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 2015  giugno 24 Mercoledì calendario

FERRERO: «PRENDETEMI IN GIRO, SO’ FATTO COSÌ»

«Ahò, guarda che io te sgamo quanno fai così». Roberto Coppolone è il sosia di Carlo Verdone. Stessa faccia da impunito. Solo che fa l’autista di Massimo Ferrerò, il presidente della Sampdoria, quello che il tifosissimo Maurizio Crozza gigioneggia come un compagnone di baldorie, «te la ricordi quella canzone???».
Lui non se l’è mai presa troppo: «Sono onorato di essere interpretato, o male interpretato, un po’ rincoglionito... La vita è bella, Crozza, e me la voglio godè». Se la prende solo con Roberto Coppolone quando va piano, negli ingorghi incredibili di Roma. E quello fa Verdone in Un sacco bello: «Ah presidé, che sta’ a ddì?». «Che te devi move, guarda che te sgamo. Sorpassa, t’ho detto!». Poi, per sua fortuna, s’appiccica al telefonino. Chiama Galliani: «Galliani, ti adoro!!». Gli dà due consigli. Uno su Mihajlovic, il nuovo allenatore del Milan, che gli ha appena preso dalla Samp: «È un grande lavoratore. Ha un grande staff tecnico. È un mago». L’altro sui giocatori: «Se gli compri questi due, ti fa vincere il campionato». Poi parla con l’Inghilterra, con il suo direttore sportivo, con altri agenti di mercato. Continua a chiedere: «Quanti anni ha questo? Troppo vecchio, mannaggia». È un vulcano, non sta mai fermo, mai zitto.
Viaggio verso Sabaudia, alla sua villa al mare, presa in affitto. Ogni tanto, lui si gira e regala una massima. Quella su Moravia dice: «Ho conosciuto un mucchio di persone importanti e da tutti ho imparato. Moravia mi diceva: rimani malandrino, perché la cultura non s’impara sui banchi di scuola». D’altro canto lui lo confessa candidamente: «Io sono un ragazzo di strada». Solo che ce l’ha fatta: «Ma ho lottato sempre, nun crede’, la mia vita è stata un ottovolante, nun è stata ‘na discesa. Ho salito gli scalini e sono caduto, e tutto quello che ho mi viene dalla sofferenza, tutto quello che ho avuto». Anche Roberto fa segno di sì. Adesso lui corre veloce e il presidente non gli dice niente. Paola Comin, l’ufficio stampa, s’è addormentata. Alla villa, una casa bianca in stile messicano, sulla frondosa discesa a mare, c’è sua moglie che ci aspetta, Manuela, la mamma di Rocco, l’ultimo figlio, una fiorentina per metà trasmigrata a Roma, perché tengono ancora una casa sul Lungarno (mica male). Ha un vestitino bianco, estivo, capelli lunghi neri, occhi dolci. Parliamo insieme. Cinema e calcio, spettacolo e Crozza, la vita complicata di un presidente, appena raccontata in un libro con Alessandro Alciato pubblicato da Rizzoli (Una vita al Massimo). In quella confessione lui parla del riformatorio, dove è stato dentro sei mesi per oltraggio a pubblico ufficiale, imparando a difendersi dai delinquenti e dai secondini, di sua mamma che gli portava le sigarette anche se non fumava («tu stai zitto e fuma»), di quando si nascondeva nelle ceste per entrare a Cinecittà, della sua gavetta e dei primi soldi che gli dettero per fare il produttore. Quanta strada ha fatto questo piccolo uomo grande come un vulcano. In fondo, a parlarci insieme, è molto diverso da quello che dice e da quello che sembra. Molto più profondo, e molto più dolente, delle sue battute in romanesco.
Bisognerebbe leggerlo fra le righe: «Sono Massimo Ferrero, nasco in un teatro di posa, perché mio nonno mi ha lasciato dentro Cinecittà. Vengo dal nulla e ho preso la Samp perché dopo la Samp c’è il nulla».

