VARIE 27/6/2015, 27 giugno 2015
APPUNTI PER GAZZETTA - IL REFERENDUM DI TSIPRAS
REPUBBLICA.IT
LA UE DICE DI NO
ROMA - Un lungo silenzio, poi i botti. Così i partner dell’Unione europea, il Brussels group che riunisce i creditori e singoli governi hanno accolto la decisione di Alexis Tsipras di affidare al giudizio del popolo il verdetto sul piano proposto dall’Eurogruppo e dal Consiglio europeo, per conto dei creditori (Ue, Bce e Fmi). Soprattutto, alimentato dalla spinta dei ’falchi’, è arrivato il no dell’Eurogruppo all’ultima richiesta di Atene, quella settimana di proroga degli aiuti che avrebbe consentito ai greci di arrivare al referendum senza l’incubo della chiusura delle banche e del fallimento del Paese. L’Eurogruppo invece ha respinto la richiesta e ora, dopo una breve sospensione, si riunirà nuovamente e senza la delegazione greca per discutere per la prima volta dell’eventualità tanto temuta: il possibile fallimento parziale della Grecia.
La conferma è arrivata in una brevissima conferenza stampa del presidente dell’Eurogruppo: "A breve i ministri delle finanze dell’Eurogruppo torneranno a riunirsi - ha detto Jeroen Dijsselbloem - per prepararci a tutto quello che è possibile fare per preservare la stabilità e la solidità dell’eurozona". Dijsselbloem ha ribadito che il programma di salvataggio della Grecia si concluderà martedì 30 giugno e con esso "tutti gli accordi di finanziamento correlati al programma", compresi i profitti della Bce sui bond greci.
La prima reazione greca è arrivata dal ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis: il rifiuto dell’Eurogruppo di concedere una proroga sugli aiuti alla Grecia "per pochi giorni, poche settimane per consentire ai greci di dire la loro con un referendum, specialmente visto che c’è una alta probabilità che votino contro la nostra raccomandazione come governo, è una decisione che danneggerà gravemente la credibilità e la reputazione delle istituzioni europee". Varoufakis ha spiegato poi che la scelta del referendum è legata al fatto che
il mandato elettorale che ha ottenuto il governo Tsipras, con il 36% dei voti al partito Syriza, non basta a prendere una decisione importante come quella di accettare le condizioni proposte ad Atene dai suoi creditori: "Per una decisione del genere ci vuole come minimo il 51%, e questo è il motivo del referendum. Se i greci ci diranno di firmare, firmeremo, qualunque cosa questo comporti".
La decisione dell’Eurogruppo è arrivata al termine di una giornata tesa, caratterizzata dalle voci dei falchi dell’Ue, tornate prepotentemente a farsi sentire.
"Sono sorpreso molto negativamente dalla decisione dei greci - aveva detto a fine mattinata Jeroen Dijsselbloem - . Si tratta di una decisione triste di chiusura" di fronte ad una porta che invece per parte europea restava aperta. Di rottura unilaterale delle trattative parla il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble: "Il governo greco ha lasciato il tavolo dei negoziati - diceva - ed è impossibile estendere il programma di aiuti senza continuare a negoziare". A parlare sono stati soprattutto i ’falchi’ della prima ora: "All’interno dell’Eurogruppo - ha detto il ministro finlandese delle finanze, Alexander Stubb - c’è una netta maggioranza contro l’estensione del programma greco" fino al referendum del 5 luglio. Ma Stubb è andato oltre, affermando che dopo la decisione di Atene sul referendum, "ora il piano B (quello di una insolvenza e possibile uscita della Grecia dall’euro, ndr) procede molto velocemente, e diventa il piano A". Sulla stessa linea l’Olanda: "Per i Paesi Bassi, una scadenza è una scadenza - ha detto il ministro Eric Wiebes - . Non vedo ragione per un’estensione del programma di salvataggio. La posizione è molto chiara e la scadenza era nota da quattro mesi".
