Simonetta Scarane, ItaliaOggi 24/6/2015, 24 giugno 2015
ULTRAORTODOSSI NELL’HIGH TECH
In Israele, la «Silicon Wadi», roccaforte dell’industria tecnologica, attira sempre più «haredim» gli ebrei ultraortodossi perché offre a questa comunità di fondamentalisti, non troppo amata e con poche disponibilità economiche, una vera occasione di inserimento economico e sociale.
Uno di questi è l’haredi Michael Mashian, 45 anni, dedito agli studi talmudici, sposato e padre di cinque figli. Si è stabilito a Bnei Brak, una città a est di Tel Aviv, fortezza degli haredim («i timorosi di Dio») dove a gennaio, in pieno centro, è stato aperto l’incubatore «Haredi High-tech Forum» con 21 imprese debuttanti. Mashian, insieme a Aur Saraf , 26 anni, ha creato la start-up EnglishOn. L’idea è trasformare siti web già esistenti in una piattaforma per apprendere la lingua inglese. Mashian è bilingue perchè ha trascorso la sua giovinezza negli Stati Uniti. E proprio questa esperienza l’ha spinto nella sua iniziativa imprenditoriale, convinto che la conoscenza dell’inglese sia una chiave per la propria riuscita mentre questa lingua straniera non viene insegnata, o molto poco, nelle scuole ultraortodosse. Se consoliderà il suo successo, l’avventura di EnglishOn diventerà l’emblema di un fenomeno in piena espansione: l’irruzione di ebrei ultraortodossi nella «Silicon Wadi» israeliana. Sempre più le stars delle imprese tecnologiche locali si entusiasmano per questa nuova tendenza. L’high tech israeliano offre una risposta a una delle più grandi scommesse che oggi si trova a dover affrontare Israele: l’inserimento sociale e economico degli ultraortodossi. Una comunità che attualmente è l’11% della popolazione israeliana, destinata a crescere fino a diventarne il 25% entro il 2050. Più della metà degli uomini haredi non lavora, avendo scelto una esistenza «separata» da quella degli altri concittadini, consacrata allo studio dei testi sacri, che li esenta, ad esempio, dal fare il servizio militare obbligatorio. Così le loro finanze sono piuttosto impoverite. Ma è in atto un lento cambiamento, dal momento che tra i giovani sono in molti a non voler vivere nella povertà e a desiderare di inserirsi nel mondo del lavoro e delle istituzioni accademiche. Sono 10 mila gli haredim che nel 2014 hanno seguito un corso di studi superiori, facendo registrare una crescita del 500% in cinque anni, secondo il rapporto redatto da Reuven Gal, dell’istituto di ricerca Samuel Neaman connesso con l’università di Technion. L’attrazione per la tecnologia è la manifestazione più eclatante di questa trasformazione.
Per molto tempo i rabbini hanno moltiplicato gli anatemi contro internet accusato di inquinare la morale e i costumi. Oggi, anziché continuare a condannare il fenomeno, i leader religiosi scelgono di ignorarlo. Un atteggiamento interpretato come una sorta di approvazione silenziosa, considerando anche che all’incirca il 70% delle famiglie haredim hanno un computer con la connessione a internet. E così, segno di un cambiamento epocale, si stanno moltiplicando le strutture dedicate ad accompagnare gli imprenditori in kippah, come la start-up EnglishOn, o Kama-Tech, specializzata nella creazione di video online creata cinque anni fa, da un giovane appartenente all’aristocrazia ultraortodossa, Moshe Friedman, nipote figlio del grande rabbino di Gerusalemme, Yossef Haim Sonnenfeld, uno dei fondatori dell’ultraortodossia. Inizialmente scettici, oggi anche Google, Microsoft e Cisco impiegano 120 haredim su 1.800 dipendenti israeliani. Anche centinaia di donne ultraortodosse lavorano in queste imprese di alta tecnologia, con orari flessibili per occuparsi dei propri figli e osservando le indicazioni dei rabbini.
Simonetta Scarane, ItaliaOggi 24/6/2015