Sergio Bocconi, Corriere della Sera 27/6/2015, 27 giugno 2015
L’AVVENTURA GLOBALE DELLA PIRELLI UN PREMIO ALLA VIRTÙ DELLA COERENZA
«Sbaglia chi sostiene che il controllo di Pirelli sia stato ceduto ai cinesi. Non è così. Fin dalla fondazione del gruppo, 143 anni fa, la famiglia Pirelli ha sempre detenuto una partecipazione inferiore al 15% con una delega gestionale piena a favore del management, che ne era anche proprietario. Elementi che si ritrovano nell’accordo di partnership industriale con ChemChina». Carlo Bellavite Pellegrini, docente di Finanza aziendale alla Cattolica di Milano, ha da poco concluso la stesura di Pirelli. Innovazione e passione 1872-2015 (il Mulino). E mai avrebbe immaginato, al suo primo incontro con Marco Tronchetti Provera nella primavera 2010, che dopo 5 anni di lavoro e ricerca, avrebbe realizzato forse il più impegnativo instant book della letteratura d’impresa. Che si apre con la costituzione, il 28 gennaio 1872, di Pirelli & C. con un capitale di 215 mila lire, e a pagina 589 racconta come è nata (e perché) l’intesa firmata il 22 marzo 2015 fra il colosso cinese e Camfin, azionista di riferimento di Pirelli.
Ne avesse avuto la possibilità, avrebbe probabilmente chiesto all’editore un nuovo rinvio per inserire nelle bozze almeno una nota (a motivo di giustizia) sulla sentenza con la quale la Corte d’Appello di Milano l’11 giugno ha assolto, «perché il fatto non sussiste», il presidente di Pirelli ed ex numero uno di Telecom (che aveva rinunciato alla prescrizione) dall’accusa di ricettazione nella vicenda dello spionaggio subito da parte dell’agenzia Kroll. «La vicenda giudiziaria — sottolinea Bellavite Pellegrini — dopo anni di quelle che il pm Fabio Napoleone definisce “suggestioni collettive”, si chiude senza alcun addebito per Tronchetti Provera». Il capitolo va guardato però, secondo l’autore, con un orizzonte più ampio. «Pirelli è sempre stata indipendente dalla politica. Esce pulita da Tangentopoli e, acquisita Telecom, si ribella all’ingerenza del governo sui temi dello scorporo della Rete», il «famoso» Piano Rovati, «e delle alleanze internazionali», cioè il negoziato con Rupert Murdoch.
Secondo Bellavite Pellegrini «ne origina un conflitto che blocca la strategia di sviluppo avviata da Tronchetti Provera che puntava alla convergenza fra telecomunicazioni, contenuti, partnership internazionali e piattaforme fisso-mobile», convergenza che ridiventa oggi di piena attualità sia osservando quanto accade nell’industria delle tlc, sia in relazione alle vicende Cdp e Vivendi-Telecom (materiale che, detto con un po’ di humor, avrebbe anche potuto arricchire il registro di instant book del volume). Secondo l’autore «ne segue un racconto impreciso, quando non falso, sia delle vicende giudiziarie sia sui risultati gestionali». Lui invece imposta il lavoro basandolo rigorosamente su documenti societari (ha letto tutti i verbali assembleari e di consiglio del gruppo dal 1872 al 2015) e testimonianze dirette. Ne risulta una narrazione «inedita» e, come è già accaduto per i precedenti lavori (la storia dall’Ambrosiano di Calvi a Intesa Sanpaolo) destinata a diventare un punto di riferimento per le analisi future.
Il libro, dice, «si confronta con la storia e così colloca e razionalizza l’evoluzione di Pirelli in una prospettiva che si rivela molto coerente ed omogenea». Ecco dunque il riferimento all’«innovazione» come uno dei driver di lungo periodo della società. E l’interpretazione sull’acquisto di Telecom avvenuta nel 2001 da Colaninno & Co che «trova la sua necessaria premessa nella secolare (fin dalla costituzione) presenza della società nel settore dei cavi». Perché il gruppo nasce, a opera dell’ingegnere 23enne Giovanni Battista Pirelli, come start up , realizzata con «un’operazione di venture capital su un prodotto nuovo, la gomma». Ma non intesa come pneumatico (Pirelli ha preceduto le automobili) bensì come cavi, da quelli sottomarini per il telegrafo a quelli per telefonia ed elettricità.
Forse non sarà condiviso da tutti il richiamo alla «coerenza secolare» per spiegare l’iniziativa in Telecom, nella quale Pirelli investe 6,5 miliardi e da cui esce nel 2007 con una perdita di 3,2, avendo però nel frattempo effettuato un cambio di attività (fra cavi, ceduti per far fronte agli impegni gravosi e tlc) e portato i collegamenti alla banda larga in Italia da 300 mila a 7 milioni collocando (secondo l’Antitrust) il Paese nel 2006 al quarto posto nel quadro internazionale (posizione poi perduta). Tale coerenza è per Bellavite Pellegrini, insieme alla passione del management, uno dei fattori chiave che consente al gruppo di diventare «icona globale di un’impresa italiana che compete sui mercati, crea valore e rappresenta gusto e capacità del Paese». Ed è anche la leva che permette a Pirelli di affrontare svolte decisive. Dopo la stagione nella quale Leopoldo Pirelli cerca invano l’integrazione con Dunlop, Firestone e Continental accumulando difficoltà finanziarie, nel 1992 Tronchetti Provera diventa numero uno operativo del gruppo. Punta sul pneumatico di maggior valore aggiunto. E ricomincia dal pneumatico dopo Telecom.
Coerenza per Bellavite Pellegrini significa anche continuità di valori. Lui appartiene al mondo del cattolicesimo democratico e si trova di fronte a «più di un secolo di tradizione liberale nella forma più alta e compiuta». Esperienza «inattesa», che sull’autore esercita un certo fascino. Come del resto dimostra di esercitarlo il lungo lavoro su un’impresa industriale, da sempre multinazionale ma «caratterizzata anche da un tratto di understatement tipicamente lombardo».