Di piano B parlava persino il rappresentante spagnolo: "Ci stiamo avvicinando più al piano B che non al piano A", paventava il ministro delle finanze di Madrid, Luis De Guindos, il quale ha detto di auspicare un ripensamento da parte di Atene. Il ministro irlandese Michael Noonan, secondo il quale la proposta dei creditori e quella del governo greco "hanno molti punti in comune", si era detto comunque "aperto" alla possibilità di considerare un’estensione dell’attuale programma di salvataggio, in scadenza il 30 giugno, perché altrimenti si va, ha aggiunto citando una frase di Mario Draghi, "in acque totalmente inesplorate".
E l’Irlanda non era l’unica a sperare in una ripresa del dialogo per un accordo entro il termine finale di domani sera. La scelta di Tsipras, giudicavano in molti, ha un obiettivo fondamentalmente politico perché da un lato serve a far pressione sull’Ue perché riduca le pretese quel tanto che basta per arrivare a un’intesa; dall’altro, la pronuncia popolare toglierebbe al governo, già in difficoltà sul fronte interno per le resistenze in Syriza, il peso della responsabilità totale di una decisione che potrebbe essere interpretata come una resa ai creditori o, in caso contrario, un salto nel buio.
Le reazioni in Grecia - Sul piano interno, Tsipras ha dovuto incassare anche le critiche dell’ex premier socialista George Papandreou, secondo il quale il referendum è un tentativo di "spostare sul popolo il fallimento dei suoi negoziati" e non ha niente a che fare con il referendum proposto nel 2011 sotto il suo governo. Allora, Papandreou propose una consultazione popolare per chiedere l’approvazione del secondo piano di salvataggio greco, che prevedeva una riduzione del 50% del debito detenuto dai privati, "la più alta riduzione del debito della storia, di cui volevo rendere partecipe il popolo". Ma, su pressione dei leader europei al G20 di Cannes, fu costretto a rinunciarvi. Lo stesso Tsipras in quell’occasione, ha ricordato l’ex premier, definì il referendum "un azzardo che avrebbe portato al fallimento". Ora, accusa Papandreou, lo propone lui , cercando di "farsi scudo con il popolo greco delle sue responsabilità", accusa Papandreou, "nel migliore dei casi questa non è solo una fuga, ma anche codardia".
Durissimo anche Antonis Samaras, ultimo premier greco prima della rivoluzione di Syriza: Alexis Tsipras è "debole e irresponsabile", afferma Samaras, e con la sua decisione di convocare un referendum sull’ultima proposta dei creditori ha portato il Paese "all’impasse totale". Secondo il predecessore, Tsipras ha imboccato una strada senza uscita, "tra un accordo inaccettabile e l’uscita dall’Europa", isolando il Paese dall’Europa e dividendo il popolo greco.
TSIPRAS CHIEDE IL REFERENDUM
ATENE - La svolta drammatica nella crisi greca arriva a ridosso della mezzanotte scorsa. Alexis Tsipras annuncia che "il popolo sarà chiamato" domenica 5 luglio a votare il referendum sulla proposta dei creditori: un voto carico di incognite. Il premier ellenico, con un discorso quasi drammatico alla televisione, spiega di non aver avuto scelta davanti a offerte che sono in realtà ricatti e ultimatum contrari ai valori europei, per cui il governo è "obbligato a rispondere sentendo la volontà dei cittadini". Parole che hanno scatenato il panico fra i cittadini, che si sono precipitati in massa ai bancomat a prelevare contanti.
"Ci hanno chiesto di accettare pesi insopportabili - dice Tsipras ai greci - che avrebbero aggravato la situazione del mercato del lavoro e aumentato le tasse". Ma una delle condizioni sulle quali Tsipras aveva probabilmente puntato, già a metà pomeriggio non si è realizzata: l’Eurogruppo, in un riunione rapida e preceduta da dichiarazioni durissime, ha rifiutato di prorogare il programma di aiuti di sei giorni. Fino, appunto, al 5 luglio, data in cui Tsipras vorrebbe far svolgere il referendum.
