Dario Di Vico, Corriere della Sera 21/6/2015, 21 giugno 2015
ILVA, TELECOM E MULTIUTILITY TUTTE LE DOMANDE A COSTAMAGNA
Siamo a poche ore dall’annunciato cambio alla testa della Cassa depositi e prestiti e fioccano gli interrogativi. Ovviamente da parte di chi è contrario all’operazione perché teme una virata neostatalista e di chi trova nei passaggi concreti che hanno portato alla sostituzione di Franco Bassanini con Claudio Costamagna i segni di un pasticcio procedurale. Ma anche chi è favorevole a un rafforzamento di una politica industriale a timbro pubblico, come l’economista Gianfranco Viesti, sostiene che «c’è un silenzio sulla mission della nuova Cdp che mi lascia basito». Prima di mettere mano agli organigrammi il governo avrebbe dovuto «esplicitare nuove linee guida». Dov’è, dunque, la discontinuità reclamata e voluta da Matteo Renzi e dai suoi consiglieri? C’è una corrente di pensiero che questa discontinuità la vuole netta perché vede una strutturale difficoltà dell’imprenditoria privata a metter mano a dossier che il Paese non può che considerare strategici e senza affrontare i quali il nostro peso specifico resta basso. I dossier prioritari sono Telecom, Ilva e l’aggregazione delle multiutilities. Ma il governo agirà direttamente in questa direzione rinverdendo la leggenda della primissima Iri targata Beneduce o la trama dell’intervento pubblico sarà più articolata? Con le poche notizie che filtrano non si può ancora dare una vera risposta, anche se emerge la possibilità che la Cdp di Costamagna si ritagli un ruolo di cabina di regia lasciando ad altri soggetti come il nuovo Fondo salva Imprese e il collaudato Fondo strategico italiano (e persino F2i) il compito di intervenire direttamente nelle aziende-target.
Prendiamo Ilva. Dovrebbe essere il Fondo salva Imprese a prendere in affitto il ramo d’azienda, condurre in porto la bonifica ambientale e poi varare il programma di investimenti necessari per rimettere in quadro lo stabilimento di Taranto ed evitare di chiuderlo (facendo la gioia dei concorrenti europei). In tutto per un itinerario di questo tipo servono circa 2 miliardi che non possono essere messi tutti in carico al Fondo, pena assorbirne quasi l’intera dotazione impedendogli di intervenire in altre aziende in crisi ma risanabili. E allontanando gli investitori privati.
Passiamo a Telecom e ai progetti sulla banda ultralarga. Il nuovo corso della Cdp dovrebbe far propendere la scelta verso una collaborazione tra pubblico (Metroweb) e privato (Telecom Spa) che dovrebbe vedere in una prima fase un apporto simmetrico di circa 5-700 milioni e successivamente il passaggio ai privati dell’intera proprietà della rete. Gli investimenti verrebbero finanziati in parte dalla nuova società e in parte dagli incentivi di Stato previsti per accelerare la modernizzazione dell’offerta di banda larga. Ma non è escluso che si possa optare per un ingresso diretto nel capitale di Telecom da parte dello Stato, l’ipotesi vedrebbe in campo il Fondo strategico (e non la Cdp) previa però una valutazione sul costo dell’operazione e aspettando comunque che Telecom abbia firmato un secondo bilancio in nero, come richiesto dallo statuto del Fondo. Che sarebbe chiamato in causa anche nel caso che Cdp volesse accelerare l’aggregazione delle ex municipalizzate del gas, dell’acqua e dei rifiuti.