Antonella Rampino, La Stampa 27/6/2015, 27 giugno 2015
UNA CITTÀ FABBRICA DI JIHADISTI MILLE PARTITI DA LÌ PER LA SIRIA
Con l’attentato di ieri a Sousse, la Tunisia è una democrazia sull’orlo del vulcano. La dinamica della carneficina ancora non è stata chiarita, ma ricorda quella dei pirati che assaltavano giungendo dal mare cancellando il turismo di perle come Lamu o Zanzibar. Soprattutto, Sousse è il luogo dal quale proviene un terzo dei 3000 tunisini che si sono consegnati al Califfato. Come si mormora a mezzabocca nelle diplomazie occidentali, questa strage a tre mesi dal Bardo è un colpo mortale per il turismo, che nel Paese dei gelsomini, abituato a ricevere 6 milioni di viaggiatori l’anno, vale il 15% del Pil e dà lavoro a 400 mila persone. Dopo il Bardo, il crollo valutario connesso ai vacanzieri mancanti era stato del 26,3 per cento.
L’obiettivo politico
Con Sousse la jihad punta dritto al cuore dello Stato. Se è vero che uno degli alberghi presi d’assalto è di proprietà di un deputato di Nidaa Tounes, Zorah Driss, si tratta solo di una conferma in più: l’obiettivo dei simpatizzanti o affiliati al Daesh è far fallire il «compromesso storico» tra l’Islam politico di Ennadha e il campo laico e secolarizzato di Nidaa Tounes, che esprime sia il presidente della Repubblica Essebsi (che batté al voto l’islamico Marzouki) sia il premier Essid. Un modello, quello della solidarietà nazionale, fortemente sostenuto dalla società civile, che tiene ad allargare (come è successo scrivendo la Costituzione) le libertà che pure in parte Ben Alì aveva inoculato, e che ora di fronte al terrorismo potrebbero venir compresse per le necessarie politiche di repressione. «Dopo 4 anni di sacrifici ed energie spese, il terrorismo riuscirà a riportarci in un regime di polizia», ha twittato a caldo Farah Hached, il presidente di LaboDemocratique.
L’allarme delle Cancellerie
A Tunisi, ieri, si discuteva del processo che si apre a giorni per il più grave degli assassinii politici, quello di Chokri Belaid, dell’evasione fiscale sotto la lente d’ingrandimento della World Bank, del nuovo programma economico-sociale per il 2016-2020, di come limare le prebende per gli ex Presidenti della Repubblica. L’altroieri la Difesa aveva assicurato che «le frontiere con la Libia sono in sicurezza grazie al piano militare, e con gli algerini c’è collaborazione contro infiltrazioni terroristiche». Ma solo il 16 giugno c’è stato un violento scontro a fuoco - 3 morti e 12 feriti - per un attentato dell’Is contro la polizia a Sidi Bousaid. La carneficina di Sousse impoverirà grandemente un Paese che è anche un avamposto occidentalizzato al di là della Sicilia. L’allarme delle Cancellerie è massimo, come mostra la telefonata di Gentiloni col suo omologo di Tunisi: occorre rafforzare la cooperazione, incrementare quegli aiuti (per l’Italia sono stati 150 milioni dal 2011 a oggi, e si stanno esaurendo) per fornire alla Tunisia addestramento e strumenti (non armi) per difendersi dalla minaccia islamista. Serve a difendere anche noi. Lo ha capito Barack Obama, che già il 20 maggio scorso ha disposto quei sussidi ricevendo Essesbi alla Casa Bianca. Ora spetta all’Italia, ma soprattutto all’Europa.
Antonella Rampino, La Stampa 27/6/2015