Francesca Caferri, la Repubblica 21/6/2015, 21 giugno 2015
ANCHE GLI ARABI RIDONO
Il primo ad apparire è il bravo presentatore, come in ogni varietà che si rispetti: «Benvenuti, cari spettatori, ad un nuovo episodio del nostro programma Chi vuole ucciderne un milione? Nell’ultima puntata abbiamo avuto ospite Hosni Mubarak, che ha fatto tremila vittime. Prima c’era stato Muammar Gheddafi, con ventimila morti. Oggi vi presentiamo un nuovo concorrente e ci aspettiamo che riesca ad uccidere un milione di persone: ecco a voi, dalla Siria, Bashar al-Assad!!». Inizia così una delle puntate più viste di Top Goon. I diari di un piccolo dittatore , show di marionette creato dal collettivo di artisti siriani Masasit Mati che per due anni ha raccontato su Youtube e Facebook l’evoluzione in chiave comico—satirica della rivoluzione siriana. Nata dall’idea di nove ragazzi che hanno scelto le marionette «perché erano facili da far passare ai posti di blocco», Top Goon è stata una delle voci della Siria libera, quella che aspirava a liberarsi di Bashar e guardava con preoccupazione alla crescita delle frange più estreme nella rivolta: «Fate attenzione quando combattete i mostri, perché potreste trasformarvi in uno di loro», concludeva, citando Nietzsche, uno degli ultimi episodi. Oggi che Top Goon è stato sospeso, la parte da protagonista la fa Daya al Taseh, una serie creata da un piccolo gruppo di artisti e filmaker fuggiti in Turchia per scappare dalla doppia minaccia del regime e dello Stato islamico: in uno degli episodi più famosi, il califfo dell’Is, Abu Bakr al-Baghdadi, beve alcool di nascosto dai suoi uomini.
Insomma, potranno non trovare particolarmente divertenti le caricature e le vignette stile Charlie Hebdo, ma anche gli arabi ridono. E parecchio. Lontani dagli occhi occidentali (e anche a causa della barriera linguistica) si prendono gioco di tutto: dittatori di turno, estremisti religiosi, sesso, democrazia (o mancanza di), guerra, morte. «L’umorismo in queste zone del mondo risale a tempi antichissimi e sfida lo stereotipo dell’arabo truce che brandisce una scimitarra o, più recentemente, un kalashnikov — conferma Paolo Branca, autore de Il sorriso della mezzaluna — Con le Primavere arabe poi, questa tendenza storica non ha fatto altro che aumentare».
Gli esempi non mancano: si va da Dawlat al—Khurafa ( Lo stato fittizio ), serie tv prodotta dalla tv di stato irachena Al Iraqiyya per prendere in giro l’Is; a No Woman no Drive , il video che ironizza sul divieto di guida imposto dall’Arabia Saudita alle donne sulle note di Bob Marley: messo in rete lo scorso anno, in coincidenza con la ripresa della campagna pro-guida, ha ottenuto tredici milioni di click. C’è poi il successo di comici come Maz Jobrani, statunitense di origine iraniana, che da anni fa ridere l’America puntando su temi come il nucleare. E di Tima Shomali, “la Tina Fey del mondo arabo”: 70mila followers su Twitter e oltre 270mila like su Facebook, fanno dell’attrice giordana e del suo Fe-MaleShow una delle realtà più famose della risata arab-style, incentrata su battute e sketch che prendono di mira i conservatori. «Parliamo e ridiamo di tutto — sorride Khalid Albaih, sudanese, vignettista, tra i simboli della Primavera araba — il punto è come : puoi criticare o prendere in giro ciò che vuoi, ma devi sempre riflettere sul come. Se disegni una donna nuda per attaccare i conservatori, si parlerà del corpo di quella donna e non dei diritti negati alle donne».
Non è un caso che siano i social media, privi di filtri per definizione, la culla delle voci più trasgressive: qui impazzano personaggi come Omar Hossein, 26nne star di Youtube in Arabia Saudita, che in tre anni di web-show ha catturato l’attenzione di milioni di persone prima di arrendersi alle pressioni e chiudere il programma. O i quattro trentenni che stanno dietro a Sheno Ya3ni, altra serie trasmessa via internet dal Kuwait che non si ferma neanche davanti a tabù come l’omosessualità.
Personaggi famosi, ma anche molto scomodi. Quanto rischiano lo racconta la storia di Ali Ferzat: il più famoso vignettista siriano, sessantatré anni, nel 2011 è stato rapito in pieno centro a Damasco. Venne poi rilasciato con le dita spezzate: autore dell’attacco, un gruppo di uomini che mentre lo picchiava gli rinfacciava i disegni in cui criticava il presidente. Molti avrebbero posato la matita: Ferzat non lo ha fatto e dopo la fuga è tornato a raccontare la Siria in disegni amari e commoventi. «In arabo c’è un proverbio che recita: “peggio va, più non ci resta che ridere”» continua Albaih. «Il boom della satira negli ultimi anni è un segnale chiaro: dice che i governi non affrontano i problemi. E a noi giovani non resta che scherzarci su: con amarezza».
Come da anni fanno gli abitanti di Kafranbel: questo piccolo villaggio nel nord della Siria ha acquisito notorietà per i cartelloni in cui, in stile hollywoodiano, prende in giro i protagonisti della guerra civile. Negli striscioni, diffusi in tutto il mondo grazie a un sapiente uso dei social media, Is e Bashar appaiono come due teste dello stesso mostro. E per Thanksgiving il presidente divide la tavola con l’iraniano Khamenei, il russo Putin e l’americano Obama per cibarsi, invece che del consueto tacchino, di un bimbo siriano. La mente che sta dietro alla «rivolta creativa» di Kafranbel si chiama Raed Fares: un uomo minacciato dal governo e sfuggito per miracolo a un attentato degli estremisti di Al Nusra, (il ramo siriano di Al Qaeda) che gli hanno sparato alla testa.
«Chi lavora dall’interno di questi paesi è eroico — commenta da Londra Karl Sharro, architetto-umorista libanese cresciuto nel mito di Woody Allen e creatore del blog
Karlremarks.com , miniera di barzellette, freddure e strisce sulla politica e la società mediorientale — Certo: la satira non è un’arma vera, non ferma i dittatori o i terroristi. Ma è un modo per togliere spessore e autorevolezza a chi pretende di parlare in nome di tutti». Un mezzo importante e, allo stesso tempo, molto fastidioso. Syria Speaks , un libro da poco pubblicato dalla casa editrice libanese Saqi, lo racconta molto bene: è un’antologia della “resistenza creativa” siriana, con un’ampia parte dedicata a chi a resistere si è impegnato con il sorriso. Vignettisti, autori di poster e spettacoli satirici che si sono opposti a Bashar e agli estremisti, a volte al costo della vita.
Egiziano, Bassem Youssef ha una storia simile. Il più famoso comico del Paese, nel suo show tv aveva preso in giro sia il potere del presidente Hosni Mubarak che quello dei Fratelli musulmani: da qualche mese ha salutato il suo pubblico e si è trasferito in America, non sopportando più le minacce che gli arrivavano da gruppi vicini al nuovo presidente Abdel Fatah al-Sisi. Ma non ha affatto smesso di lottare: il documentario che sta girando, dal titolo provocatorio di Tickling Giants (qualcosa come “Fare il solletico ai giganti”) uscirà l’anno prossimo. E promette di fare molto rumore. E forse anche un po’ ridere.
Francesca Caferri, la Repubblica 21/6/2015