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 2015  giugno 20 Sabato calendario

ALONSO: «IL MIO VIAGGIO DI RITORNO»

Non suoni blasfemo (anche se in fondo la barba ce l’ha...): Fernando Alonso sta attraversando la sua personalissima via crucis. Ma lo fa con il sorriso sulle labbra. Ha avuto un incidente misterioso e nessuno gli ha creduto. Lo provocano riguardo alla sua ex squadra, la Ferrari, e qualunque risposta dia gli sputano addosso veleno. È stato capace di porgere l’altra guancia (seppur ben remunerato) e tornare dove tanti anni fa ci si era odiati in modo feroce. Naviga nelle retrovie, soffrendo come un cane, ma ha solo parole di incoraggiamento per il suo team.
Se è un attore, è degno dell’Actor’s Studio. Gli occhi e le parole, a mezzo metro di distanza, danno invece l’idea di chi ha intrapreso un lungo viaggio, che va molto oltre la F.1. Un percorso che mette insieme il desiderio scontato di conquistare un altro Mondiale, la volontà interiore per cancellare una stagione amara di tanti anni fa, l’umanissima sensazione di sentirsi un ragazzo come tanti, la necessità quasi fisica di essere amato, e infine – più importante di tutto – la voglia di restituire qualcosa. È un cambiamento. Sembra sincero. «Non penso di essere diverso come pilota e come uomo. Sono più maturo, più cosciente, un po’ più calmo. Meno duro di prima. Io sono timido: il successo, arrivato presto, mi faceva essere chiuso e diffidente. Ora conosco meglio la gente e vivo più rilassato».
In questi mesi ha raccontato dei suoi primi passi su un kart con i colori McLaren e non è sembrata una mossa di marketing, ma un sentimento sincero.
«Ricordo poco ma tutte le foto che ho, di quando ho cominciato, sono con quel kart, a 3 e 4 anni. Ho ancora da qualche parte la licenza per correre: adesso sarebbe fuorilegge, manderebbero in galera i miei genitori... Sono solo immagini sbiadite ma se sono un pilota è anche per la passione di mio padre cui piacevano le corse. Mi costruì una McLaren perché in quel momento vinceva tanto. Io ora sono in quel team, negli ultimi anni della mia carriera perché ho una certa età e non andrò avanti a lungo, ed è un bel segnale di ringraziamento alla mia famiglia».
Quanto è stato difficile tornare a Woking?
«È stata una scelta arrivata dopo molti pensieri, non facile da prendere perché avevo ancora due anni di contratto con la Ferrari e finire proprio in McLaren era una sfida rischiosa. La Honda ripartiva da zero, c’erano poche certezze. Ci ho messo mesi a decidere».
Cosa non funzionò in quel drammatico 2007 della spy-story, dei litigi e del titolo perso all’ultima gara?
«Erano stagioni di grande stress. Ora la F.1 è cambiata, c’è meno pressione mediatica. Arrivavo da due Mondiali conquistati a 26 anni e non hai l’esperienza o la maturità di quando sei adulto. La squadra era diversa da oggi, molto inglese e molto chiusa, avevano avuto enorme successo e seguivano la loro filosofia. O ti adattavi o niente, io non avevo le porte molto aperte per ascoltare. Questo fu il problema maggiore. Poi il tempo aiuta a superare certe fratture, anche grandi».
Cos’è cambiato in questi anni per lei nell’amicizia?
«Conta la sincerità. Quando frequenti i compagni di scuola non pensi a certi valori ma quando diventi un personaggio pubblico cercano di usarti in tanti, spesso mentendo. Fai selezione, vicino a te vuoi gente onesta e sincera».
Nell’amore?
«Sono stato sempre abbastanza riservato sulle mie storie sentimentali. Adesso, con i social network, condividi momenti intimi come in passato non avresti fatto. Non che adesso sveli tutto al mondo, ma prima ero più chiuso».
Con i soldi?
«Non fraintendetemi, ma non sono molto preoccupato dal denaro. Questi anni servono per avere un patrimonio per il futuro, ma non sto a controllare il conto in banca ogni minuto. Quando avrò finito di guidare penserò a come gestire le mie finanze per restituire ciò che non utilizzerò mai e metterlo a disposizione di gente cui serve. Ho qualche idea in mente e la porterò avanti».
Sta creando una “cantera” per piccoli piloti a Oviedo, la sua città. Le piace lavorare con i bambini? Si vede un giorno come padre?
«È bello vedere la speranza negli occhi di chi inizia a praticare uno sport, motori, tennis, calcio. Le auto da corsa mi hanno regalato una vita molto interessante, bella. Sono felice se posso restituire qualcosa. Diventare padre sarebbe normale considerato dove sono cresciuto, con genitori che sono sposati da 40 anni. Io per esigenze di lavoro e di vite finora non ne ho avuto la possibilità, ma è chiaro che voglio una famiglia e dei figli. Speriamo arrivi presto».
Cosa cerca nelle persone che la circondano?
