Silvia Bombino, Vanity Fair 24/6/2015, 24 giugno 2015
IO SONO L’ERRORE
Passi la metà del tempo a dirti che però esagera, che forse è antipatico o almeno arrogante. Alla fine, ti conquista. E ti ritrovi a dire a tutti: ehi, ma tu lo conosci? È un comico... diverso.
Basta capitare davanti alla Tv, la domenica notte, per imbattersi in uno con il microfono in mano che in un piccolo club snocciola battute e ragionamenti. Liberi. Ce n’è per tutti. Jovanotti? Banale. Brignano? Un cane. Gli ambientalisti? Ipocriti. Quelli che hanno figli? Insopportabili. Quelli che si sposano? Pazzi. L’India? Dovrebbe bombardare la Lombardia che organizza mostre «pro marò» con Umberto Smaila.
Dopo lo stupore (davvero si possono dire queste cose in Tv? E la gente ride? Dov’è Tatiana?), scatta la curiosità: chi è quello col microfono?
Giorgio Montanini da Fermo ha 37 anni e fa stand up comedy, che è, come dice il sito di Raitre, «un genere poco conosciuto in Italia, soprattutto in Tv, che nel mondo riempie ormai da decenni teatri, comedy club e palinsesti; il comico sale sul palco col proprio vissuto e propone una visione alternativa e rovesciata della realtà attraverso paradossi e provocazioni».
Che tipo di umorismo è il suo?
«Faccio satira. Che è contro il potere, ma per me il potere sta nell’uomo medio. Sbeffeggiare i potenti andava bene quando c’erano gli imperatori-dio, in Italia invece votiamo da settant’anni, la libertà di espressione esiste dal ’45: siamo noi che non la esercitiamo perché è scomoda».
Quindi la satira anti-berlusconiana della Seconda repubblica ha sbagliato tutto.
«Sono sempre stato anti-berlusconiano convinto ma non ho mai fatto un monologo su questo, perché il problema non era lui o la classe politica. Il problema sono le persone comuni che ce la mandano, in politica. Bisognava salire sul palco e fare autocritica. Invece sono nati mostri: i comici referenti politici della gente. Ma se un comico si prende troppo sul serio, fonda un partito: come Grillo».
A quanti sta antipatico?
«Non credo a tanti, perché non sono un comico famoso da 20 milioni di spettatori. Parlando del pubblico, al 50%: se non mi ama, mi considera volgare e indigesto, che però è il motivo per cui faccio questo lavoro. Se piacessi a tutti – come Brignano – avrei sbagliato qualcosa».
Brignano, che nei suoi monologhi spesso cita come esempio negativo di comicità, di sicuro la detesta.
«Non saprei, non mi ha mai chiamato. Eravamo nella stessa agenzia e io dicevo che Brignano è un pessimo comico, quindi sono stato cacciato».
È sicuro che sia stato per quello?
«Be’, non sono un investigatore privato, però se sei il comico più pagato d’Italia e uno semisconosciuto ti critica in uno spettacolo, poi viene cacciato, e tu sei estraneo al fatto, corri a smentire».
Perché Raitre la manda in onda come una Cenerentola, la notte della domenica?
«È già tanto che esista, un programma del genere, sulla Tv nazionale».
Certo: però non è un po’ come lanciare il sasso e nascondere la mano?
«Vero, mi vedono in pochi. Però nel 2010, quando Zelig faceva 10 milioni di spettatori con cinquantenni travestiti da fornaio o Ape Maia, io stavo in una bettola di Roma davanti a 50 persone. Oggi sto in Tv: dal mio punto di vista è un miglioramento. Essere tra i pionieri della stand up comedy è un orgoglio».
Perché da noi piace tanto la comicità nazionalpopolare?
«Perché rassicura: qui i comici sono persone simpatiche, buffe. La satira disturba».
Lei ha disturbato molto con i discorsi contro gli ambientalisti e gli animalisti.
«Dicevo che quando sei un fanatico, di qualunque cosa, perdi di vista il quadro d’insieme. Sei ambientalista e poi ti metti scarpe prodotte da bambini sfruttati del Bangladesh? Se lo dico io, il giorno dopo mi hackerano il profilo Facebook – persone pacifiche, no? –, se lo dice il Papa che “è incoerente chi lotta contro il traffico di animali in via di estinzione ma si disinteressa dei poveri”, è cosa buona».
Spesso attacca «i buoni».
«Quanta ipocrisia: il mio nuovo spettacolo si chiama Liberaci dal bene e parte da un monologo sul 7 gennaio, quando si sono consumate due tragedie: una è stata l’attentato di Charlie Hebdo, l’altra l’ondata d’indignazione e di quelli che si sono fatti un selfie con la matita sui social network».
Prima di questo mestiere, che faceva?
«L’istruttore di nuoto. Poi mi sono licenziato e mi sono messo a fare un corso di teatro. Anni dopo sono diventato professionista, e ho avuto la fortuna di passare a un provino per l’Edipo Re con Franco Branciaroli. Un maestro».
Era il suo sogno?
«No: noi marchigiani non possiamo sognare, lavoriamo. Fare l’attore è un hobby. Ma quando sono salito sul palco mi sono trovato subito a mio agio».
Quanto è egocentrico?
«Abbastanza. E ho scoperto qualche anno fa il perché: ho rischiato di essere abortito. Mia madre mi ha detto: sai Giorgio, il giorno prima di interrompere la gravidanza io e tuo padre ci abbiamo ripensato. Eri il quarto figlio, in casa di soldi ne entravano pochi...».
Come ha reagito?
«Ho consolato mia madre, l’ho capita. Ho tre fratelli nati tra il ’62 e il ’67, io sono arrivato dieci anni dopo. Poi ci ho riflettuto, e ho capito che forse in me, in modo inconscio, stare su un palco è funzionale al desiderio di essere riconosciuto».