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 2015  giugno 25 Giovedì calendario

«CONTADOR-NIBALI, SARA’ UN GRAN TOUR» – 

C’è chi, la bici, la inforca e la cavalca. Lui la doma e la domina. C’è chi, sulla bici, si arrampica e si siede. Lui la troneggia. Inconfondibile, inestimabile, indimenticabile. Solenne, silente, speciale. Il principe di Navarra, il grande Miguel. Indurain, «la sua sagoma bruna ed elegante» come scriveva Gianni Mura, sui prati del Gardena, nel bosco del Sella, sui tornanti del Pordoi, sul drittone del Fedaia, fra le guglie delle Dolomiti.
Indurain, maestro di ciclismo?
«È la mia prima volta. Una scuola, ma più un incontro, un appuntamento, un’occasione. Anzi, cinque. Cinque giorni per uscire e pedalare insieme, in un teatro dove il ciclismo si fonde con la natura. Per pochi intimi, al meglio: la base ladina all’Hotel La Perla, il cuore della Maratona dles Dolomites, l’organizzazione americana di inGAMBA, specializzata in Giro e Tour, e le bici Pinarello, le mie, fra Sellaronda e Marmolada».
Quasi 51 anni di vita, 40 di bici.
«Trentanove. A 12, a Villava, il villaggio dove sono nato, partecipai alla mia prima gara. Era un circuito, secondo in volata. Alla seconda corsa arrivai da solo e vinsi. Ma vincevo anche in volata: solo se ristrette altrimenti non mi piacevano. Biciclette, a casa, ce n’erano sempre state. A cominciare da quella con cui papà girava per il paese e la campagna, e quelle dei miei cinque fratelli: io il secondo, Prudencio il quarto, gli unici a innamorarsi a tal punto della bici da non poterne fare a meno».
La bici è…
«Piacere, divertimento, allegria».
Il ciclismo è…
«Uno stile di vita, una forma di lavoro. Una sfida, una lotta. E sempre un piacere, una passione. Senza, non si va avanti».
Due volte primo, una terzo. Il Giro d’Italia è…
«Passione. Ed è la corsa più imprevedibile: il Nord e il Sud sono così diversi».
Cinque vittorie consecutive. Il Tour de France è…
«Spettacolo, prestigio, organizzazione. E i migliori corridori al mondo».
Migliore risultato un secondo posto. La Vuelta è…
«La mia terra e il mio cielo. Arena e corrida. Agonisticamente, non ho mai avuto una buona relazione. Ma vincere non è tutto».
Ha seguito l’ultimo Giro d’Italia?
«Bello, no? Tutti i giorni una battaglia. Contador era superiore, Landa una sorpresa, Aru si è dimostrato valoroso. Forse ha pagato responsabilità e pressione. Poi, liberatosi da quel peso, è risorto».
Seguirà il Tour?
«L’assenza di una crono lunga aprirà la classifica. Contador può fare la doppietta Giro-Tour: al Giro non ha speso molto, e poi ha classe ed esperienza. Nibali, rispetto agli altri, ha coraggio e fantasia per inventare la corsa: e il Delfinato è solo un test, c’è tempo per correggere e rimediare, il Tour è un’altra storia. Quintana è un’incognita, e c’è tutto il Sudamerica a guardarlo. Froome ha quel modo di pedalare così strano, ma efficace. E poi gli altri, dai francesi a ‘Purito’, che stavolta non deve recuperare i 4-5 minuti della crono».
Wiggins ha sfondato i 55 all’ora.
«Ero a Londra, uno spettacolo. Lui, in simbiosi con la bici. Lo sforzo maggiore è tenere quella posizione: centrati e concentrati. E lui è perfetto: dipinto. Io tentai il record dopo il Tour, solo per batterlo, e superai i 53. Quando ci riprovai, in Colombia, abbandonai a metà: non m’ero abituato all’altitudine e all’alimentazione. Resta quella bici: meravigliosa, sembra un quadro di Mirò».
Quante bici le rimangono?
«Due usate per il Tour, una da strada e l’altra da crono. Una di quando ero piccolo. Un’altra da corsa. E un’altra da città per girare a Pamplona».
E quanto gira?
«Non ho mai fatto parte di squadre o federazioni, mai lavorato da opinionista o politico. Mi piace la bici: da guardare, sentire, annusare. E mi piace pedalare: che è ascoltare, respirare, abitare. Anche faticare, ma di una fatica sana. Così, quando mi chiamano, se posso vado e vengo. Alla Quebrantahuesos, 8500 iscritti, numero chiuso, perché la corsa sconfinava in Francia, e c’erano i gendarmi a contare i corridori. Qui sulle Dolomiti. Domenica alla Granfondo La Campionissimo all’Aprica con Gavia, Mortirolo e Santa Cristina. Poi cinque giorni dal mio amico Raul Alcala in Messico. E spesso lungo il Cammino di Santiago di Compostela».
È vero che aveva 28 battiti del cuore e 8 litri di capacità polmonare?
«I battiti forse erano 30. E i litri non li ho mai contati. Ma quello che conta è la passione. E si misura così, a occhio. Smorfie di sacrifici come sorrisi di felicità».