Antonio Castro, Libero 20/6/2015, 20 giugno 2015
LE SANZIONI RUSSE BRUCIANO 215MILA POSTI
Cento miliardi di euro. È questa l’ultima stima dei danni europei - in mancati scambi commerciali, calo del Pil e taglio di posti di lavoro - per le sanzioni che l’Ue ha imposto alla Russia oltre un anno fa per il conflitto in Crimea. Sanzioni prorogate di altri 6 mesi, che ora cominciano a pesare. In un momento in cui tutte le economie del Vecchio Continente dovrebbero racimolare ogni stilla di crescita, la mazzata della proroga della chiusura delle frontiere russe, comincia seriamente a preoccupare colossi come la Germania, la Francia e, ovviamente l’Italia. Il nostro Paese è forse quello che ha pagato di più - in termini di mancate vendite e sfumate occasioni di business - nell’immediato. Dopo 14 mesi di embargo europeo (e controembargo russo), si cominciano a tirare le somme. E visto il rinnovo di altri sei mesi del regime di chiusura commerciale, c’è da cominciare a preoccuparsi. Se a livello di Unione europea si stimano danni per oltre 100 miliardi (dati Wifo, Istituto austriaco per la ricerca economica), i singoli Paesi stanno pagando un prezzo salatissimo: la Germania finora ci ha rimesso 11,4 miliardi (l’equivalente di 175mila posti di lavoro), ma nel lungi termine potrebbe costargli oltre 27,6 miliardi la serrata (e 465mila posti persi). L’Italia non se la passa benissimo: l’impatto sull’occupazione - nostro particolare tallone d’Achille - è pari ad un cittadina di 80mila abitanti. I 14 mesi di sanzioni ci sono costati la perdita di 80mila posti di lavoro: è come se una cittadina come Varese o Caserta scomparisse nel volgere di un anno. Da Bruxelles minimizzano. Altro 100 miliardi, affermano fonti della Commissione, ma “solo” 34 miliardi - lo 0,25% di Pil europeo. Ma le cose potrebbero andare anche peggio. Gli analisti del Wifo hanno proiettato scenari a breve e lungo termine, prendendo a riferimento i devastanti dati delle esportazioni del primo trimestre 2015. Ebbene, lo scenario a lungo termine ipotizza per noi la perdita di una potenziale ricchezza pari a 11,140 miliardi. E che possano sfumare ben 215mila occasioni di lavoro. Ieri Vladimir Putin - al Forum internazionale di San Pietroburgo - lo ha fatto capire chiaramente. È vero che la Russia sta pagando un prezzo altissimo (si stimano 40 miliardi di perdita da parte russa), ma altrettanto vero che Mosca ha adoperato questi mesi di guerra commerciale per definire e consolidare i rapporti con il “grande amico” cinese. Una tessitura paziente e delicata, che pare dare ottimi frutti, almeno per Mosca e Pechino. Non a caso ieri nella città costruita su una palude dal visionario Zar Alessandro il Grande, c’era anche il primo vice premier della Repubblica popolare Zhang Gaoli e il ministro degli Esteri, Wang Yi. Putin e Gaoli hanno candidamente ammesso di voler «diversificare» i rapporti commerciali e potenziare il volume annuo del loro interscambio commerciale fino a 200 miliardi di dollari. «La Cina è il nostro partner commerciale numero uno», ha scandito il presidente russo. Una puntualizzazione che brucia soprattutto mentre l’Europa fa di conto e si lecca le ferite per il crollo degli affari. Voler cambiare “fornitori” (oggi l’interscambio con Russia-Cina è pari a 85 miliardi di dollari), da necessità si è trasformata in occasione per i russi. Le immense steppe caucasiche e siberiane sono zeppe di petrolio, gas, minerali preziosi. La Cina ha fame di energia. Ed è disposta a fornire all’orso russo tutto quello che desidera. Peccato che le imprese italiane, spagnole, francesi, anche tedesche non possano permettersi un congelamento infinito degli scambi. Anche perché, oltre a perdere oggi gli affari si rischia - in prospettiva - di regalare ad altri rapporti commerciali preziosi. Sta già accadendo. Imprenditori senza scrupoli - denuncia inascoltata la Coldiretti - stanno invadendo il mercato russo con prodotti dal sound italiano (dal salame Italia alla mozzarella “Casa Italia”, dall’insalata “Buona Italia” alla Robiola Unagrande, ma anche la mortadella Milano o il parmesan Pirpacchi), rigorosamente realizzati in Russia. La Russia - da tempi degli Zar - ha sempre sognato di mettere i piedi nel Mediterraneo. E oggi il combinato disposto: “sanzioni e crisi greca” rischia di offrire quest’occasione su un vassoio d’argento. Ma c’è di più. Ieri il Cremlino ha diffuso una nota che dovrebbe mettere in allarme le cancellerie di tutta Europa (proprio alla vigilia dell’incontro decisivo sul default ellenico). Dopo il bilaterale tra Putin e Tsipras (ha spiegato il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov), i due «hanno deciso che gruppi di lavoro si riuniranno nel prossimo futuro per discutere nel dettaglio la questione delle forniture di prodotti agricoli senza violare le sanzioni» dell’Ue contro la Russia, e le «contro-sanzioni» russe, con l’obiettivo di «sostenere i produttori agricoli greci in questa difficile situazione». Resta solo da decidere chi è veramente embargato ora...