovai a giocare con dei frati...».
Lei, il maestro di cerimonie delle ragazze cin cin?
«Come corrono i frati! Velocissimi. Tostissimi. Alla fine della partita mi si avvicina il priore (ormai Colpo grosso lo conduceva Maurizia Paradiso) e mi fa: “Era meglio quando lo conducevi tu”. “Allora mi assolve, padre?”. “Ma certo”...».
E invece Reagan non la assolse...
«Un giorno venne da me Mike Bongiorno e mi disse: “Hai fatto un casino, eh”. La Cbs aveva fatto un servizio su Colpo Grosso, avevano coperto i capezzoli delle ragazze in post-produzione con delle stelline. Reagan si era lamentato del programma. Gheddafi, addirittura, minacciò di lanciare dei missili su Lampedusa: Colpo Grosso gli distraeva i libici dalla preghiera».
Poi le colonne sonore.
«Ne sto facendo una anche adesso. Il film si chiama Infernet, con Remo Girone, Lino Banfi, Katia Ricciarelli, Ricky Tognazzi».
C’è un suo pezzo in Jackie Brown di Tarantino.
«Lo prese da un B movie italiano degli anni ’70, La Belva col Mitra. Con un Helmut Berger orfano di Visconti. Quando lo chiamai per ringraziarlo mi disse: “Grazie a te per la tua fottutissima musica, vorrei fare una altro fottutissimo film con una fottutissima musica fatta da te fottutamente apposta”. Sei parole e ottanta fuck. Per quella colonna sonora mi arrivano diritti d’autore dalle isole Samoa e dall’Alaska, ancora».
Nei suoi locali sono passati molti personaggi famosissimi.
«Una notte Niki Lauda si scatenò come un pazzo sulla pista. La sua compagna di allora disse che non l’aveva mai visto così. Convinsi perfino Gino Paoli, che era a cena in Sardegna, a cantare. Lo incastrai facendo cantare Il Cielo in una Stanza a tutto il pubblico. Difficile sottrarsi. Sono un po’ un ipnotizzatore».
Coi Gatti incontrò Woody Allen.
«Si doveva lavorare assieme, per il festival di Spoleto nell’80. Andammo a New York. Lui gentilissimo e timidissimo, restava sveglio la notte per scrivere per noi. Poi mancarono i soldi. Una sera ci trovammo in un ristorante con lui, la Fallaci e Isabella Rossellini. Stava lì schiacciato in mezzo alle due».
E ora i suoi locali.
«Non sono i miei. Gli Smaila’s sono franchising, mi permettono di avere un tot di serate assicurate anche con la crisi».
E le sue, di crisi?
«A inizio anni ’90. Quando finì Colpo Grosso e finirono i programmi Fininvest. Da 500 puntate all’anno a zero».
Che si fa in questi casi?
«Mi resi conto che avevo un repertorio vastissimo. Cambiai la Bmw con una macchina usata, e mi rimboccai le maniche per ripartire. Ho fatto così».