«Che siano normali. Non mi piace chi vuole ostentare. Qui siamo in un GP un po’ difficile per me (l’intervista si è svolta a Monte Carlo, alla vigilia della corsa; ndr): in queste case c’è una concentrazione di gente con molto potere, ci sono gli yacht, gli elicotteri, gli aerei privati a Nizza, uno stile opposto a quello in cui sono cresciuto e in cui voglio spendere il resto della mia vita. Cerco di affrontarlo come un lavoro ma, come si dice in Spagna, passandoci in mezzo camminando sulle punte. Senza entrarci veramente, non voglio avvicinarmi a certi mondi».
Se potesse tornare indietro nel tempo cosa non rifarebbe?
«Farei tutto uguale. Grazie a certe cose ne sono accadute altre. Nella vita attraversi delle tempeste. Possono durare un giorno, una settimana, due anni. Quando ne esci trovi la ragione per cui hai passato quei momenti e dove ti hanno portato. Se vuoi evitare tutte le tempeste e cambiare il passato non ti formi come persona».
Quali momenti ricorda come i più belli vissuti da quando è in F.1?
«I due Mondiali, specie il secondo. Nel 2005 Michael (Schumacher) non aveva un’auto competitiva e, dopo 5 titoli a fila, sembrava l’avesse perso lui e non che l’avessi vinto io. Invece quello del 2006 ha avuto un valore molto grande. Come uomo ne ho vissuti tanti, attimi soprattutto di famiglia, quelli che piacciono a me: mia sorella ha avuto due bambine, sono diventato zio due volte, cose così».
Chi l’ha sorpresa e chi l’ha delusa dopo l’incidente nei test di Montmelò?
«In positivo tanti. Ho saputo che si sono interessate in modo sincero, e non voglio fare nomi, persone inattese, che non mi aspettavo lo facessero. Più in generale dall’Australia all’Africa al Sudamerica c’era la voglia di vedermi stare bene come persona e come pilota. Spesso dimentichi che sei apprezzato in tutto il mondo, a volte ti concentri su piccole polemiche o problemi minimi nel paddock e perdi di vista l’immagine più grande. Poi apri gli occhi e ti dici “sono fortunato”. In negativo l’attenzione mediatica enorme: è successo in Spagna, io spagnolo, nei primi test in un team nuovo con l’attenzione addosso. E con le tecnologie attuali tutto si moltiplica. Non è una delusione ma la
constatazione che il mondo è cambiato. Informazioni che non sono vere non si possono fermare. Prima esistevano 5 giornali e le notizie si verificavano, ora uno spara una balla, una voce, tutti lo riprendono e diventa impossibile. Ci sono 50 mila siti web, tutti copiano tutti e diventa difficilissimo far capire alla gente cosa c’è di vero».
Su Twitter di recente ha scritto: “La grandezza di un uomo si misura dai sogni che insegue”. I suoi quali sono?
«Era un messaggio ai tanti tifosi che mi scrivono, che sono preoccupati per i miei risultati o anche per la loro vita. Quelli mi chiedono un “in bocca al lupo” per l’esame di questo mercoledì, per le piccole prove da affrontare. L’ho scritto solo per ricordare alla gente che la felicità è uno stato che dobbiamo allenare, non è qualcosa che arriva dal cielo. Magari non stai facendo niente e sei felice oppure hai un grande successo e non lo sei. Lo stesso vale per i risultati: puoi avere 10 trofei in più in casa ma è una questione di ego, fisica, materiale. Forse ti senti molto meglio con un abbraccio di un tifoso qui in pista. Separare le due cose non è facile. E lo stesso vale con i sogni. Nel mio caso quello professionale è vincere un Mondiale con la McLaren-Honda. L’altro, molto difficile, è avere una famiglia, una stabilità nel mio mondo futuro. Perché da quando avevo 3 anni sto dietro a un volante e non so cosa significa una vita normale. Sarà un passo molto importante. Spero vada bene».
Ha girato pagina opponendo la ragione alle emozioni. «Sono stato in Ferrari cinque stagioni e sono arrivato secondo in tre Mondiali: non volevo diventare vicecampione una quarta volta», ha detto un po’ di tempo fa. «Se a Maranello, alla fine di questo 2015, vinceranno il titolo forse avrò un’opinione differente. Ma sono contento della decisione che ho preso. Ci sono stati campionati in cui partivamo molto bene ma conta essere davanti il mese di novembre e quando arrivava novembre non vincevamo mai. Io voglio vincere a novembre». Quando si è presentato a Woking ha voluto riunire tutti i dipendenti McLaren nella promenade che ospita le monoposto storiche della scuderia inglese e ha fatto un discorso molto semplice: «Sono tornato per finire quello che avevamo cominciato». Pare che in quella zona si rifugi spesso, gli occhi rapiti dalle vetture bianche e rosse che – spinte da un motore Honda – accompagnarono Ayrton Senna a vincere tre Mondiali. Gli stessi occhi di quel bambino con la maglietta gialla, lo sguardo fiero e un volante più grande di lui tra le mani. Comunque vada, il cerchio si è chiuso.