Grecia, Tsipras: "Ci chiedono pesi insopportabili"
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Come detto, il discorso del premier greco ha generato una corsa all’accaparramento di contanti. Un crescente numero di greci si è precipitato a ritirare soldi ai bancomat, nel timore che a breve la situazione possa precipitare. Secondo quanto riporta Bloomberg almeno 500 casse automatiche in tutto il Paese sarebbero rimaste completamente svuotate dal contante già dalle prime ore della mattina. L’agenzia statunitense riferisce che una delle quattro maggiori banche elleniche alle 11:30 aveva già registrato prelievi per 110 milioni di euro. Le banche greche continuano ad avere accesso ad un meccanismo di liquidità di emergenza della Bce, chiamato "Ela" e gestito dalla banca centrale nazionale. Tuttavia se martedì, come è ormai altamente probabile, Atene non dovesse risarcire una maxi rata da 1,6 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale, la Bce potrebbe decidere di chiudere questo canale. E a quel punto i contanti finirebbero praticamente all’istante.
Grecia, corsa ai bancomat: le code sono iniziate nella notte
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Lunghe code anche davanti ai supermercati, con i cittadini impegnati a fare scorte di beni di prima necessità, preparandosi al peggio. La polizia intanto ha aumentato i cordoni di sicurezza intorno ai bancomat. Non si sarebbe finora registrato alcun disordine.
Per Tsipras l’obiettivo di alcuni dei partner europei è proprio l’umiliazione dell’intero popolo greco. Addirittura c’è chi ipotizza una manovra internazionale per far cadere il premier. Durissimo poi il ministro dello Sviluppo, Panayiotis Lafazanis, che ha chiesto alla nazione di votare contro il piano internazionale voluto dai creditori. Stessa posizione espressa anche dal portavoce di Syriza in Parlamento. Un altro dei protagonisti di questi drammatici mesi di trattativa, il ministro dell’Economia, Yanis Varoufakis, interviene invece con un tweet sul filo dell’ironia: "Buffo quanto suoni radicale il concetto che sia il popolo a decidere".
In Parlamento, intanto, è iniziato il dibattito che porterà al voto per il via libera al referendum. Il ministro dell’Interno, Nikos Voutsis, ha fatto appello a tutte le forse politiche perché votino all’unanimità: "Così il nostro paese sarà più forte agli occhi della comunità internazionale".
L’EMERGENZA FINANZIARIA. Il vicepremier, George Katrougkalos, ha assicurato che il governo greco "non chiuderà le banche lunedì e non saranno introdotti controlli sui capitali. I contanti ci saranno". E ha annunciato: "Il collega Yannis Dragasakis ed il capo negoziatore Euclid Tsakalotos vedranno oggi il presidente della Bce, Mario Draghi". Tsakalotos, a sua volta, ha aggiunto che il premier ha parlato con Draghi e che il presidente della Bce avrebbe mostrato comprensione per la scelta del referendum. Per ore, all’annuncio di Tsipras, non sono seguite reazioni da parte del Brussels group e gli effetti del discorso del premier si sono visti soprattutto nel paese: nella notte è scattata ovunque la corsa ai bancomat. Molti economisti sono convinti che il governo dovrà mettere un tetto ai prelievi. Non sono bastate, dunque, le rassicurazioni del governo. Tsipras ha annunciato che chiederà un’estensione di pochi giorni del programma di salvataggio dell’ex troika (Bce-Ue-Fmi), che scade il 30 giugno, per poter arrivare senza problemi a tenere il referendum del 5 luglio. Ma anche su questa eventualità prevale lo scetticismo.
L’OPPOSIZIONE. Nonostante l’appello del ministro dell’interno, tutta l’opposizione greca critica aspramente Tsipras per la scelta di ricorrere al referendum sostenendo che questa mossa porterà il Paese fuori dall’Europa. Il Pasok chiede le dimissioni del premier. I centristi di Potami rimproverano a Tsipras di non aver combattuto la sua battaglia nel cuore delle istituzioni europee. Per i conservatori di Nea Dimokratia il premier è un irresponsabile che ha portato la Grecia al totale isolamento nell’Unione.
LIVINI
ATENE - Il referendum, in teoria, è una delle forme più dirette di espressione democratica. Comporta una risposta spesso semplice, un sì o un no, e il suo obiettivo - in teoria - è fare chiarezza su questioni che paiono confuse. Quello convocato da Alexis Tsipras il 5 luglio per far decidere ai suoi concittadini se accettare o meno le proposte di compromesso di Ue, Bce e Fmi nasce invece su una domanda quasi retorica - il 70% dei greci vuole rimanere nell’euro per i sondaggi, il 50% anche a costo di un cattivo accordo - ed è destinato invece a creare da subito molti più dubbi che certezze.
