Matteo Indice, La Stampa 27/6/2015, 27 giugno 2015
YASSIN, L’OPERAIO MODELLO CON UNA DOPPIA ESISTENZA
Si porta la mano alla bocca, fissa le telecamere schierate davanti ai cubi di cemento dove la polizia blocca l’entrata e però non ce la fa, deve gridare mentre con il dito indica un altro grappolo di case poco più indietro: «Anche lì è pieno di quelli che sono partiti per fare la guerra». Veronique è una delle donne corse qui in Rue Alfred de Vigny 45, Saint-Priest, sobborgo di Lione pieno di condomini bassi, un po’ di verde, parcheggi e niente a che vedere con la banlieue di Parigi. Un posto anonimo dove adesso bisogna quasi fare la fila per guardare i citofoni; dove Yassin Salhi, l’uomo che ha assaltato lo stabilimento Air Products di Saint-Quentin-Fallavier a una quindicina di chilometri, viveva senza dare troppo nell’occhio.
Sotto traccia
Sapeva riemergere e inabissarsi, Salhi, strana figura di terrorista che oggi parrebbe della porta accanto – ma parecchie volte lo avevano schedato – senza dubbio abile a mimetizzarsi nel momento giusto, capace di sbiadire quando sentiva troppo fiato sul collo. Dominique Becquard che vive tre portoni più avanti vorrebbe dire di più, ma non ci riesce e la sua frustrazione racconta indirettamente quanto del suo mondo l’assassino si tenesse dentro. «La cosa più strana che gli hanno visto fare qui erano le preghiere al mattino presto, quando la moglie e i tre figli ancora non s’erano alzati. Gli aveva procurato pure qualche problema con i vicini: ma si scusava discreto, e alla fine nessuno gli aveva dato troppo peso».
Spesso al pelo dell’acqua, quest’operaio di 35 anni che manteneva una famiglia e un appartamento da 800 euro al mese: pianterreno, però grande, con le finestre affacciate sul giardinetto condominiale dove la sera giocava a pallone con i bimbi, «un appuntamento quasi quotidiano».
«Radicalizzato»
Non era a Saint-Priest da tanto, sette mesi scarsi più o meno coincidenti all’impiego per la Colicom, ditta di trasporti con base nella vicina Chassieu. Ogni mattina a guidare il furgone per fare consegne, e certo il nuovo direttore generale Hervé Cornara, che ieri lo accompagnava, non sapeva quasi nulla di lui. Per esempio che fra il 2006 e il 2008 era arrivata la prima schedatura, che già 9 anni fa i servizi francesi ne mettevano in risalto la «radicalizzazione» a Besançon, dove si era trasferito quindicenne dopo essere nato a Pontarlier, da padre algerino e madre marocchina. Musulmano salafita, Salhi, in una scala di pericolosità che va da 1 a 16 gli avevano appioppato il 13.
Ecco, lui era uno di quelli che alla fine era riuscito a drenare il suo alone di fondamentalista, un filo afferrato e sfuggito in un paio d’anni. Dal 2008 già si preoccupano poco o nulla di lui, nel 2011 risale un po’ nella gerarchia locale dei fondamentalisti: non lo arrestano, s’intravede e sprofonda. Riflettori di nuovo spenti fino all’intervallo forse cruciale, l’ultima possibilità d’intercettarne la coscienza. È la seconda metà del 2013, quando lui e i suoi due amici più stretti sono classificati «musulmani duri». Lo dicono due note diverse redatte dai servizi d’informazione del dipartimento di Doubs, la seconda rimanda ai primi mesi del 2014. Di cosa si parlava, in quei documenti? Uno dei principali argomenti era per lui la creazione di un istituto musulmano a Besançon, non proprio un salto di qualità. Quello, semmai, spunta dal secondo dossier, nato dalle soffiate dei vicini e ingrassato da qualche pedinamento.
Il «salto di qualità»
Salhi comincia a sparire in modo regolare da casa, «anche per due-tre mesi di seguito» e nessuno sa bene dove vada. Si addestra da qualche parte? Ricorrono, nell’ultima informativa, le descrizioni di riunioni domestiche alle quali prendevano parte «uomini in mimetica», le conversazioni sul pianerottolo con riferimenti espliciti alla jihad e al Mali. È abbastanza, per alzare il livello di guardia? Un po’ di controlli li fanno, nulla di paragonabile a una vera «sorveglianza».
C’è poi un altro aspetto cui gli incartamenti dedicano un fugace passaggio: Yassin Salhi che dimagrisce di colpo, si rasa la barba, il suo aspetto cambia in maniera «brutale». Di nuovo al pelo dell’acqua, mai come prima, ed ecco il trasferimento a Saint-Priest. Riprende qualche chilo, trova il lavoro alla Colicom, parla poco e sorride solo ai bambini: «Al massimo lo notavamo per le preghiere la mattina presto». Appunto. Non ne sapevano nulla, come il suo nuovo direttore generale Hervé Corvara. La moglie della vittima dice che li ha visti parlare animosamente, che a un certo punto Salhi lo ha come spinto dentro il furgone. Quando ha saputo del massacro a San Quentin ha capito. Yassin era riemerso, e stavolta non c’era più acqua per inabissarsi ancora.
Matteo Indice, La Stampa 27/6/2015