Michele Salvati, Corriere della Sera 25/6/2015, 25 giugno 2015
IL CENTRODESTRA DEI MODERATI CHE PUO’ FAR BENE ALLA SINISTRA –
E saurita la prima raffica di commenti sulle elezioni regionali e comunali, è il caso di allungare lo sguardo al prossimo futuro, alla navigazione del governo sino al prossimo riscontro elettorale (le elezioni amministrative della primavera 2016) e, superato quello, alle successive elezioni nazionali (primavera 2018?).
Il punto di vista dal quale valuto le strategie dei principali attori politici è la loro congruenza con un processo realistico di riforma e modernizzazione del nostro Paese. Un processo lungo e continuo, che dovrebbe scaturire da un’analisi seria della gravità della situazione italiana e delle difficoltà che dovranno essere superate per avviare il nostro Paese su una strada di civiltà e di crescita economica. E questo in un contesto europeo e internazionale che definire difficile è un eufemismo diplomatico: crisi della moneta unica e della stessa Unione Europea, immigrazione incontenibile, tensioni Russia-Nato. So benissimo che quello appena descritto è un punto di vista che ha scarse corrispondenze con le realtà della lotta politica democratica, assai spesso orientata a procurarsi voti sollecitando le pulsioni più estreme dell’elettorato. Ma non è come valutazione realistica che lo propongo, bensì come criterio di orientamento e di scelta tra le varie proposte politiche oggi presenti in Italia: un criterio che un elettore ragionevole dovrebbe adottare, se non si fa prendere dallo scoraggiamento e se non abbocca a sirene semplificatrici e demagogiche.
Le elezioni hanno confermato che il centrodestra esiste e che, quando si unisce e presenta un candidato moderato e attraente, ha buone probabilità di vittoria, specie se lo schieramento avverso ne presenta uno percepito come estremo: questa è la lezione del ballottaggio di Venezia, che fa giustizia dei timori sul «partito della nazione», sul «partito pigliatutto» di Matteo Renzi. Erano e sono timori ingiustificati in un Paese politicamente diviso com’è il nostro, investito da una grave crisi economica e assoggettato a un processo di riforma che colpisce interessi consolidati e contrasta mentalità diffuse: che il consenso per il governo tenda a ridursi a fronte del perdurare della crisi e della disoccupazione, della difficile gestione dei processi migratori, dell’ostilità prodotta dalle riforme, dei continui scandali (anche se non attribuibili al governo in carica), non era e non è davvero una previsione difficile. L’esito delle future elezioni non è dunque scontato, se solo i principali schieramenti politici si attrezzano per corrispondere all’Italicum, alla nuova legge elettorale.
L’urgenza di attrezzarsi riguarda soprattutto il centrodestra. Il centrosinistra e il Partito democratico hanno i loro problemi, di cui ho scritto in un precedente articolo. Più difficili sono quelli che affronta il centrodestra, dove il successo della demagogia di Matteo Salvini pone seri ostacoli ad una destra più cauta e raziocinante. Con l’attuale legge elettorale la Lega dovrebbe essere parte di una lista di centrodestra — insieme a Forza Italia e sulla base di un programma comune non estremistico — se il centrodestra vuole prevalere elettoralmente: il contrasto tra l’attuale linea politica della Lega e quello di una destra più moderata, meno evidente in una elezione locale, sarebbe evidentissimo in una nazionale e condannerebbe il centrodestra nel suo insieme a una sicura sconfitta. Ma non è certo facile, per la Lega, abbandonare una linea che le sta assicurando un notevole successo come partito indipendente, in grado di pescare liberamente negli umori antisistema dell’elettorato, per sottoporsi al letto di Procuste dell’attuale legge elettorale.
La dinamica bipolare, centrodestra contro centrosinistra, è quasi ovunque in crisi in Europa, specialmente per i Paesi con maggiori difficoltà economiche, e il rifiuto per i programmi di partiti «ragionevoli» — che tengono conto della complessità di un governo democratico, dei vincoli economici cui esso è sottoposto e della debolezza delle risorse di cui il Paese dispone — è crescente. Questo rifiuto sta scardinando in Spagna quello che sembrava un robusto bipolarismo, dopo aver distrutto, con Syriza, quello greco.
In Italia il successo di movimenti antisistema è per ora contrastato dal successo del Pd renziano, una anomalia in Europa e una eccezione tra i Paesi mediterranei: ma quanto può reggere questa eccezione se gli sforzi di Renzi di trovare una sponda in Europa dovessero rivelarsi vani, in un contesto in cui le difficoltà in cui il nostro Paese si dibatte sono destinate a continuare? Quanto può reggere se il suo riformismo fosse costretto a rallentare, sotto la pressione di resistenze interne al suo partito e del fuoco concentrico di tutti gli altri?
Il Nazareno è morto, Berlusconi e Forza Italia non si stancano di ripetere. Ma sarebbe un arretramento per la democrazia italiana se non si formasse un altro polo politico forte che — sotto una diversa veste ideologica — collaborasse col centrosinistra nel convincere gli italiani che le vie d’uscita promesse da demagoghi e populisti sono illusorie. Se la Lega non modificherà l’estremismo che attualmente la caratterizza, mi sembra improbabile che possa formarsi un polo di centrodestra competitivo con il Partito democratico. E allora lo scenario al momento più probabile è quello di una lotta finale, per ballottaggio, tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle. Ma di qui al 2018 tante cose possono cambiare.