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 2015  giugno 25 Giovedì calendario

UN INGEGNERE A BARI


[Antonio Decaro]

Mi accoglie in maniche di camicia: «Piacere, Antonio. Mi devo mettere la giacca? Perché non la metto mai...». E poi mi fa accomodare nel suo ufficio, una sala affrescata nell’ottocentesco Palazzo di Città, all’interno del Teatro Piccinni: l’ambiente circostante è austero e un po’ vuoto, con busti in marmo su piedistalli in legno scuro, ritratti vari e icone di San Nicola appese alle pareti; i modi sono accoglienti e informali come sanno essere quelli del Sud. Del resto siamo a Bari.
Forse questa è una città poco raccontata. Tra i pochi che ci sono riusciti: Alessandro Piva con i film LaCapaGira e Mio Cognato, girati tra i sassi bianchi della Bari Vecchia e il lungomare un tempo appesantito da Punta Perotti, complesso edilizio mai completato, abbattuto nel 2006. Sarà forse anche per questo che il cambiamento che ha attraversato la città non è stato molto recepito nel resto del Paese. Da dieci anni a questa parte, infatti, Bari è una città diversa. Le viuzze del centro antico, che circondano la Basilica e la Cattedrale, salgono al Fortino e scendono fino al Castello Svevo, ora sono frequentate da gruppi di turisti appena scesi dalle navi da crociera e sembrano avere perso la loro cattiva fama. Cappellini in testa, le comitive si aggirano incuriosite tra le donne che vendono orecchiette fatte a mano sull’uscio di casa e i bar alla moda che oggi popolano questa parte della città.
Incontro il sindaco Antonio Decaro, 45 anni quest’anno, in un lunedì di fine maggio. È abbronzato come chi vive al mare, eppure si capisce che ha una fitta rete di impegni da assolvere. «Cosa abbiamo dopo?», si informa con la sua addetta stampa prima di sedersi su un divanetto e cominciare il racconto della città, che, tiene a specificare, l’ha fortemente voluto a capo dell’amministrazione. «Sono venuto a fare il sindaco per il rapporto con i cittadini: vivevo a Roma, facevo il parlamentare del Partito democratico e pensavo che avrei fatto altro», spiega. «Poi con 1’avvicinarsi delle elezioni, ogni volta che tornavo a Bari venivo fermato per strada: a piedi, perfino in macchina. Tutti a chiedermi se avessi deciso di candidarmi. Pensavo di essere su Scherzi a Parte. Anche la mia famiglia, che all’inizio non era favorevole, mi ha appoggiato. Poi c’è stata mia madre: “Antonio, vedi che se non ti candidi fai una figura di merda”». E ridendo aggiunge: «Cosa potevo fare?».
Secondo l’annuale classifica del Sole24Ore, Decaro è il secondo sindaco in Italia per gradimento, dopo Dario Nardella e prima di Giorgio Gori: «Mia figlia tredicenne mi ha detto “Papà, pensa allora come stanno frecate [messe male] le altre città», commenta divertito. Il sostegno da parte dei baresi, in realtà, è uno dei grandi motori della carriera di Decaro.
“Tonino” per tanti, “Sindaco” per tutti e 313mila gli abitanti della città (1,2 milioni se si considera l’area metropolitana che conta 41 comuni), è un tipo pratico: ingegnere, ex collaboratore del Politecnico di Bari, dipendente dell’Anas attualmente in aspettativa per quest’incursione nella politica che dura ormai da oltre dieci anni, è un analitico, un concreto. Lo si capisce dagli aneddoti, dal linguaggio. E dal fatto che si è candidato (via Facebook) con un video girato sotto una delle telecamere della zona a traffico limitato: «La mia passione erano i trasporti: ho passato cinque anni al fianco di Michele Emiliano come assessore e ho chiuso due terzi del centro cittadino al traffico: ho realizzato i parcheggi di scambio, che peraltro uso io stesso. Poi c’è stato il trenino che collega il quartiere San Paolo al cuore della città: si è rivelato uno strumento di ricucitura sociale, ma io questo l’avrei scoperto dopo, vedendo i ragazzini del San Paolo passeggiare in centro. Prima per arrivarci impiegavano 59 minuti con l’autobus 53, l’unico mezzo a disposizione. Ora ce ne vogliono dodici: lì ho capito come un’opera legata ai trasporti possa acquisire una rilevanza sociale». Su questa base ha costruito la sua linea di governo. I primi promotori della città fuori dai suoi confini, di fatto, sono i baresi. Spesso gli expat, trapiantati in zone d’Italia che offrono più lavoro, non perdono la loro identità. «Abbiamo chiesto a molti di tornare qui e darci una mano: Gianrico Carofiglio, che oggi è presidente della Fondazione Petruzzelli, una carica che di solito spetta al sindaco ma che la legge Bray ha permesso di assegnare ad altri; ho chiesto a Massimo Torrigiani di fare il direttore del Polo delle Arti Contemporanee. Ci aiuterà a costruirlo e a gestirlo: sorgerà tra Palazzo Murat, il Teatro Margherita e l’ex Mercato del Pesce».
