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 2015  giugno 22 Lunedì calendario

GIANFELICE ROCCA PARTE CON STEAM LA CAMPAGNA PER LA CONFINDUSTRIA

MILANO
Colto, quattro lingue parlate, presidente di un gruppo internazionale da 25 miliardi di fatturato e 60mila dipendenti, per otto anni vicepresidente di Confindustria, da tre alla guida di Assolombarda, la più potente associazione imprenditoriale italiana. Ha le carte in regola, Gianfelice Rocca. E di lui si parla già come del “Candidato Ideale” alla carica di presidente di Confindustria. In autunno prende il via la procedura per la successione a Giorgio Squinzi e Rocca è in pole position. Peccato che lui non si decida, o forse no. Per i più maliziosi Rocca farebbe pretattica in attesa di essere spinto per acclamazione a Viale dell’Astronomia. Lui preferisce glissare: “Il ruolo di presidente di Confindustria - ha detto - è faticoso e di servizio: non parlo di vocazione al martirio ma di certo non è un compito facile”. Poi ha precisato: “Trovo sbagliate queste lunghe corse, abbiamo un presidente in carica, poi avremo il comitato dei saggi che si occuperà di individuare i candidati disponibili. A partire troppo presto si rischia la falsa partenza”.
Niente false partenze, dunque, ma fatti concreti. Come la fusione, varata lunedì scorso, fra Assolombarda e Confindustria Monza e Brianza. Voluta da Rocca e dal presidente brianzolo Andrea Dell’Orto, l’intesa tiene a battesimo la maggiore realtà territoriale di Confindustria forte di 5.700 imprese per un totale di 320mila addetti. “Nasce così qualcosa d’importante”, ha commentato lo stesso Rocca. “C’è la voglia di essere leader, di uscire dalle secche e proiettarsi verso il futuro. I territori di Milano, Lodi, Monza e Brianza producono assieme il 54% del Pil della Lombardia e il 12% di quello italiano”. I traguardi che si prefigge il nuovo soggetto confindustriale milanese-brianzolo ci fanno intuire quale potrebbe essere il profilo di una Confindustria targata Rocca. Un’associazione che dovrebbe essere in grado di lanciare proposte e progetti di sviluppo da sottoporre alla politica e alla società civile. L’obiettivo: stimolare la crescita del Pil e dell’occupazione. E’ questo, infatti, il fil rouge di ‘Milano Città S.T.E.A.M.’ in cui il termine inglese ”steam”, cioè vapore, fa da sottotesto all’iniziativa con il significato di “spinta”. In pratica si tratta della scommessa di un’area metropolitana che fa leva sui propri tradizionali punti di forza dalla “S” di scienza alla “T” di tecnologia, dalla “E” di engineering alla “A” delle arti (comprese moda e design) e alla “M” di matematica. Più che un elenco un vero e proprio manifesto politico-economico che mette assieme il nuovo museo Prada e il Politecnico, la città delle startup e quella del manifatturiero, Pirelli e il quartiere di Porta Nuova i con grattacieli di Boeri e la sede dell’Unicredit disegnata da Pelli.
A prima vista l’idea di “Milano città Steam” sembra un po’ macchinosa. In realtà è tutto abbastanza semplice. Si tratta della cornice in cui si muovono 50 progetti a basso costo che hanno l’obiettivo di rilanciare l’area metropolitana. Come il “Codice italiano pagamenti responsabili” a cui hanno già aderito 216 aziende che garantiscono più di 81 miliardi di pagamenti regolari a 200mila fornitori; una pratica che, in collegamento con Confindustria, dovrebbe presto estendersi a livello nazionale. Oppure “Abc digital” che introduce 1.700 over 60 all’uso delle tecnologie digitali utilizzando come professori gli studenti delle scuole superiori e creando una rete che ha coinvolto il Provveditorato, la Regione e le imprese. O come il progetto Nexpo che per il dopo Expo prevede di convertire l’area in un Parco Tecnologico in grado di attrarre investimenti dall’Europa e da tutto il mondo, un’iniziativa che si integra con il campus scientifico proposto dall’Università Statale. Quanto ai vantaggi di “Milano città Steam” gli esperti di Assolombarda li quantificano fra i 13 e i 18 miliardi di valore aggiunto nell’arco di dieci con la creazione di 115 mila nuovi posti di lavoro. “La proposta che lanciamo ai soggetti pubblici e privati del nostro territorio”, ha spiegato Rocca, “è ambiziosa. Ma la sfida è alla nostra portata. Si tratta di creare una crescita aggiuntiva a Milano rispetto al tendenziale di circa l’1% all’anno previsto nel prossimo decennio”.
