Paola Zanca, il Fatto Quotidiano 27/6/2015, 27 giugno 2015
LE BIMBE IN CUCINA E I MASCHI AL LAVORO: A SCUOLA S’IMPARA COSÌ
Le ministre Boschi e Giannini, l’altro ieri, hanno speso un po’ del loro tempo prezioso per rassicurare i senatori di Area Popolare: nessuna “teoria gender” varcherà la soglia della scuola pubblica italiana. No, no. Tranquilli: nei libri che studiano i vostri figli, continueremo a raccontare di donne che cucinano e puliscono e di uomini che girano il mondo e portano a casa il pane. Non serviva che in piazza tornasse il Family Day e che in Parlamento si scatenasse la guerra contro la “scuola di Satana”: bastava aprire un libro di testo della scuola italiana per ritrovarsi catapultati nel focolare anni ‘50. Dove mamma pulisce e babbo lavora.
All’inizio dei 2000 avevamo avuto un sussulto: non sarà che raccontiamo ai bambini un mondo che non esiste più? Così, ministeri e case editrici si erano impegnati, insieme ad altri paesi europei, nel progetto POLITE, per tentare di liberare i libri da stereotipi e macchiette. Linee guida, ottimi propositi, perfino un “bollino” per i volumi “giusti”. Poi, come da copione, non se n’è fatto nulla. Il bollino, stavolta sul fallimento, lo mette una pedagogista dell’Università di Firenze, Irene Biemmi: ha preso 340 storie dai libri di lettura delle quarte elementari ed è andata a vedere se gli stereotipi che il progetto europeo doveva cancellare erano spariti oppure no.
La ricerca, pubblicata ormai cinque anni fa da Rosenberg & Sellier, si intitola “Educazione sessista”. Perché fotografa pagine e pagine in cui maschi e femmine hanno un futuro già scritto. “Il primo obiettivo – spiega la Biemmi – era la parità numerica dei protagonisti delle storie: bene, nel 59 per cento dei testi sono uomini, come se nella realtà, le donne fossero un gruppo di minoranza”. Ma il punto è cosa fanno, queste protagoniste femminili: la maestra innanzitutto, seguono la strega, la maga, la fata, la principessa, la casalinga. Spettro ridotto: anche contandoli tutti, si arriva a un massimo di 15 lavori possibili, lontanissimi dai 50 mestieri a cui si dedicano i maschi nelle fiabe: cavaliere, re, geologo, direttore d’orchestra, medico. E poi ci sono gli aggettivi. Leggete qui come vengono descritti gli uomini su carta: sicuro, coraggioso, serio, minaccioso, avventuroso, saggio, audace. Ed ecco le qualifiche riservate alle donne: vanitosa, affettuosa, antipatica, pettegola, vergognosa, premurosa, paziente, tenera, comprensiva, delicata.
“Significa – spiega l’autrice della ricerca – che non si offrono ai bambini e alle bambine le stesse opportunità di immaginare il futuro. A nove anni, un maschio ha di fronte a sé uno scenario vasto e appagante. Una bambina, uno spazio ristretto. Ma attenzione, anche la gabbia in cui sono costretti i bambini è impressionante. Ai maschi dici che, per essere tali, devono essere sicuri, coraggiosi, minacciosi, audaci: un fardello pesantissimo”. E se ogni tanto – pensiamo a Pippi Calzelunghe – capita di incrociare in un libro la ragazzina “ribelle”, la Biemmi confessa di non essere riuscita a trovare in 340 storie nessuna immagine di maschio “alternativo”: “Non esiste un papà che mette a letto un figlio, cucina o fa la spesa: questi libri non riescono nemmeno a fotografare la realtà, che è molto più avanti di quella che raccontano”.
È quasi banale intuire le possibili conseguenze di questi modelli, tant’è che in Parlamento ci sono due progetti di legge (uno lo firma la Pd Valeria Fedeli, l’altro Celeste Costantino di Sel) che legano l’introduzione dell’educazione “affettiva” al contrasto della violenza di genere.
Un’editoria diversa si sta facendo strada. Ci sono case editrici come la Settenove e la Giralangolo (la collana Sottosopra è curata proprio dalla Biemmi) che provano a disegnare nuovi eroi e nuove eroine: una principessa che salva il principe dal drago (e poi non lo sposa), una anziana coppia dove la nonna va sul trattore mentre il nonno resta a casa a cucinare. Storie normali, che per ora arrivano solo nelle case di genitori già “alfabetizzati”: “Farli arrivare a tutti sarebbe una operazione culturale enorme – spiega la pedagogista – Il libro di scuola è la fonte più autorevole, è una cosa che si studia: passa per le mani di tutti i bambini, a prescindere dalla famiglia di origine”. Sarà per questo che quando in una scuola di Lerici, La Spezia, è arrivato Federica e Federico, che ha scritto sempre la Biemmi, alcuni genitori sono corsi dal parroco che lo ha bollato come sovversivo. Si erano scambiati i giochi: Federica giocava a pallone, Federico si divertiva a far finta di essere un cuoco.
Paola Zanca, il Fatto Quotidiano 27/6/2015