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 2015  giugno 22 Lunedì calendario

MARZOTTO, DOPPIO RITORNO DI FAMIGLIA, I PIANI DI DUE HOLDING PIENE DI LIQUIDITÀ

Nell’ultimo decennio è raddoppiato in termini di ricavi (1,3 miliardi nel 2005), redditività lorda (166,6 milioni di Ebit), profitti netti (110,8 milioni sempre nel 2005). Tra incassi e reinvestimenti, rimane un saldo per Zignago e Pfc di circa 250 milioni: forse che esiste l’ipotesi di aumentare il peso in Hugo Boss? “Vedremo. Zignago è una holding di partecipazioni e abbiamo vari dossier allo studio nei settori più disparati: nel mondo food, ma anche nel digitale e nei pagamenti elettronici. Abbiamo tanto denaro in cassa. E vogliamo far fruttare queste risorse”, risponde Luca Marzotto.
SETTE FRATELLI
Si fa presto a dire Marzotto. Ma di quale famiglia Marzotto parliamo, di quali rami della dinastia imprenditoriale nata con l’azienda di Valdagno nel 1836? Tanti rami, tante famiglie, tantissimi eredi (ne vengono conteggiati 86). Una caratteristica dominante per parecchi rami: la cassaforte di ciascuno è ricca, anche più ricca di quanto fosse un decennio or sono quando i rami sono stati separati dalla pianta madre e le famiglie dei fratelli Giannino, Italia, Laura, Paolo, Pietro, Umberto, Vittorio Emanuele hanno deciso di andare ciascuno per il proprio destino. L’ultimo bivio si è materializzato nel 2007: una parte dei Marzotto – appunto Zignago e Pfc condivisero con il fondo Permira il veicolo Red & Black, che controllava in toto Valentino e il 67% di Hugo Boss; un’altra parte delle famiglie puntarono invece su ristrutturazione e rilancio dell’antica industria tessile che nel marchio porta il cognome del casato vicentino. Ma già dal 2005 era iniziata la diaspora e, per esempio, colui che della grande famiglia era stato il leader indiscusso lungo un quarto di secolo, ossia il conte Pietro, aveva ceduto ogni partecipazione. E già l’anno prima già c’erano stati screzi con la cessione della catena alberghiera Jolly, che era la maggiore italiana, agli spagnoli di Nh. Dieci anni dopo l’esplosione, ciascuno dei due filoni principali ha pure ragioni di soddisfazione.
VETRO VINO E FINANZA
L’evidenza più recente dell’intraprendenza della sesta generazione ha a che fare con i fratelli riuniti nel nome di Zignago holding, che oltre a detenere le quote in Hugo Boss, ha in particolare il 66,6% della quotata Zignago Vetro e la totalità della casa vinicola Cantine Santa Margherita (un gioiello che fattura 110 milioni). La piccola galassia, basata a Fossalta di Portogruaro in via Italia Marzotto n. 8, ha registrato ricavi consolidati per 434,4 milioni (+5%), un margine operativo lordo di 107,3 milioni, un risultato ante tasse della gestione corrente di 113,4 milioni (inclusi i proventi della partecipazione in Red & Black). Ecco che i quattro fratelli, figli di Vittorio Emanuele, nell’ultima assemblea hanno destinato a dividendi 67,3 milioni e a riserva 58,2 milioni, cosicché la riserva “utili portati a nuovo” ammonta a 382 milioni. La prospettiva per l’annata in corso, dal punto di vista della holding, promette di essere anche migliore perché le controllate per vetro, vino, energia, servizi e soprattutto la lussemburghese Zeta Finance che detiene le quote in Hugo Boss, hanno deliberato per il 2015 la distribuzione di dividendi per totali 176 milioni (di cui 152 la sola Zeta Finance). Cassa ricca anche perché ordinariamente vetro e vino sono business che funzionano, e ciascuno a suo modo rivendica una condizione di eccellenza sulla scena internazionale.