Grecia, Tsipras: "Ci chiedono pesi insopportabili"
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Quale sarà la reazione dell’ex-Troika che nella notte era tentata di ritirare il compromesso su cui i greci dovrebbero votare? Sarà possibile estendere di qualche giorno il piano di salvataggio, operazione che dovrebbe essere votata in alcuni paesi Ue? Come sarà formulato il quesito visto che (in teoria) la Costituzione ellenica non prevede consultazioni popolari su temi fiscali? Cosa farà il presidente della repubblica Prokopis Pavlopoulos, uomo di Nea Demokratia, chiamato a convocare un voto contestato dall’opposizione? Riuscirà Atene - difficile - ad arrivare al 5 luglio senza imporre severissimi controlli sui capitali che rischiano di fare precipitare la situazione? E, soprattutto, come farà il governo Syriza a votare in parlamento norme che ora respinge con durezza in caso di vittoria del sì?
Il caos istituzionale in Grecia era evidente già nella notte. L’ex presidente del Pasok Evangelis Venizelos ha chiesto a Pavlopoulos di non accettare la proposta di referendum. Antonis Samaras, leader del centrodestra, ha ribadito che per lui la domanda da fare ai greci è se vogliono rimanere nell’euro o no. Syriza ha provato a sostenere che il quesito sarà solo sulla proposta dei creditori e che non avrà - difficile immaginarlo - alcun effetto pratico. La prima vera risposta del paese arriverà però oggi dai bancomat, da Bruxelles e dalla piazza. Nella serata di ieri in alcune banche della periferia si sono formate lunghe code alle due di notte per ritirare i soldi, nel timore di una chiusura a tempo indeterminato delle banche. Nel centro della città - ne siamo stati diretti testimoni - gli sportelli automatici erano invece deserti e perfettamente funzionanti. Il blocco dei capitali (con un tetto ai prelievi e limiti al loro trasferimento) diventerebbe però un primo segnale dalla Bce all’elettorato sulle potenziali conseguenze del suo voto. Il "nobile no" chiesto da Tsipras contro i ricatti dell’Europa - sarebbe il messaggio implicito di Mario Draghi - porta il paese al caos.
"Bisogna mantenere il sangue freddo", confidava poco prima dell’alba una fonte governativa. Vero, e il primo problema sarà reggere una piazza dove nei giorni scorsi si sono alternati (con qualche frizione sempre più evidente) i fronti pro e contro l’euro in un escalation di tensione che il referendum rischia ora di esacerbare. L’opposizione insiste a chiedere elezioni, sostenendo che quella sarebbe la via maestra per far decidere ai greci il loro futuro. L’Eurogruppo di oggi si troverà sul tavolo la bomba sganciata da Tsipras e dovrà prendere alcune decisioni cruciali. Tra le quali come accompagnare - magari anche con aiuti - Atene verso il referendum nelle prossime difficilissime ore. Difficile che l’ex Troika, spaventata dal voto, possa fare marcia indietro oggi. Anzi. La mossa di Tsipras potrebbe ridare fiato ai falchi del rigore che da tempo sostengono che è meglio abbandonare il paese al suo destino per non dar corpo ai nuovi movimenti anti austerity che stanno nascendo nel continente. La matassa ellenica si è ingarbugliata ancora di più. E il referendum, invece che portare chiarezza, ha reso il gioco molto più complicato e - sostiene qualcuno - pericoloso.
PEZZO DEL 26/6
MILANO - "Totalmente inadeguata". Atene sbatte la porta in faccia all’ennesima controproposta dei creditori. Dopo il nulla di fatto della vigilia, l’ex Troika ha proposto alla Grecia un nuovo finanziamento da 12 miliardi fino a novembre in cambio di un accordo che accolga le richieste di Commissione, Bce e Fmi. A questo ammontare si aggiungerebbero, secondo un documento citato dall’agenzia francese Afp, 3,5 miliardi del fondo monetario.
