Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 27/6/2015, 27 giugno 2015
DA NOI LE GUERRE DELL’ISLAM
L’arco delle guerre dell’Islam si incunea in Europa e sconvolge nel sangue l’estate mediterranea. La sequenza degli eventi non è casuale. Il 29 giugno 2014, all’indomani della conquista di Mosul, l’Isis proclamava il Califfato guidato da Abu Bakr Baghdadi. Un anno dopo, nonostante qualche sconfitta, il Califfato ha tenuto le posizioni in Siria, è avanzato in Iraq e ha esteso la sua influenza nel mondo arabo-musulmano.
È difficile dire se ci possa essere un coordinamento dietro i tre attentati contemporanei e non ancora rivendicati in Francia, Tunisia e Kuwait - anzi si potrebbe escludere - ma l’anniversario della nascita del Califfato è più di una coincidenza: da Oriente a Occidente jihadisti di varie provenienze hanno espresso fedeltà al califfo Baghdadi o si sono ispirati alle gesta dell’Isis.
Che fare? Il primo punto è che abbiamo la guerra alle porte di casa. L’Europa deve prendere atto di una realtà geopolitica ineludibile: dalla Siria all’Iraq, dallo Yemen alla Libia, interi stati si stanno disgregando e la mappa del Medio Oriente riporta frontiere e nazioni che non esistono più. Questo processo, assolutamente fuori controllo, provoca un enorme vuoto di potere, già cominciato con l’attacco americano a Saddam nel 2003: l’Iraq è stata una calamita per Al Qaeda e lì è nato il Califfato. Poi sono venute, nel 2011, le rivolte arabe, un’occasione per abbattere auotcrati senescenti ma anche per scatenare le ambizioni di rivincita delle potenze sunnite in lotta contro l’espansione dell’Iran degli ayatollah. Al Qaeda e lo Stato Islamico sono la punta di diamante dell’oscurantismo sunnita.
Mai dimenticare che le prime vittime del terrorismo sono proprio i musulmani e che quello cui stiamo assistendo è soprattutto una lotta sanguinosa dentro l’Islam. Ma è anche evidente che non si può restare spettatori neutrali e reagire soltanto quando la barbarie ci colpisce direttamente.
La Tunisia da sola non ce la fa a fronteggiare il terrorismo islamico. Lo ha detto anche il suo presidente, Caid Essebsi. La Tunisia ha visto affluire oltre un milione di libici, le frontiere sono state infiltrate dai jihadisti, inoltre questo è il Paese che ha fornito il contingente più numeroso dei foreign fighters che in Siria combattono sotto il vesillo dei gruppi più radicali. Mentre in Francia, da quel fatale attacco del 7 gennaio di Charlie Hebdo, hanno capito che il modello di integrazione sociale degli immigrati della Répubblique è in crisi, in Kuwait con la strage alla moschea Sadiq, di venerdì e in pieno Ramadan, gli sciiti hanno pagato la predicazione degli imam sunniti che puntano alla divisione settaria del mondo musulmano.
La Tunisia è un bersaglio privilegiato dei jihadisti, l’unico Paese arabo, dopo le “primavere”, a imboccare la via democratica. È certo che ancora una volta i tunisini scenderanno in piazza per difendere le loro conquiste ma l’Europa deve far seguire alle parole, già spese in abbondanza dopo l’attentato del Bardo, i fatti: la Tunisia è un nostro vicino di casa in difficoltà e deve essere aiutato, sia dal punto di vista economico che della sicurezza. Così come devono essere sostenuti i curdi in lotta contro il Califfato.
Ma abbiamo una strategia europea contro il terrorismo? È venuto il momento di darsela, avviando anche gli sforzi diplomatici necessari per capire cosa vogliono i nostri alleati musulmani, dalla Turchia alle monarchie del Golfo.
Fermare la guerra in Siria, il Califfato e i gruppi jihadisti senza di loro, più che sospettati di aiutare gli islamici radicali, è impossibile: chiederanno contropartite importanti ma è un imperativo discuterle apertamente e non sotto traccia come è stato fatto finora. Così come potrebbe essere fondamentale, per bilanciare il mondo sunnita, la firma del trattato nucleare con l’Iran. E l’Europa dovrà rimettere allo stesso tavolo anche Stati Uniti e Russia, altrimenti non si va da nessuna parte.
Ma oltre agli aspetti securitari c’è un problema culturale e religioso. Il jihadismo è l’espressione armata di una versione dell’Islam che interpreta alla lettera il Corano. Migliaia di imam, finanziati da monarchie del Golfo o sostenuti da organizzazione islamiche private, predicano odio e intolleranza contro musulmani moderati e infedeli. Stati Uniti e Occidente hanno molte colpe nel disordine mediorientale: possono intanto smettere di essere complici silenziosi dei loro mandanti.
Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 27/6/2015