LA RESURREZIONE DEL TESSILE
La stessa attitudine, mutatis mutandis, la manifesta Antonio Favrin per Marzotto tessile. Favrin è “il” manager che ha accompagnato la famiglia negli ultimi 30 anni, in posizione di vertice in tutte le società. E oggi – forte anche di una liquidazione da 195 milioni di euro delle proprie quote in Valentino incassata nel 2008 – è presidente e tra i soci principali in Marzotto Group. A monte della catena di controllo, ci sta Trenora e secondo i patti parasociali la strategia viene decisa da chi ne controlla il 67%. “E dunque Andrea Donà dalle Rose e io dobbiamo andare d’accordo – commenta Favrin – Difatti ci conosciamo e stimiamo da 40 anni, siamo complementari e molto dialettici”. E, soprattutto, i Donà dalle Rose – figli di Italia Marzotto – hanno condiviso con Favrin la visione di fondo: la “vecchia” holding che controllava tessile e abbigliamento, insomma l’intera filiera, era sbilanciata sul lato fashion. Per dirla con Favrin, da una parte un cavallo da tiro e dall’altra un esigentissimo purosangue. Dicotomia insanabile. “Noi non avevamo le risorse per essere tra i 5 player globali nel fashion, per questo abbiamo deciso di passare la mano e concentrarci sul tessile, dove Nella foto grande qui sopra, una fase della filatura dei tessuti in un impianto di Marzotto Group Più in alto, a sinistra, i vini Santa Margherita, che fanno capo alla Zignago Holding, e un negozio di Hugo Boss abbiamo la missione di essere leader a livello mondiale nei vari segmenti e nelle diverse tecnologie”, sostiene Favrin. Marzotto Group nel 2013 ha maturato ricavi consolidati per 338,5 milioni, un margine operativo lordo (Ebitda) di 29,4 milioni, un risultato della gestione caratteristica di 13,8 milioni, una perdita di 33,7 milioni a valle di operazioni straordinarie. Quanto al 2014, bilancio non ancora approvato, “avremo un fatturato gestionale attorno a 400 milioni e un margine operativo lordo sopra all’ 11%, con capacità di generare cassa, un indebitamento attorno a 80 milioni e investimenti per una trentina di milioni. E il 2015 andrà ancora meglio”, dice ancora Favrin. Numeri che fanno di Marzotto Group un leader internazionale nei segmenti lana, lino, cotone, velluto (con Redaelli), seta (con Ratti). Magari ci sarà da qualche parte in Cina un produttore di tessuti lanieri o in lino che, in volume, è superiore a Marzotto. Ma in tutti i segmenti l’industria di Valdagno, che ha nove sedi sparse per il mondo con 3.500 dipendenti, è partner fondamentale di tutte le grandi maison dell’abbigliamento e del lusso mondiali. “I risultati ci sono e ci saranno – commenta Favrin – perché i big player della moda hanno bisogno di interlocutori a monte della filiera solidi finanziariamente, capaci di approvvigionarsi a livello planetario della materia prima migliore, affidabili sul piano della qualità, garantiti in termini di logistica, con dimensioni appropriate, con management forte. Noi siamo tutto questo e l’azionariato è pronto a sostenere lo sviluppo”.
CAPITALI DA INVESTIRE
Del resto gli arsenali sono pieni di munizioni: sia i Donà dalle Rose, sia la famiglia Favrin con la finanziaria Faber Five sono dotati di centinaia di milioni di euro rivenienti dalla cessione delle rispettive partecipazioni in Jolly, Gruppo Zignago e da ultimo Valentino/Hugo Boss. Che progetti di investimento ha Favrin per esempio? "Stiamo valutando varie opportunità industriali, anche fuori dall’Italia". Non sono di sicuro i capitali, insomma, che difettano ai discendenti Marzotto. Pietro per esempio con la sua finanziaria Intrapresa ha la maggioranza di Peck, e poi partecipazioni che vanno dall’alimentare (Jolanda de Colò) a molti dei maggiori titoli quotati (Generali, Unicredit, Enel). Paolo coltiva pure il business del vino con la siciliana Baglio di Pianetto. Matteo ha rilanciato e poi venduto Vionnet, e ora guidala Fiera di Vicenza e il Cuoa, e siede nei cda di Cucinelli, Popolare Vicenza, Morellato. Ma come disse lo stesso Matteo, con coraggio in un pubblico convegno, meglio avrebbero fatto i genitori a cercare i modi per restare insieme e fare massa critica? Risponde Luca: "Se mio padre e i suoi fratelli avessero deciso un modello di governance diversa, magari con una accomandita stile Agnelli, da un lato probabilmente sarebbero create più sinergie e unitarietà e forse anche più valore, ma la libertà dei singoli sarebbe stata limitata. Comunque è ovviamente difficile tenere insieme 86 individui con interessi differenti. Noi siamo figli di una cultura liberale, per esempio in Zignago non abbiamo una accomandita: i miei fratelli e io andiamo molto d’accordo, abbiamo scelto un sistema aperto, fondato su quote molto simili, ma soprattutto governato dal consenso". Un po’ di numeri possono essere utili a marcare il decennio appena trascorso. A proposito della vendita di Valentino, al momento della scalata la griffe aveva un giro d’affari di 260 milioni, mentre i ricavi del 2014 sono oltre quota 650 milioni e la redditività è di 100 milioni. Vero che nel 2012 è stata ceduta all’emiro del Qatar per ben 700milioni, ma oggi è stimata attorno a 1,5 miliardi. Riguardo a Hugo Boss, quando Permira ne ha rilevato il controllo
ha valorizzato le azioni 35 euro; il titolo oggi è quotato oltre 100, come ben sanno i quattro moschettieri di Zignago che hanno saputo tener duro.
Paolo Possamai, Affari&Finanza – la Repubblica 22/6/2015