In sostanza, il Brussels Group ha chiesto con una nota ad Atene di chiedere un’estensione di 5 mesi, fino a novembre, dell’attuale programma di aiuti, attraverso il quale è possibile reperire finanziamenti per un totale di 16.3 miliardi di euro. Se Atene rifiuterà la richiesta in questo senso, l’attuale programma di aiuti scadrà martedì prossimo e questi prestiti non saranno più disponibili. Nella nota si precisa che i 16,3 miliardi di euro, comprendono 10,9 miliardi di euro attualmente destinati alla ricapitalizzazione delle banche greche, gli 1,8 miliardi di euro dell’ultima trance prevista dal piano di salvataggio e 3,6 miliardi di euro di profitti ottenuti dalla Bce attraverso gli acquisti di bond greci nel 2014 e 2015. Queste risorse esterne, aggiunge la nota, incrementate dal surplus primario di bilancio, consentiranno ad Atene di coprire l’ammortamento e il servizio del debito per un totale di 14, 3 miliardi di euro, per gli arretrati e per costruire dei cuscinetti di protezione.
Il tono ’minaccioso’ era accentuato verso quelli da ultimatum nella seconda parte della nota, dove i creditori precisavano che i soldi potranno essere forniti in 4 rate, ’collegate al completamento delle riforme’. La prima rata di 1,8 miliardi di euro verrebbe fornita solo dopo che il Parlamento avrà approvato le riforme concordate con i creditori e dopo che il via libera dei Parlamenti dei paesi euro. La seconda trance di 4 miliardi di euro sarebbe sborsata a metà luglio, dopo il completamento di alcune riforme, definite "azioni prioritarie". Altri 4,7 miliardi euro verrebbero elargiti all’inizio di agosto e altri 1,5 miliardi di euro a ottobre. Il Fmi contribuirà con 3,5 miliardi di euro che potrebbe versare in ottobre, quando tutte le riforme concordate, ribadisce ancora la nota, saranno state implementate.
Poco dopo, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha rivolto un appello diretto ad Alexis Tsipras per chiedere ad Atene di accettare l’offerta "straordinariamente generosa". Il premier greco ha risposto nel giro di mezzora e con toni decisi: "I principi fondanti dell’Unione europea - dice il premier greco - sono democrazia, eguaglianza, solidarietà e mutuo rispetto. Non si basano invece sul ricatto e gli ultimatum. Nessuno - aggiunge - ha il diritto di mettere in pericolo questi principi". Poco più tardi è arrivato anche il no sul merito della proposta del Brussels Group.
Il premier intanto ha indirettamente confermato la fiducia al suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis che già si era detto contrario a firmare un accordo "non praticabile" con i creditori: "La Grecia è stata costretta ad adattarsi ad alcune richieste piuttosto strane delle istituzioni. Ora sta a loro fare un passo avanti. Il nostro impegno per restare nell’euro è assoluto". D’altra parte la posizione del governo ellenico è chiara: "Nel caso in cui non pagassimo al Fondo monetario internazionale gli 1,6 miliardi di euro la cui restituzione è prevista il 30 giugno, saremmo in situazione di obbligazioni scadute" e questo "non equivale a un fallimento" ha detto il ministro greco del Lavoro, Panos Skurletis.
A dimostrazione della volontà di non fare altre concessioni ai creditori, Atene ha oggi il via al piano umanitario voluto da Tsipras per dare sostegno alle oltre 300mila famiglie di indigenti senza luce e cibo: un programma da 200 milioni di euro osteggiato dall’ex troika, ma sul quale Atene non ha fatto marcia indietro.
Una mossa che non è piaciuta al presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, secondo cui l’accordo va trovato sabato, quando è stata convocata la riunione a Bruxelles: "Deve accadere domani altrimenti non c’è più tempo. Serve è un pacchetto di riforme che rimetta in piedi la Grecia, ma richiede un’azione più forte fronte delle riforme e su quello dei costi". Il presidente dell’Eurogruppo poi riserva una stoccata al governo Tsipras, alimentando i rumors secondo cui sarebbe in atto un manovra europea per far cadere l’esecutivo: "L’intera società greca è a pezzi da qualche tempo. Basti pensare all’autorità fiscale, che non funziona più, agli investitori esteri che lasciano il paese, la gente non ha più fiducia nel governo".
