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 2015  giugno 24 Mercoledì calendario

IL SEGRETO DELLA SERENITA’

«Non è detto che una relazione amorosa con il proprio allenatore faccia male all’atleta. Al contrario, può migliorare le prestazioni».
Patrick Mouratoglou, francese di origini greche, sguardo azzurro indagatore, sa bene di cosa parla. Dal 2012 è il coach di Serena Williams, la tennista numero uno al mondo, ma anche la sportiva più celebre del pianeta. Assieme a lui Serena, che con la sorella maggiore Venus ha dominato il tennis negli ultimi 15 anni, è tornata a vincere dopo un periodo difficile, in cui ha anche pensato di chiudere la sua carriera. Da febbraio 2013 è di nuovo ai vertici della classifica, e se ora vincerà Wimbledon avrà conquistato quattro tornei del Grande Slam di fila (Open di Usa, Australia e Francia, dove ha trionfato poche settimane fa al Roland Garros), avvicinando, con 21 titoli nello Slam, Steffi Graf che ne ha collezionati 22.
La sequenza impressionante dei trionfi degli ultimi anni (ha vinto praticamente tutto, ori olimpici compresi) ha una linfa segreta: l’amore. Mouratoglou infatti –che da vent’anni gestisce un’accademia di tennis a Parigi, ha un programma Tv su Eurosport, ed è considerato una sorta di Mourinho del tennis per immagine e metodo – da alcuni anni, in maniera molto discreta, è anche il suo uomo.
Il sentimento è nato presto, quando si sono accorti di condividere interessi e idee, oltre alla grande passione per il tennis, ma la relazione è stata da subito complicata: Mouratoglou era sposato da 12 anni, prima di separarsi nell’agosto 2012, e aveva già tre figli (un maschio di 21 da un primo matrimonio, due femmine di 14 e 12 dalla seconda moglie); Serena, a 33 anni, dopo una vita senza mai fermarsi, aspirava legittimamente a una relazione a lungo termine, con un progetto familiare. Lui non era pronto a darle quelle certezze, e in più pesavano le differenze culturali: non sono mai andati a vivere insieme perché Serena vuole stare con la sorella Venus e il fidanzato di lei, e ha sempre il grande clan familiare al seguito.
Fatto sta che l’anno scorso la coppia ha interrotto la relazione sentimentale, benché non quella professionale. A riprova che la Williams non è la «macchina» che tutti descrivono, e che l’amore la gasa, ha iniziato a perdere colpi sul campo. Durante l’inverno scorso, però, le cose sono di nuovo cambiate: Serena e Patrick sono tornati insieme, i fotografi li hanno sorpresi spesso sorridenti e complici, soprattutto Serena è tornata a vincere: da novembre, non ha più perso una partita.
Quando incontriamo Mouratoglou a Milano, è al settimo cielo. Sogna una nuova vittoria a Wimbledon («Voglio il Serena Slam», le 4 vittorie consecutive), ha appena aperto una nuova accademia di tennis a Nizza, più grande e all’avanguardia dal punto di vista dei servizi. In Francia, poi, è appena uscito Le Coach, il suo libro biografia in cui racconta come ha rilanciato la carriera della Williams. A Vanity Fair, invece, parla per la prima volta di lei.

