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 2015  giugno 25 Giovedì calendario

RIFORMA BUROCRATICA, CATASTO, LEGGE ELETTORALE: TRE ESEMPI DI LEGGI DEL GOVERNO RENZI FATTE ALLA CARLONA, INUTILI, DANNOSE E DA RIFARE

Che un consigliere economico del premier dica peste e corna dell’azione del governo può accadere in una conversazione privata, magari in un colloquio a quattr’occhi. Ma vederlo in pubblico, addirittura in tv, fa un certo effetto. Eppure è proprio questo che è accaduto martedì sera a Ballarò, su Raitre, quando Veronica De Romanis, consigliera economica del premier Matteo Renzi, ha letteralmente ridicolizzato il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, sulle tasse e non solo. Martina aveva appena finito di dire che il governo «ha già tagliato e continuerà a tagliare le tasse»: slogan caro a Renzi, refrain che anche il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ripete in ogni intervento, ricordando gli 80 euro e la riduzione parziale dell’Irap. Si dà però il caso che i numeri parlino di una pressione fiscale per nulla diminuita, bensì tra le più elevate in Europa. Ed è proprio partendo da questi numeri che la De Romanis ha fatto il controcanto a Martina.
Prima questione, il fisco. La pressione fiscale in Italia, ha precisato De Romanis, è al 43,5%, mentre la zona euro è sotto il 40%, la Germania al 39% e la Spagna al 37%. «La Spagna ha fatto un grande sforzo», ha aggiunto la consigliera di Renzi. «Ha fatto le riforme che dovremmo fare noi, e oggi si ritrova una crescita tendenziale del 2,7%, mentre la nostra è dello 0,1. Una riforma fatta bene dalla Spagna, per esempio, è quella della pubblica amministrazione». E qui la signora De Romanis ha messo a fuoco una seconda questione.
«Diversamente dall’Italia, in nessun Paese la riforma della pubblica amministrazione è stata separata dalla spending review. In Spagna, come in Inghilterra, la spending review è stata fatta per ridurre le tasse e affidata non a un commissario tecnico, ma a un politico, ovvero al ministro dell’Economia, che ha spiegato al proprio Paese cosa lo Stato deve fare e con quali risorse. Da noi, invece, si sta facendo una riforma della burocrazia senza alcun collegamento con la spending review, con il risultato che il disegno complessivo della riforma non è chiaro, in quanto non se ne conoscono gli obiettivi quantitativi, né quelli qualitativi». Visto l’imbarazzo del ministro Martina, il moderatore Massimo Giannini si è affrettato a togliere la parola alla De Romanis, ma la frittata ormai era fatta
Quella della pubblica amministrazione, affidata all’inesperta Marianna Madia, non è l’unica riforma alla carlona di questo governo. Renzi ha certamente dei meriti rispetto agli esecutivi del passato, è più determinato nel sostenere le riforme che giudica necessarie per «cambiare verso» all’Italia, ma i ministri scarsi sono troppi, e la stesura dei testi di legge lascia spesso a desiderare. A volte, rivelano un tasso di improvvisazione e di dilettantismo preoccupanti. L’ultimo esempio è il decreto sul catasto, che insieme ad altri doveva essere attuativo della legge delega di riforma del fisco, approvata nel marzo 2014, quindici mesi fa.
Il nuovo catasto doveva essere discusso e approvato dal Consiglio dei ministri di domani, ma, all’ultimo momento, è stato ritirato perché una simulazione della sua applicazione (basata sui metri quadri invece che sui vani) avrebbe comportato in quasi tutte le grandi città un aumento vertiginoso delle nuove rendite catastali, con il rischio di fare raddoppiare o triplicare le imposte sulla casa, nonostante la legge delega avesse garantito l’invarianza del gettito dopo la riforma. Voci dal Palazzo dicono che l’errore sul decreto-catasto, piuttosto grossolano, sia da attribuire a un consigliere tributario del ministro Padoan, alla disperata ricerca di 10 miliardi per evitare che nel 2016 scatti la clausola di salvaguardia sui conti pubblici, con un aumento automatico dell’Iva. Insomma, un’altra riforma alla carlona, che ha rischiato di diventare l’ennesima stangata sulla casa in dimensioni tali da spaventare anche Renzi, oltre a 25 milioni di proprietari di case.
Non è finita. Anche l’Italicum, la nuova legge elettorale, approvata poche settimane fa, sembra già destinata a ingrossare il numero delle leggi sbagliate, perciò da rifare. Tesi sostenuta quindici giorni fa, per primo, da Pierluigi Magnaschi su ItaliaOggi e ripresa ieri da Stefano Folli su Repubblica oltre che da Giovanni Toti, neopresidente della Liguria, sul Corriere della sera. Tutti con le stesse motivazioni: i risultati delle recenti comunali hanno ridimensionato il 40% del Pd di Renzi alle europee, per cui il premio di maggioranza assegnato alla lista-partito che vincerà il ballottaggio nelle prossime elezioni politiche potrebbe consegnare, a sorpresa, la vittoria al M5s di Grillo. Da qui l’idea di correggere al più presto l’Italicum, assegnando il premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista: ritocco auspicato perfino da Roberto D’Alimonte, ideatore della legge elettorale per conto di Renzi.
L’Italicum, voluto da Renzi ad ogni costo (anche, se non soprattutto, contro la sinistra del Pd), ha tenuto impegnato Camera e Senato per mesi, mentre altre riforme, più urgenti per l’economia, restavano nel cassetto. Soltanto dopo la sua approvazione si è capito che è una legge sbagliata e pericolosa, fatta alla carlona. Quante ne dovremo vedere ancora? Sicuri, a Palazzo Chigi, che l’ex capo dei vigili di Firenze sia la giurista giusta al posto giusto?
Tino Oldani, ItaliaOggi 25/6/2015