Francesco Semprini, La Stampa 21/6/2015, 21 giugno 2015
NEW YORK DICE ADDIO AL CALZOLAIO DELL’EMPIRE
È lì da quasi un secolo, monumento solenne a quella imprenditorialità artigianale ormai in via di estinzione, specie nella Grande Mela. E ha anche una connotazione italiana. «Louis Shoe Rebuilder», il calzolaio dell’Empire State Building, è un’icona. Aveva aperto la sua prima bottega dove oggi si trova l’Empire nel 1921, dieci anni prima che il grattacielo fosse costruito. In un certo senso l’Empire fu realizzato intorno a Louis e la sua calzoleria, tanto che la bottega al piano terra del grattacielo è diventata un punto di riferimento e un passaggio obbligato per i colletti bianchi che lavorano lì, oltre che un supplemento di attrazione per i turisti.
Oggi, 94 anni dopo, «Louis Shoe Rebuilders» si deve congedare dalla sua sede storica, dove molto è rimasto come era nel primo dopoguerra. Come alcuni macchinari di precisione, o la cassa per i soldi. «Nulla è cambiato», racconta con tristezza Julio Gavis, uno dei «maestri calzolai» che lavorano nella bottega. Eppure qualcosa cambierà per loro di qui a poco: «Empire State Real Trust», gestore del grattacielo, ha quasi quadruplicato l’affitto al calzolaio, da 7 mila a 25 mila dollari, «una follia», spiega Beatrice Barbieri, attuale titolare dell’attività. L’aumento è legato alla prossima ristrutturazione di una parte dell’edificio, che costerà 550 milioni di dollari. Barbieri, di origini italiane, tuttavia non la pensa così: «È irrispettoso - dice -. Stanno facendo questo per creare un unico grande spazio, a loro non piace avere piccole attività».
LA GARA DI SOLIDARIETÀ
Cosa ne sarà della bottega di Louis e degli altri «maestri» che vi lavorano non è chiaro, trovare uno spazio in zona è difficile. A sostegno di «Louis Shoe Rebuilders» è scattata una gara di solidarietà con «flash mob», petizioni e mostre di artisti come Penny Arcade, il quale dice: «Che coraggio certa gente, quanto guadagna uno che ripara scarpe?». O come il funerale simbolico organizzato dal blog «Vanishing New York», che raccoglie sempre più consensi su Twitter con l’hashtag #SaveNYC. «Questa è una di quelle attività fatta di uomini e donne che hanno resistito persino alla Grande depressione – dice Lee Greenfeld, uno degli organizzatori –. Ed ora proprio a loro vogliono fare le scarpe».
Francesco Semprini, La Stampa 21/6/2015