Nonostante i toni durissimi, però, sia i rappresentanti delle parti coinvolte che i mercati continuano a non disperare sulla possibilità di un accordo entro il fine settimana. Il più fiducioso di tutti pare il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Matteo Renzi: "Spero, penso e credo che sulla Grecia si possa arrivare a un accordo da qui a domenica. La mia è una previsione di ottimismo".
IL PIANO UMANITARIO DI TSIPRAS
ATENE - Le trattative a Bruxelles per salvare la Grecia sono al palo. Per 301.101 famiglie elleniche in forti difficoltà economiche, però oggi è un giorno - per quanto possibile - di festa. Il ministero del Lavoro ha pubblicato infatti in mattinata l’elenco delle persone che beneficeranno dei primi interventi umanitari approvati dal governo di Alexis Tsipras. A 89.300 appartamenti che ospitano 212.216 persone indigenti sarà riattaccata gratuitamente l’energia elettrica, staccata in passato per le bollette scadute, con la fornitura garantita di 300 kilowattora l’anno. L’esecutivo ha anche accolto 66.422 richieste per sussidi per la casa: quasi 90mila greci riceveranno un supporto finanziario compreso tra i 70 e i 220 euro al mese per riuscire a pagare l’affitto, a seconda del reddito e dello stato di famiglia. A quasi 349mila persone invece saranno garantiti buoni pasto emessi dalla National Bank validi fino a 200 euro al mese per l’acquisto di beni di prima necessità nei supermercati.
Gli interventi di emergenza per risolvere la crisi umanitaria sono uno dei capisaldi del "programma di Salonicco", il decalogo economico del governo di Syriza e sono una delle primissime leggi passate attraverso il Parlamento all’inizio di marzo malgrado al momento dell’approvazione la Troika abbia cercato di stopparle perché non concordate con i creditori. Il loro costo è vicino ai 200 milioni. Una goccia nell’oceano dei problemi della Grecia, un ottavo dei soldi che vanno restituiti al Fondo Monetario internazionale a fine giugno ma una boccata d’ossigeno importante per chi li riceverà. I guai dei greci più poveri del resto sono stati al centro ieri di un durissimo scambio di battute tra Tsipras e Donald Tusk ai margini dell’Eurogruppo. "Per Atene ora è game over", avrebbe detto il presidente polacco del Consiglio d’Europa. "Una storia come la nostra non è un gioco - avrebbe risposto secondo la stampa nazionale il premier -. Stiamo parlando di 1,5 milioni di persone senza lavoro, tre milioni di poveri e migliaia di famiglie senza reddito che campano solo con la pensione del nonno".
Giovedì scorso, mentre i fari della cronaca erano concentrati a Bruxelles, il Parlamento greco ha approvato a maggioranza ma senza i voti del partner di governo di ultradestra Anel la legge che dà la cittadinanza ai figli di migranti di seconda generazione. Il via liberà in aula è stato ottenuto grazie al sostegno dei socialisti del Pasok e di To Potami che hanno sommato i loro consensi a quelli (149 su 300) di Syriza.
PEZZO DEL 25 GIUGNO
ATENE - La Grecia, alla fine, inizia a sospettarlo. E’ possibile che Alexis Tsipras faccia la fine di George Papandreou? L’ex presidente del Consiglio del Pasok, eletto nel 2009 con il 43% dei voti a presidente del Consiglio ellenico è stato sostanzialmente rimosso nell’autunno del 2011 dalla poltrona di premier (e sostituito da un governo di unità nazionale) grazie al pressing di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al termine del drammatico G20 di Cannes dove era stato messo sul banco degli imputati per aver convocato un referendum in cui chiedere ai suoi concittadini se volevano o no rimanere nell’euro.
Gli incontri di queste ore a Bruxelles per molti sotto il Partenone hanno un sapore di deja vu. Specie dopo che ieri si sono presentati nella capitale belga i tre leader dell’opposizione: l’ex premier Antonis Samaras (del centrodestra di Nea Demokratia), il neo numero uno del Pasok Fofi Gennimata e Stavros Theodorakis, segretario di To Potami. Dando corpo al sospetto che l’obiettivo dei leader della Ue, dopo cinque estenuanti mesi di negoziati con Syriza, non sia quello di un accordo ma piuttosto quello di portare il paese sull’orlo del baratro e costringerlo a un nuova cambio di governo. Portandolo alle elezioni dove magari l’opposizione attuale potrebbe presentarsi sotto un’unica bandiera pro-Europa.
