Matteo Sacchi, il Giornale 24/6/2015, 24 giugno 2015
SETTANT’ANNI DI PROMESSE E PASTICCI COL CASCO BLU
L’inizio lo mutuarono pari pari dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Forse perché si trovavano a San Francisco, forse perché pensavano fosse di buon auspicio. In ogni caso lo Statuto delle Nazioni unite, firmato il 26 giugno di settanta anni fa parte così: «NOI, POPOLI DELLE NAZIONI UNITE, DECISI...». Ma le somiglianze finiscono subito. Perché se i rappresentanti dei nascenti Stati uniti, dotati di un potere chiaro partono subito, in quel lontano 1787, con una serie di intenti molto pratici, i rappresentanti dei cinquanta Stati presenti a San Francisco di poteri ne avevano molti di meno e di idee in comune poche. Forse solo quella che di guerra non ne volevano, giustamente, più sapere. E quindi il prosieguo a quell’idea si aggrappò: «...a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale». Del resto creare uno Statuto fondante un’organizzazione mondiale di Stati era impresa improba. Si sapeva che c’era il rischio grossissimo di creare un ente inutile. Il predecessore dell’Onu, la Società delle Nazioni, voluta dal presidente degli Usa Woodrow Wilson, non era nemmeno riuscita ad impedire alla piccola Italia fascista di invadere l’Etiopia. Erano ancora in molti a ricordare l’affranto discorso di sua Maestà Imperiale Hailé Selassié recitato a Ginevra: «Io, Hailé Selassié I, Imperatore d’Etiopia, sono qui oggi per richiedere la giustizia che è dovuta al mio popolo, e l’assistenza promessa ad esso otto mesi fa, quando cinquanta Nazioni affermarono che un’aggressione fu commessa». L’incapacità di intervenire contro il Duce aveva praticamente chiarito a tutti, nazisti compresi, che a Ginevra si andava per scherzare. A San Francisco si cercò di creare, allora, un organo di vigilanza a cui corrispondesse un potere reale, con cinque membri permanenti dotati di veto. Si doveva però anche fornire una parvenza d’uguaglianza alle nazioni, a cui si pensò di arrivare con una rappresentanza paritaria in assemblea, dove il voto degli Usa conta come quello del Paraguay. L’idea di questa struttura era stata concepita già dai «Grandi» prima ancora che la conferenza di San Francisco aprisse i battenti (25 aprile 1945). I loro delegati e quelli della Cina si incontrarono nel 1944 a Washington, D.C. per redigere un piano. Le loro proposte, a parte poche eccezioni, fornirono la traccia per lo Statuto. Con idee, in teoria, decisamente interventiste. Come quella che divenne poi l’articolo 45 dello Statuto: «Al fine di dare alle Nazioni Unite la possibilità di prendere misure militari urgenti, i Membri terranno ad immediata disposizione contingenti di forze aeree nazionali per l’esecuzione combinata di un’azione coercitiva».
A 70 anni di distanza non è facile fare un bilancio. Però qualche fatto si può elencare. L’organizzazione indipendente di monitoraggio Freedom House, da anni, emana rapporti da cui si evince che circa un terzo dei membri dell’Onu sono tutt’altro che Stati democratici. Insomma, quando si decide dei citati diritti dei popoli capita spesso che chi li calpesta abbia la possibilità di alzare la mano. In proposito va ricordato quanto accaduto con Israele negli anni Settanta e Ottanta, quando l’Assemblea Generale non solo votò una serie di mozioni in cui si condannava il comportamento del governo di Gerusalemme per il mancato rispetto delle risoluzioni ONU senza che però fosse mai pronunciata una parola contro il terrorismo palestinese per i suoi attacchi compiuti contro cittadini israeliani, ma arrivò ad approvare una risoluzione, definita dall’allora Ambasciatore degli Stati Uniti Moynihan come «qualcosa di osceno», che equiparava sionismo e razzismo.
Per anni, poi, la capacità di intervento dei caschi blu è stata paralizzata dalla Guerra Fredda (o come nel caso della secessione del Katanga complicatissima). Ma anche dopo, quando le grandi potenze hanno fatto spallucce... Emblematico l’atteggiamento dell’Onu nel 1994. Si disinteressò delle richieste inviate dal generale canadese Roméo Dallaire, comandante dei caschi blu in Rwanda (2500 uomini, ridotti a 500 un mese dopo l’inizio del genocidio). Solo l’anno prima l’enclave protetta di Srebrenica nella ex Jugoslavia era stata violata (8 mila morti) mentre 600 caschi blu olandesi restavano isolati e passivi. È invece di questi giorni la notizia di abusi sessuali dei caschi blu (480 denunce fra il 2008 e il 2013) riguardanti soprattutto le missioni nella Repubblica Democratica del Congo, in Liberia, Haiti, Sudan e Sud Sudan.
E non sono insuccessi a basso costo, l’Italia è il settimo contributore dell’Organizzazione. Per intenderci il bilancio Onu 2010-2011 (5,16 miliardi di dollari) è stato faticosissimo da far quadrare e anche nel periodo seguente molti Stati si sono rivelati cattivi pagatori. Insomma, lo Statuto del 1945 è una pietra miliare, che molti si accingono a festeggiare, ma è più bello sulla carta che nei fatti.