Sebastiano Vernazza, SportWeek 20/6/2015, 20 giugno 2015
CHE DISGRAZIA IL VARESE E I SUOI BOSS
Per capire la deriva del calcio italiano, bisogna guardare anche al glorioso Varese 1910 che in stagioni lontane, nel secolo scorso, conobbe la serie A. Quest’anno la squadra è retrocessa in Lega Pro e a preoccupare sono i conti: debiti consistenti, che potrebbero far saltare l’iscrizione al campionato. Però non è questo il punto. Il fatto è che gli ultimi tre proprietari del club hanno avuto (hanno) problemi con la giustizia. Il terzultimo,
Nicola Laurenza, titolare di una catena di “compro-oro“, è stato rinviato a giudizio: in un suo negozio è stata trovata merce rubata (lui non è coinvolto nel fatto in prima persona ma come responsabile dell’azienda). Il penultimo, il pittoresco avvocato Pierpaolo Cassarà noto per le “performance“ nelle conferenze stampa, è stato radiato dal suo ordine e condannato per falso ideologico. L’ultimo, il libanese Alì Zeaiter, imprenditore nel ramo import-export, ha patteggiato per compravendita di auto con assegni falsi ed è in affidamento ai servizi sociali. In verità ci sarebbe da ridire pure sul quartultimo, Antonio Rosati, arrestato per frode fiscale (quando però non era più al Varese) nell’autunno 2014. L’ultimo presidente all’altezza è stato Pietro Maroso, scomparso quasi un anno fa e fratello di Virgilio terzino del Grande Torino. Altra storia, altro spessore, al punto che dispiace citare una persona come Maroso in un contesto del genere. O forse qui si annida il nocciolo: troppa gente si butta nel calcio per trarne vantaggi economici e/o visibilità. Il calcio andrebbe affidato a chi lo ama di un amore disinteressato, ma, ne siamo consci, questa è un’utopia.