Ma la svolta della sua vita, quando è stata?
«Io credo che la svolta ancora non c’è stata. Ma se devo guardare indietro, dico che il momento più importante è stato quando non sono diventato un delinquente. La svolta è stata lì».
E perché? Cosa l’ha salvata?
«Mia madre andava a fare le pulizie dicendo che andava a fare la pasticciera. Mi ha insegnato la dignità e la nobiltà del lavoro. È questa la lezione che mi ha fatto crescere».
Sa che non sembra così a guardarla in tv...
Manuela: «Massimo ha poco spazio e poco tempo per perdersi nella sua profondità».
Massimo: «Lo sa qual è la mia qualità? La velocità. Ho cercato sempre di insegnarlo ai miei figli. Io arrivo prima. Sa come nacque Mary per sempre, il film candidato all’Oscar? Io salgo sull’aereo a Palermo e leggo un trafiletto su una lite fra il direttore del carcere e un detenuto. Fermi tutti! Scendo al volo e vado di corsa a Malaspina per parlare col direttore. Ecco com’è nato. Io non ho mai avuto una cosa normale nella mia vita. È stata sempre una corsa a ostacoli. Poi ce l’ho fatta per la mia tenacia. E perché sono veloce».
Ma voi due com’è che vi siete conosciuti?
Massimo: «Un giorno stavo guardando un film, Io cerco la Titina, ho visto una morettina e ho detto: questa la sposo. Trent’anni dopo alle nozze di Argentero, ne ho vista una che proprio le somigliava tutta. Ho detto: è lei». Manuela: «Ma per carità! Io, nessun colpo di fulmine. Ero al tavolo con Simona Izzo e avevo sempre questo signore alle calcagna. Ma chi è questo? Ha cominciato a preseguitarmi. Un giorno ha telefonato a mia madre: “Come si chiama”? “Silvana”, ha detto lei. “Ma lei chi é?” “A Silvà, sappi che io so quello che te fa nonna!”».
E la mamma?
«S’è messa a ridere e non finiva più».
E lei ha ceduto così?
Manuela: «Io non so ancora come ho ceduto».
Massimo: «Non vedeva l’ora».
Manuela: «Beh, m’era molto simpatico. Io lavoravo nella moda e in teatro. Ci siamo messi insieme ed è nato Rocco. Mia mamma è diventata nonna».
E adesso come va? Come si sente quando scherza con Ilaria D’Amico?
Massimo: «La D’Amico è molto dispiaciuta che non la penso più».
Manuela: «All’inizio mi divertivo. Poi mi ha stufata».
Non ha paura del mondo del calcio? Che si faccia fregare?
Manuela: «No. Deve nascere un altro Massimo per fregarlo, anche nel calcio. Lui sta molto con gli occhi aperti. Nel calcio non c’è amicizia, non c’è lealtà, ma Massimo lo sa bene. L’unica cosa che deve fare è stare attento ai conti».
Massimo: «È difficile fregarmi. A me può fregarmi solo chi mi vuole bene. Ma io a questa ggente nun vojo bbene a nessuno. Io vorrei essere la lavatrice del calcio italiano. Vorrei essere Ava come Lava».
Non c’è nessuno che le è proprio simpatico?
«Galliani».
E com’è Galliani?
«Lui vive di luce riflessa. Galliani uguale Berlusconi».
Fuori dal calcio, invece?
«Verdone. Lui è il più simpatico di tutti. Poi, Monicelli che mi voleva un sacco di bene. Al mattino ci facevamo mezzo litro all’osteria. Dino Risi, invece, mi aveva un po’ adottato».
Lei, romano del Testaccio, se le offrissero di fare il sindaco di Roma ci farebbe un pensiero?
«Sarebbe la vita di un altro».
Mettiamo di sì. Con chi andrebbe?
«Con la ggente come me, perché sarebbe libera dai partiti. Assessore un tassinaro, uno del popolo. Perché Roma nasce con gli antichi romani e non è ostaggio di nessuno. Come me. Quando non mi facevano passare i film nei cinema, sa che ho fatto io? Me so’ comprato i cinema. Gliel’ho detto: ho sempre dovuto lottare, io».
E adesso?
«Adesso siamo molto felici, io e Manuela. E salutatece a soreta».
Pierangelo Sapegno