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 2015  giugno 21 Domenica calendario

TALENTO E SENSO DELL’UMORISMO COSÌ PLATINI SI È PRESO IL MONDO

«Vuoi fargli piacere? Portagli un salame». Il suggerimento di un amico in comune che conosce la sua predilezione per i prodotti italiani, salame e mozzarella su tutti. Uno strolghino di Spigaroli profumava il suo ufficio di Nyon. Michel lo fissava con lo sguardo divertito e passionale che un tempo riservava al pallone, quasi a dirgli: più tardi, a casa, io e te ce la spassiamo. «Perché io ho preso domicilio qui, non dirigo da lontano». Michel Platini, presidente dell’Uefa, tre volte Pallone d’oro (quando era una cosa seria, non la baracconata Blatter style), tre volte di seguito capocannoniere della serie A (1983-1985), oggi compie 60 anni. Ha vinto tutto da giocatore, gli è sfuggito il Mondiale. «Nel 1986 eravamo i più forti, ma io e Giresse arrivammo in Messico acciaccati».
Michel Platini è nato il 21 giugno 1955 da Aldo e Anna, scomparsa di recente, ha una moglie maestra di piano, Christèle, due figli, Laurent e Marine, e due nipoti. E con loro festeggerà, in famiglia, a Parigi, senza i coriandoli che sommergono le squadre dopo le premiazioni. Michel è un italiano di Joeuf, dipartimento Meurthe e Mosella, regione Lorena, e un francese di Agrate Conturbia, provincia di Novara, regione Piemonte, da cui partì il nonno, Francesco, muratore con la passione per lo sport, sviluppata negli uomini della famiglia: Laurent, avvocato, si occupa di calcio. Nella parte femminile prevale il Dna artistico: Marine è attrice.
L’intreccio tra sangue italiano e modo di vivere francese si evidenzia nel suo approccio sarcastico all’esistenza. Quando arrivò a Torino Giampiero Boniperti gli chiese di tagliarsi i capelli: «Ma se poi finisce come Sansone e Dalila e non sono più quello di prima?». Perfino il geometra più rigoroso del mondo ebbe un attimo di sbandamento. Giocatore, capitano dei Bleus, allenatore, organizzatore di Francia ’98, presidente dell’Uefa. Sempre così, una vita da Michel, in dribbling sugli avversari con i tacchetti, prima, e col gessato, poi. Il suo humour è a prova di scaramanzia. Racconta Tony Damascelli, amico e biografo, di quella volta che, un anno dopo il suo ritiro a 32 anni, volano in Inghilterra per una partita benefica a favore di John Charles tra Leeds e Liverpool. L’aereo privato a elica fa l’altalena nella tempesta. Michel sogghigna: «Pensa che sfiga. Se cade l’aereo muore il più grande giocatore del mondo e non puoi scrivere una riga». Al termine di quella partita, in cui fa tre assist a Ian Rush, allora alla Juventus, a chi gli fa notare che, a un anno dal ritiro, è tutto come sempre, risponde, biblico: «Chi sa, sa. Chi non sa, non saprà mai».
L’abbiamo incontrato l’ultima volta un anno fa, dopo la finale del Mondiale 2014, a Copacabana, davanti all’hotel che ospitava i notabili del calcio internazionale. Era contento. «Tre squadre europee hanno vinto le ultime tre edizioni della Coppa del Mondo». Il suo destino è la presidenza della Fifa, ma finora è stato abile a non bruciarsi. Non ha mai sbagliato un passaggio, figuriamoci se fallisce quelli a se stesso. Dopo 4 anni come c.t. della Francia, nel 1992 lascia la panchina sebbene lo abbia cercato anche il Real. Impara la politica come copresidente del comitato organizzatore del Mondiale 1998 che va alla Francia del suo erede Zizou Zidane. Per ora controlla la Fortezza Europa, rieletto per la terza volta. Aspetta che Blatter faccia il suo tempo, una volta o l’altra. Per la sua carriera ha riconosciuto l’importanza dell’Italia e di un italiano, Gianni Agnelli. «L’Avvocato mi ha dato fama, libertà, possibilità. Se non mi avesse voluto fortemente, non sarei andato alla Juve. E se non fossi andato, non sarei il Platini che sono e probabilmente non sarei all’Uefa». Da quando ha smesso di fumare, ha messo su «qualche» chilo, però ha sempre quel lampo negli occhi. Di chi sa. Perché chi non sa, non saprà mai.