Gianluca Paolucci, La Stampa 27/6/2015, 27 giugno 2015
LA TRASPARENZA CANCELLATA SUI DERIVATI DI STATO
L’8 ottobre 1993 il Tesoro ha sottoscritto un contratto di Interest rate swap con Morgan Stanley sulle base del quale ogni tre mesi il ministero avrebbe pagato 500 milioni di dollari più il tasso Libor a tre mesi aumentato di 25 punti base, ricevendo in cambio su base annuale gli stessi 500 milioni più un tasso fisso del 4,843%.
Questo è solo uno delle dozzine di contratti – prevalente swap su valute o su tassi d’interesse, ma anche contratti forward – sui derivati del Tesoro che, fino alla metà degli anni ’90, finivano con grande ricchezza di dettagli sulla Gazzetta Ufficiale. Ovvero, quelle esigenze di riservatezza e di tutela del potere contrattuale nei confronti delle controparti richiamate oggi dal Mef per giustificare la riservatezza, non esistevano venti anni fa con mercati più instabili, più volatili che avevano visto, ad esempio, l’attacco alla lira del ’92.
Più volte sollecitato per chiarimenti, il ministero – regno della burocrazia e delle carte bollate – non è stato in grado di fornire indicazioni su quando, perché e da chi è stato deciso il cambio d’indirizzo che ha tenuto il tema «derivati di Stato» sottotraccia fino all’esplosione del caso Morgan Stanley. Quando a causa di una clausola «peculiare e unica nella sua natura», il Mef ha dovuto chiudere, pagando, alcuni contratti con la banca americana. Da allora, il ministero ha dato una serie di informazioni più ampie sul tema derivati. Ma non ha mai chiarito, ad esempio, la dinamica e l’importo effettivo pagato dal Mef a Morgan Stanley. Si tratta, secondo quanto ricostruito, della chiusura di quattro diversi contratti per un esborso di 3,1 miliardi in due rate di 2,6 miliardi la prima e 527 milioni la seconda. «Accettando contestualmente – è scritto in un documento inviato dal ministero alla Corte dei Conti – la ristrutturazione di due Cross Currency Swap, proposta da Morgan Stanley». La responsabile del debito pubblico, Maria Cannata, ha assicurato che dopo quella vicenda «Morgan Stanley non ha più preso un mandato finora». Ma i due contratti ristrutturati tra 2011 e 2012 sono ancora lì.
A fare chiarezza sulla vicenda sta lavorando il Parlamento, con una serie di audizioni in commissione Finanze della Camera. E la procura di Roma, che sulle dinamiche di quella rinegoziazione avvenuta durante la crisi del debito italiano (quindi in condizioni negoziali oggettivamente molto difficili) ha aperto un fascicolo. Giovedì scorso, il direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via, ha annunciato proprio durante la sua audizione in commissione Finanze che il Mef sta lavorando al «numero zero» del rapporto annuale sul debito pubblico, che per i derivati, conterrà l’aggiornamento della «informazione recentemente già divulgata e verranno forniti ulteriori elementi sull’evoluzione futura del portafoglio in termini di profilo delle scadenze del nozionale delle posizioni in essere».
Sempre meno di quanto veniva pubblicato in Gazzetta ufficiale 20 anni fa. Ma proprio a metà Anni 90 (con la legge 662 del’96) cambiano le regole in materia e il ministero «viene investito di una più ampia facoltà di ristrutturare il debito pubblico interno ed estero, in relazione alle condizioni di mercato, avvalendosi di strumenti a disposizione dei mercati». Ovvero, via libera ai derivati, anche a quelli non solo di copertura.
Gianluca Paolucci, La Stampa 27/6/2015