Un aggettivo per descrivere Serena.
«Estrema. In tutto. È la sportiva più grande di tutti i tempi».
Come l’ha conquistata?
«È stata lei a cercarmi, nel 2012, dopo aver perso al primo turno al Roland Garros. Il mondo del tennis è piccolo, sapeva dei risultati che avevo ottenuto con altri giocatori, Dimitrov in testa. È venuta nella mia accademia, dopo pochi minuti si è seduta accanto a me e ha detto: “Parlami”. Due settimane dopo eravamo a Wimbledon, mi ha chiamato per dirmi se potevo diventare il suo allenatore».
Amore a prima vista?
«Mi ha poi detto che l’ha colpita di me la forza, la sicurezza in me stesso. C’è stata una scena molto importante nel nostro rapporto: durante quel torneo di Wimbledon, al secondo incontro perse, e suo padre – che l’aveva allenata per vent’anni e che allena tutt’ora sua sorella – venne da me urlando, davanti a tutto il mondo del tennis: “Che cosa è successo? Dimmi che cosa è successo, tu sei il suo allenatore e devi sapere che cosa è successo”. Sono riuscito a restare calmo e ho risposto: “Prima di tutto, se vuole delle informazioni da me, deve parlarmi in un altro modo. Secondo, se lei non rispetta me, io non rispetto lei”. Dietro di lui Serena mi guardava con occhi sbarrati, facendomi dei segni per chiedermi se ero pazzo. Nessuno aveva mai osato tanto».
E con il padre ha poi fatto pace?
«Voleva testarmi. Lui guarda ai risultati, e quindi oggi i nostri rapporti sono ottimi. È l’unico genitore nel mondo del tennis che ha seguito la carriera dei figli e che mantiene un bellissimo rapporto con loro. Perché lui pensa prima a loro che a se stesso: fa una grande differenza».
Come quello di Agassi, ha cresciuto le figlie per farle diventare due «numeri uno». Non deve essere stato facile per loro.
«Per un europeo è piuttosto scioccante quello che ha fatto, ma la cosa veramente straordinaria è che ci sia riuscito con entrambe. Ha pianificato ogni cosa, ha dedicato tutta la sua vita a quello, è un uomo di un’intelligenza fuori dal comune. La cosa più impressionante, per me, è vedere che ha saputo forgiare due teste da campionesse. Arrivi al top solo se sei disposto a lavorare duro, se hai la mente pronta a gestire le difficoltà, se conosci bene te stesso, che è poi quello che insegno io ai miei giocatori».
Sta dicendo che il talento non conta?
«È la cosa meno importante, anzi a volte è deleterio perché se i risultati ti arrivano facilmente non sei motivato a dare di più. Roger Federer, nel tennis maschile, è l’unico esempio di talento vero e testa. Ai giocatori francesi che conosco bene, e gli italiani sono molto simili, manca l’ambizione: appena raggiungono buoni livelli se li fanno bastare».
Lei invece dove ha imparato a essere così forte e saggio?
«Ero un bambino timido e chiuso, vivevo per giocare a tennis. Ero arrivato a essere uno dei migliori di Francia, per la mia età, quando mio padre, un uomo d’affari importante nel campo dell’energia, mi impose di lasciare questo sport, che per lui rappresentava una carriera rischiosa e poco adatta al mio carattere, per studiare Economia. Io ho subìto quella sua decisione: ho smesso completamente di giocare – per me le vie di mezzo non esistono – ma nello studio non avevo motivazione. Un anno dopo mio padre mi disse di andare a lavorare con lui, almeno avrei imparato un mestiere; sono partito dal livello più basso e quando, dopo cinque anni, mi ha detto che ero pronto per lavorare al suo fianco, gli ho risposto: “No, grazie, la mia vita è il tennis”. E ho aperto la mia prima accademia a Parigi, anche con il suo aiuto economico».
L’ha convinto facendo leva sui suoi sensi di colpa?
«Dopo anni passati a credere che fosse lui il responsabile dei miei sogni infranti, ho capito che la colpa era solo mia: non ero riuscito a comunicare quello che pensavo, non ero stato capace di convincerlo a cambiare idea. Ho capito che niente è impossibile nella vita, e ho giurato a me stesso che non mi sarei lamentato più e tutto, da quel momento, sarebbe dipeso solo da me. Ho iniziato a lavorare sui miei problemi, sono andato per dieci anni da uno psicoanalista che mi ha aiutato a migliorarmi nel rapporto con gli altri. Che poi è quello che insegno ai miei giocatori: 1) mai incolpare gli altri dei nostri insuccessi; 2) i problemi si risolvono».
Che cosa l’ha attratta in Serena?
«Tutto, perché io e lei siamo due opposti: lei americana, io francese, lei cresciuta in California, a Compton, uno dei posti considerati più pericolosi d’America, e io nel salotto buono di Parigi, lei educata secondo la cultura nera, e io nei college e nei club esclusivi europei. Sono una persona aperta e in più come allenatore mi calo completamente nei panni dei miei giocatori – devo provare quello che provano loro, pensare quello che pensano –, quindi da lei ho imparato tantissimo».
Litigate spesso?
«Mai. Primo, perché è pericolosa. (E ride). Secondo, ha una personalità talmente forte che sarebbe un suicidio. Quando si arrabbia, meglio mettersi su un altro livello».
Lei però è famoso per i suoi metodi rigidi, ai giocatori dà un sacco di regole.
«Ogni giocatore richiede un metodo diverso. A Serena non puoi dare regole, è una donna matura, sa che cosa è sbagliato. Naturalmente anche lei commette errori, ma si conosce molto bene. Imporle delle cose non è il modo migliore per farle fare quel che è meglio per lei».
Prima diceva che una relazione sentimentale tra allenatore e atleta può migliorare le prestazioni. In che modo?
«Non ho mai pensato che questa cosa potesse essere negativa. Infatti l’atleta può essere più motivata a dare il massimo per ottenere la tua ammirazione».
Lei è stato sposato già due volte. Perché sono finiti i suoi matrimoni?
«Il primo perché ero troppo giovane, avevo 23 anni. Nel secondo si era esaurito l’amore. Per 12 anni la mia famiglia ha viaggiato con me: per le mie figlie è stato difficile il momento della separazione ma credo che oggi apprezzino che il mio rapporto con la loro madre è migliorato».
Si risposerebbe?
«Con la persona giusta, perché no?».