Siamo, ovviamente, a speculazioni al limite della paranoia politica. Cui però in qualche modo ha dato corpo anche lo stesso premier quando ieri, nel mezzo dei negoziati si è domandato via twitter se c’è qualcuno che sta lavorando per altri interessi. La certezza è che in 150 giorni di negoziati la diplomazia di Atene si è alienata molti alleati. L’Italia è stata accusata di essere in bancarotta, ai tedeschi si sono chiesti i danni di guerra, l’Fmi è stato etichettato come criminale, Wolfgang Schaeuble è stato ritratto in divisa d’ordinanza da nazista. Come ha ricordato Matteo Renzi, per molti paesi - specie quelli del nord - la pazienza è arrivata al limite e la tentazione di lasciar uscire la Grecia dall’euro è altissima. Meglio restar calmi e aspettare la fine dei negoziati, dice chi sotto il Partenone riesce a mantenere il sangue freddo. Nelle prossime ore è prevista una nuova serie di negoziati e incontri che - sperano ancora in molti - alla fine porteranno a un compromesso. La distanza in milioni di euro tra le parti, in fondo, è molto inferiore dei danni miliardari che potrebbe fare un default disordinato.
Grecia: le tappe di una crisi infinita
I complottisti però hanno già disegnato sui social network il percorso di questa presunta operazione Papandreou 2. I creditori si irrigidiscono, l’accordo non si fa. In Grecia vengono imposti i controlli di capitale e il paese è costretto ad andare in default e a convocare le elezioni. Una lezione preventiva anche per altri partiti (leggi Podemos) che vorrebbero cambiare il continente dall’interno. Il tam tam di chi crede a queste ipotesi ha anche il nome per il presidente del Consiglio: Yannis Stournaras, ora presidente della Banca di Grecia, radici socialiste ma ex ministro dell’economia del governo Samaras. Oggi, probabilmente, i fatti liquideranno come fantasie queste ricostruzioni. Ma i militanti di Syriza continuavano nella notte di ieri a twittare e lanciare nei social l’allarme: attenzione, Alexis Tsipras rischia di fare la fine di George Papandreou. L’unica loro consolazione, volendo, è che il partito è ancora saldamente in testa in tutti i sondaggi elettorali.
DAL PEZZO DI BONANNI DI STAMATTINA
Ieri gli europei hanno presentato la loro ultima offerta. Essa prevede una proroga del programma di assitenza ad Atene, che scade il 30 giugno, per altri cinque mesi. Da qui a novembre la Grecia riceverebbe finanziamenti per altri 15,5 miliardi di euro: 12 provenienti dalle casse europee e 3,5 dall’ Fmi. I versamenti sarebbero effettuati in quattro tranches condizionate alla attuazione del programma. La prima, da 1,8 miliardi, verrebbe versata subito per consentire a Tsipras di restituire i soldi al Fondo. Naturalmente tutto questo scatterebbe se il governo greco accettasse il programma dei creditori, che prevede una riforma del sistema previdenziale, un rialzo dell’Iva, tagli alle spese per la difesa e un aumento del-le tasse sugli armatori greci che hanno finora goduto di un trattamento di favore. Nei cinque mesi di proroga si dovrebbe rinegoziare un nuovo programma di assistenza per una durata di tre anni fino alla fine del 2018. Atene ha risposto con Varoufakis che l’offerta è «inaccettabile». Non gli stanno bene le «misure recessive» né il continuo monitoraggio dei creditori. Considera il periodo di cinque mesi «troppo breve». Non vuole discutere il nuovo programma sotto la minaccia di una scadenza troppo ravvicinata del vecchio. E soprattutto esige un impegno formale a rinegoziare il debito greco detenuto dai governi europei, dalla Bce e dal Fmi. Per questo chiede che il fondo salva stati, l’ ESM, rilevi i titoli di debito detenuti dalla Bce, che per statuto non può accettare di fare sconti ai suoi creditori. Esigenze eccessive rispetto ad un’offerta fin troppo generosa, come pensano molti governi europei?
