Guido Gentili, IL - Il Sole 24 Ore 7/2015, 25 giugno 2015
RADICALI
Ora, che il Partito Radicale – nel senso del movimento che ha come “padre fondatore” Marco Pannella, una centravanti come Emma Bonino e un’ottima segretaria come Rita Bernardini – si occupi di giustizia, e in particolare di carceri, è un fatto. Che sta nel suo codice genetico e nella storia italiana dei diritti e degli abusi. Di questo dobbiamo essere grati, ai radicali. Sia lecito, però, domandarsi se questa magnifica ossessione delle carceri e dell’amnistia non abbia finito col mettere nell’ombra altri pezzi pesanti della storica battaglia radicale. Che qua e là riaffiora, ma che ha perso smalto e presa politica. Un esempio: la guerra al debito pubblico. Certo, si può cliccare sul sito radicali.it e, nella sezione Documenti e dossier, si possono leggere le 11 cartelle di Marcello Crivellini dedicate al tema. Parliamo del settembre 2014, dunque un’analisi tanto fresca quanto interessante. Che però, appunto, sembra aver il sapore di una testimonianza più che quello di una battaglia in corso. Perché di fatto, politicamente (e anche psicologicamente?) i radicali sono altrove. Conviene, allora, ricordare che la guerra dei radicali al debito data dagli inizi degli anni Ottanta. Tra le proposte, c’era già la revisione co-stituzionale dell’articolo 81. Come bandiera, l’attacco al “monopartitismo” del debito e della spesa pub-blica. Osserva, Crivellini, che mentre per alcuni diritti civili (divorzio, obiezione di coscienza, aborto) le battaglie radicali sono state vincenti, nel settore economico e dell’assetto dello Stato il sistema dei partiti è stato più compatto, «riuscendo a imporre il fermo di ogni innovazione e necessaria modernità». Perfetto. Vuoi dire che la guerra vera al debito deve ancora cominciare. E se ci fossero – impegnati al massimo – anche i radicali, sarebbe molto meglio.