«Non so se le mie figlie, una volta cresciute, rimarranno qui», racconta Decaro. «A me piacerebbe. In questo sono molto meridionale. Da sindaco vorrei che Bari diventasse una città migliore per chi ci vive e più appetibile per chi, invece, viene da altre realtà: vorrei che mia figlia potesse fare la giornalista a Londra e magari un londinese potesse venire a Bari a fare il chirurgo».
Il rilancio culturale, gli eventi sportivi, come la Deejay Ten di marzo e la Color Run di luglio, la riqualificazione dei trasporti all’insegna della sostenibilità: la nuova vita della città biancorossa – che qualcuno dice sia ispirata a Barcellona, ma Decaro non cita modelli di riferimento parte da iniziative concrete e visibili. A monte, però c’è anche un progetto sociale: «Qui il 21 per cento della popolazione è sotto la soglia di povertà. Noi vogliamo appiattire queste differenze, anche con la corsa se serve. Certo: gli eventi aiutano ma non bastano. Bisognerebbe modificare il meccanismo fiscale a livello nazionale. Noi intanto cerchiamo di fare il possibile».
E qui ritorna l’importanza dell’interazione con i cittadini: «Li incontro tutti i santi martedì mattina, insieme ai miei assessori e ai presidenti dei cinque municipi. Il primo giorno abbiamo lasciato l’ingresso libero e si sono presentate duecento persone: abbiamo finito a notte fonda. Oggi ricevo venti, venticinque famiglie ogni settimana, previo appuntamento telefonico. I temi più gettonati sono il lavoro e la casa. Io non ho promesso di trovare impieghi, ma con la giunta abbiamo comunque avviato un programma che si chiama “cantieri di cittadinanza”, una variazione del concetto del reddito di cittadinanza: il Comune finanzia, con 400 euro al mese a persona, le aziende che si impegnano ad assumere. Abbiamo avuto 1200 candidature; i posti per quest’anno sono solo 400, ma avendo avuto un buon feedback dalle imprese, dai bar come dalle multinazionali, puntiamo ad alzare la soglia a 800».
Trovare i soldi da investire, in un’epoca in cui ai Comuni sono richiesti tagli, non è semplice. Il dialogo con il governo regionale, e ancor di più con quello nazionale, è fondamentale. Avere un presidente del Consiglio e un presidente di Regione con alle spalle un’esperienza da sindaci è un vantaggio, dal punto di vista di Decaro, che peraltro è considerato dalla stampa un renziano di ferro: «Renzi sa cosa vuol dire fare il sindaco: incontrava i cittadini di Firenze tutti i martedì proprio come me. Michele [Emiliano] addirittura chiacchierava tutti i giorni con chi lo fermava davanti al portone. Sanno quali sono i bisogni e le esigenze della gente; sanno che dobbiamo investire sul lavoro e sui servizi sociali per tamponare le fratture. E poi conoscono i problemi burocratici, con cui noi sindaci abbiamo quotidianamente a che fare: uno dei primi provvedimenti del governo Renzi è stato quello di allentare il patto di stabilità. Era assurdo che un comune virtuoso non potesse spendere soldi una volta superato il tetto del patto. So che da presidente della Regione Emiliano sarà consapevole di tutto questo e di molto altro».
Ma governare una città significa soprattutto amarla: «Di Bari amo molte cose: il centro storico con le strade piccoline dove ci sono le signore che lavano le chianche [pietre] bianche che sentono come un’estensione della propria abitazione. Dove si sentono i profumi della cucina tipica di Bari. Poi ci sono la Cattedrale e la Basilica: dà emozione solo guardarle». E, ancora: «Le ex frazioni marine come Torre a Mare, dove abito io, e posti nascosti come una chiesa rupestre che sta vicino a Santa Candida. Non sempre sono facilmente accessibili, sono percorsi particolari. Però c’è un ragazzo che si chiama Sergio, fa parte di una cooperativa che si occupa di fare visite guidate in questi luoghi che ti riportano indietro nel tempo. Bisognerebbe chiedere a lui di portarvi».