LIVINI OGGI SU REP
La Grecia e l’euro rischiano di naufragare in un bicchiere di latte (o meglio nella sua aliquota Iva). La tensione — altissima — tra le parti delle ultime ore, in effetti, pare inversamente proporzionale alle distanze negoziali. Tra la proposta di Ue, Bce e Fmi e quella di Atene balla ormai solo mezzo miliardo di differenza. «Briciole rispetto al danno di un’eventuale Grexit» confessa uno dei negoziatori preoccupato perché al tavolo, confessa, l’unica moneta che manca veramente è «la fiducia reciproca».
Iva e pensioni restano i tasti dolenti. Le posizioni però si sono molto avvicinate. Sul fronte fiscale il governo ellenico offre nuove entrate pari allo 0,93% del Pil contro l’1% chiesto dalla Troika. E i nodi sono più estetici che pratici. Le istituzioni vogliono mettere un’aliquota del 23% sui prodotti alimentari “lavorati” come il latte e l’olio e su settori strategici per il paese come hotel e ristoranti. «Assurdo — dicono ad Atene — visto che contemporaneamente ci impediscono di raccogliere imposte dalle slot machine». Tsipras si è impuntato sullo sconto del 30% dell’Iva sulle isole dell’Egeo (aiuto di Stato per la Ue) per non scontentare l’ultradestra di Anel, sua partner di governo. L’Europa, a sua volta, spinge per la privatizzazione dell’energia elettrica, un taboo per l’ala radicale di Syriza.
Anche sul fronte della previdenza, ormai, è solo questione di date. Atene ha accettato un netto anticipo allo stop alle baby-pensioni (era previsto al 2036 è già stato portato al 2022 anche se la Ue chiede di anticipare ancora). Si tratta, ma la distanza è di mesi, sul giorno in cui verranno sospese le integrazioni agli assegni più bassi. E Syriza si è impegnata pure a trovare misure compensative per la sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittimi i tagli alle pensioni del 2012, uno scherzetto da 1,5 miliardi l’anno. Non è nemmeno un ostacolo la questione del budget alla difesa, da tagliare per 400 milioni — chiede la Troika — rispetto ai 200 proposti da Atene.
A giudicare dall’esterno — come ha ammesso ieri un protagonista dell’Eurogruppo — «non si capisce come mai non si riesca a mettersi d’accordo». Il vero problema è un altro. Nei negoziati finora non si è mai parlato di come affrontare la questione del debito. Non solo: Tsipras, sentendo l’eco delle reazioni della base del suo partito in patria, ha intuito che già così non sarà per niente facile ottenere l’ok in Parlamento al piano e ha deciso di tenere duro. «E’ difficile che firmi un foglio di carta inaccettabile per Syriza» confidano da Bruxelles.
Il premier lo sa. E ieri sera, rientrato ad Atene, ha convocato un consiglio dei ministri d’emergenza. Se si arriverà a un’intesa, il passo successivo sarà spiegarla a una base che rumoreggia per puntar a serrare le fila in vista del voto in Parlamento. Altrimenti ci sarà da affrontare il dramma del rischio del default. Con la prospettiva che già lunedì sotto il Partenone siano imposti i controlli di capitale e il paese si avvii verso nuove elezioni.
VAROUFAKIS (dal Corriere): «Il mandato elettorale che ha ottenuto il governo Tsipras, con il 36% dei voti al partito Syriza, non basta a prendere una decisione importante come quella di accettare le condizioni proposte ad Atene dai suoi creditori», ha spiegato davanti ai giornalisti Varoufakis e ha concluso: «Per una decisione del genere ci vuole come minimo il 51%, e questo è il motivo del referendum»
SCHAUBLE «Non ci sono le basi per ulteriori negoziati», ha dichiarato anche il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, al termine della riunione che, dopo la mossa a sorpresa di Alexis Tsipras, ha sancito la rottura definitiva. «Nessuno dei colleghi con cui ho parlato ha visto alcuna possibilità di poter fare qualcosa in questo momento», ha aggiunto Schaeuble. «Il Governo greco ha messo unilateralmente fine ai negoziati»