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 2015  giugno 21 Domenica calendario

CHI CE L’HA IL CERTIFICATO DI MORTE DI BIN LADEN?

Spettabile Console, con la presente mi pregio di chiederLe di redigere e fornirmi il certificato di decesso di mio padre Osama bin Muhamad bin Awad bin Laden, nato a Riad il 10/3/1957 e mancato ad Abbottabad (Pakistan) il 2/5/2011…
Come un modulo dell’anagrafe. Neanche si trattasse di riscuotere una pensione. Quattro mesi dopo il famoso (e misterioso) blitz dei Navy Seals che avevano ammazzato e buttato in mare il terrorista più ricercato del mondo, quando il mondo cercava ancora di capire com’erano andate davvero le cose, uno dei figli d’Osama Bin Laden, Abdullah, si rivolgeva al consolato Usa in Arabia Saudita. Per inviare una busta all’antrace? Per vendicarsi con un pacco bomba?
No: per chiedere il certificato di morte del babbo. E ottenere dal console Glen Keiser, in gentile copia conforme, la risposta che «non è consuetudine emettere tale documentazione per persone decedute in un’operazione militare». Se proprio fosse servita una prova che lo sceicco dell’11 Settembre era morto, aggiungeva soave il console, forse sarebbe bastato leggere i giornali: «Alla luce del decesso», tutti i tribunali federali avevano sospeso i processi a carico di papà. «Caro signor Bin Laden, Le fornirò copia dei relativi documenti giudiziari. Spero che siano utili a Lei e alla Sua famiglia».
Cortesie per gli ostili. Ci sono anche queste, nei 500mila nuovi documenti che WikiLeaks sta pubblicando: email, cablo, messaggi riservati fra l’Arabia Saudita e gli Usa. Con le ansie della casa reale wahabita per i negoziati iraniani. Coi 10 miliardi di dollari che i Paesi del Golfo stavano per pagare ai Fratelli musulmani, pur di liberare Mubarak. Con la preoccupazione per una comitiva di studenti arabi che aveva visitato l’ambasciata israeliana a Washington «scattando foto». Con lo scoperto d’un milione e mezzo di franchi svizzeri per il noleggio d’una limousine, lasciato a Ginevra da una principessa saudita…
Un mondo parallelo e naturalmente ben diverso da quello dei comunicati ufficiali e dei vertici-show. Insegnava Durant che il buon diplomatico è uno che quando parla non dice nulla. Ma quando scrive, ci conferma WikiLeaks, dice anche troppo.