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 2015  giugno 27 Sabato calendario

DAI COWBOY ALLE RIVOLTE QUEI DUE LUNGHI SECOLI DELL’«ALTRA AMERICA»

«Perché non fate nulla?». Le rivolte, come diceva Martin Luther King, sono la lingua parlata da coloro che non vengono ascoltati, è allora giusto che la lunga marcia dei gay e delle lesbiche americane verso la parità di diritti sia cominciata con una rivolta. Con le Stonewall Riots dell’estate 1969, quando davanti a una taverna per gay del Greenwich Village, nel corso dell’ennesima retata della buoncostume, inutile e crudele, un poliziotto stava spingendo una donna dentro un cellulare e lei gridò alla folla che si era raccolta lì intorno: «Perché non fate nulla?». La polizia venne attaccata e la questione dell’America gay uscì definitivamente dal nascondiglio dove era rimasta — con rare, ambigue eccezioni — fino a quel momento.
La storia parallela dell’America, attraverso due secoli e mezzo, era sempre rimasta sotto traccia: la lettera d’amore a un commilitone scritta dal padre della patria Alexander Hamilton. Le liriche omoerotiche di Walt Whitman, padre della poesia americana. Le transumanze dei cowboy e le loro amicizie virili ai tempi della Frontiera (non c’era bisogno di Brokeback Mountain , film da Oscar, per capire). La presidenza di James Buchanan (1857-1861), scapolo che per un decennio aveva vissuto con un collega, inseparabili.
C’era voluto il Novecento per parlare chiaro, con la grinta dell’anarchica Emma Goldman che buttò anche la questione dei gay nel calderone dei diritti — femminismo, antirazzismo — che cominciava a ribollire nella cucina della sinistra americana. Hollywood che pure fu creata — come Broadway — grazie ai gay e alle lesbiche rimase al palo, chiudendo per decenni l’esperienza omosessuale in quello che lo studioso Vito Russo chiamò in un saggio fondamentale The Celluloid Closet , lo sgabuzzino di celluloide nel quale nascondere divi gay, dive lesbiche, registi, costumisti, l’esercito invisibile della fabbrica dei sogni.
I libri, fa piacere ricordare, arrivarono prima: Gore Vidal, rampollo di ottima famiglia senatoriale con prospettive di carriera politica garantita, tornò dal fronte della Seconda guerra mondiale e buttò via tutto con il primo romanzo gay della letteratura americana, La statua di sale : nella sua brillantissima vecchiaia diceva di non avere rimpianti, Washington era così noiosa (negli Anni 70 raddoppiò con il primo romanzo trans, Myra Breckinridge ). Il suo amico Allen Ginsberg fu il primo poeta apertamente gay dalla ribellione dei Beat a quella dei campus, bardo della generazione della rabbia giovane. Nel 1963 John Rechy scrisse City of Night , caso letterario gay dove ancora però i marchettari venivano definiti educatamente «youngmen».
Gli Anni 70 sono quelli dello sdoganamento. I ragazzi che ai tempi di Stonewall non erano ancora nati hanno imparato nel 2008 da un film, Milk , con Sean Penn e James Franco, la storia del consigliere comunale della San Francisco Anni 70 Harvey Milk, apertamente gay a poche decine di chilometri dalla Silicon Valley dove nasceva, trafficando nei garage, un’altra rivoluzione, quella digitale. Furono gli anni dei Village People in testa alle hit parade, la cultura gay metropolitana su tutte le radio del mondo a ritmo di pop, Y-M-C-A . Un’ondata di libertà che verrà soltanto provvisoriamente arginata dalla tragedia dell’Aids nei due decenni successivi (da non sottovalutare lo choc dell’America nel vedere Rock Hudson, idolo delle ragazze degli Anni 50 e 60, ucciso dall’Aids nel 1985). E poi gli Anni 90: ormai Broadway applaude Angels in America e Rent , Hollywood consacra Philadelphia , l’America gay nel salotto buono della cultura e del teatro e degli Oscar dove prima poteva entrare solo sotto mentite spoglie, mascherata. Era già un’America diversa, in attesa della sentenza Obergefell v. Hodges e di cinque giudici che ieri hanno risposto a quella domanda di 46 anni fa, e hanno fatto qualcosa.