Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore 25/6/2015, 25 giugno 2015
PERCHE’ ATENE NON È RIPARTITA COME SPAGNA E PORTOGALLO
E poi? Atene e Bruxelles potrebbero raggiungere presto un accordo. Questi almeno sono gli auspici, dopo l’ultima proposta presentata dal Governo ellenico. Il paese riceverà quindi la nuova tranche di aiuti e potrà andare avanti. La domanda è: verso dove? Il nodo della sostenibilità del debito va ancora risolto, e non è cosa facile: la Grecia deve tornare a crescere, dopo un primo tentativo fallito.
Sono in molti a pensare che, prima o poi, il debito greco dovrà essere ridimensionato. È una questione politica: il 70% almeno dell’esposizione di Atene è nelle mani dei paesi partner e del Fondo monetario internazionale. Rinunciare a una parte di questi crediti significa farne ricadere il peso su bilanci pubblici, ed eventualmente sui contribuenti. Le dimensioni – relative – del debito greco sono tali però da richiedere un altro tassello per garantirne la sostenibilità: la crescita economica. Solo un aumento sostenuto del pil può permettere al governo di trovare le risorse necessarie per pagare capitale e interessi.
«Il principale problema, in Grecia, non è l’austerità, ma il fatto che non ha un modello di crescita», spiega Stephen L. Jen di Slj MacroPartners. Una frase che, pur perentoria, racconta solo una parte della verità. Perché la Grecia ha già adottato nel 2010, sotto la guida del Fondo monetario internazionale, un piano per stimolare la crescita, che ha clamorosamente fallito.
Non è stato solo un problema di cattiva applicazione del programma: su questo punto le opinioni divergono e non mancano economisti che ritengono le “pagelle” della Grecia, sotto questo aspetto, paragonabili a quelle del Portogallo. Il punto è che qualcosa non ha proprio funzionato. Il costo del lavoro è calato, e bruscamente, ed è quindi sceso il tasso di cambio effettivo reale: in un’Unione monetaria, la flessione di salari e prezzi può funzionare “come” una svalutazione. Il risultato – come ha recentemente dimostrato in una conferenza ad Atene Zsolt Darvas della Breugel – è stato che le esportazioni sono state deboli: la Grecia ha avuto le peggiori performance in Eurolandia, mentre i paesi con un analogo deprezzamento del cambio effettivo reale (Spagna e Portogallo) sono stati i migliori, con un miglioramento della bilancia commerciale paragonabile a quello della Germania.
Trasporto marittimo e turismo, due settori in cui il paese ha un vantaggio competitivo, non sono riusciti a fare la differenza: sono stati infatti i servizi a crescere molto poco, mentre le esportazioni di beni sono aumentate, sia pure a un ritmo più basso di quanto ci si sarebbe aspettato. Secondo uno studio di Uver Böwer, Vasiliki Michou e Christopher Ungerer del direttorato generale degli Affari economici e finanziari dell’Unione europea, le esportazioni greche sono risultate di un terzo più basse rispetto alle attese e la differenza è tutta legata alla qualità delle istituzioni: è la competitività non basata sui costi che va migliorata. Darvas sottolinea che il paese pone barriere agli investimenti diretti esteri e al commercio internazionale, impone un trattamento differenziato a fornitori domestici e stranieri, non garantisce il rispetto dei contratti.
Ha naturalmente anche pesato un errore di progettazione. Il piano della Troika del 2010 era disegnato in modo tale che di fronte al peggioramento dell’andamento del pil – peraltro legato alla debole ripresa di Eurolandia - imponeva alla Grecia di aumentare la pressione fiscale e quindi di peggiorare la situazione. L’incertezza sul destino del paese, mai venuta meno – aggiunge Darvas – ha inoltre disincentivato consumi e investimenti, generato una flessione delle quotazioni degli assets finanziari e incentivato un deflusso di capitali. Se il nodo sono le istituzioni, saranno le istituzioni a dover essere riformate, adesso. Compito non facile, dal momento che l’accordo con Bruxelles, un evidente compromesso, potrebbe comunque creare una maggiore instabilità politica ad Atene. Ridurre la corruzione, l’evasione fiscale, il peso dell’economia sommersa, l’eccesso di regolamentazione e di burocrazia, i vincoli alla concorrenza, ma anche banalmente il miglioramento della pianificazione territoriale ai fini economici, della giustizia civile e dell’istruzione pubblica sembrano essere le misure fondamentali, insieme a una rivisitazione di tutti i provvedimenti che disincentivano la partecipazione al mercato del lavoro.