E non basta. Il presidente di Assolombarda osserva infatti che le cifre indicate potrebbero balzare a quota 160 mila per quanto riguarda gli occupati e a 17-24 miliardi di valore aggiunto qualora il progetto complessivo venisse ampliato al settore della medicina e delle Life Sciences. Un comparto dove già operano alcune eccellenze nazionale dallo Ieo, l’Istituto Europo di Oncologia guidato da Umberto Veronesi, al San Raffaele, dall’Istituto dei Tumori, al Monzino (cardiologia) e all’Humanitas di Rozzano che fa capo alla stessa famiglia Rocca. Insomma, una Confindustria a guida Rocca potrebbe essere immaginata come un grande ufficio di marketing territoriale e di project management che offra progetti e soluzioni al Paese. Quanto ai temi caldi del momento, dal ruolo di aziende e sindacati alle prese con un governo che non ne vuole sapere della concertazione, fino al rapporto stesso fra imprese e confederazioni sindacali Rocca appare sfuggente.
Eppure, anche in mancanza di posizioni forti, possiamo ricostruire lo stesso il punto di vista del presidente di Assolombarda. A cominciare dall’esperienza della Germania che per lui rimane un punto di riferimento. Un Paese che “ha fatto i due grandi compiti a casa”, racconta in un’intervista a Raffaella Polato sul Corriere della Sera, “che noi abbiamo bisogno di fare: moderazione salariale e flessibilità del mercato del lavoro. È così che ha recuperato produttività. E l’ha fatto con la collaborazione del sindacato.” Al contrario del sindacato italiano che, come altri pezzi del Paese, ha vissuto con l’illusione “che il debito pubblico potesse crescere all’infinito perché ci sarebbe sempre stato chi compra i nostri Bot”. Un aspetto singolare del pensiero di Rocca così come appare nel suo libro “Riaccendere i motori” (Marsilio), è il rapporto quasi viscerale con l’universo della fabbrica: “Sono un industriale e rivendico la bellezza che nel mondo dell’industria ancora c’è”. Una passione che si traduce nell’esaltazione dei settori “medium-tech”, un termine coniato da lui stesso e che raggruppa tutti i comparti basati “sull’innovazione incrementale che ambisce a migliorare i sistemi che già esistono, a renderli più efficienti, più veloci e più economici”. In realtà si tratta di un inno allo zoccolo duro della nostra manifattura: la produzione dei derivati della plastica, la raffinazione del petrolio, la nautica, la meccanica, la chimica, quindi l’automobile, il medicale, l’elettrotecnica e altri ancora. L’innamoramento per il medium- tech induce Rocca a diffidare dell’ubriacatura nei confronti dell’hi-tech: “Sembra che esistano unicamente il digitale e i bit e che il resto sia preistoria”.
Il motivo è presto detto: un modello basato sull’innovazione eccezionale si sposa troppo spesso con un aumento della diseguaglianza del reddito e con una riduzione della mobilità sociale. Lo conferma il caso americano dove negli ultimi 30 anni il reddito pro capite è cresciuto più che in tutti i gli altri Paesi sviluppati. Ma ciò è avvenuto in maniera poco omogenea: nel 1980 l’1% delle famiglie più ricche assorbiva il 9% del reddito nazionale contro il 23% di oggi. “Ancorarsi a un forte sostrato industriale”, argomenta Rocca, “è uno strumento, oltre che di crescita economica e di stabilizzazione rispetto al futuro, di equità sociale”. Poi aggiunge: “Nei Paesi con una forte manifattura i frutti della crescita economica sono meglio distribuiti e i redditi sono molto più simili”. Ancora una volta è la Germania a indicare la strada giusta che porta al futuro: “Facciamo cadere la grande muraglia tra le università e il mondo del lavoro, delle aziende, della produzione ‘intelligente’, e potremo puntare a livelli tedeschi”.
Giorgio Lonardi, Affari&Finanza – la Repubblica 22/6/2015