varie 21/6/2015, 21 giugno 2015
DUE ARTICOLI SUL TOUR DI TIZIANO FERRO DAI GIORNALI DEL 21/6/2015
SIMONA ORLANDO, IL MESSAGGERO -
Debutto col botto ieri sera a Torino. Tiziano Ferro schizza a venti metri d’altezza, atterra in volo su Xdono e sui 35.000 presenti, in smoking d’occasione, primo di sette cambi d’abito. Parte con un tour massacrante di otto date negli stadi, in arrivo all’Olimpico di Roma il 26 e 27 giugno, dove in 90.000 sono pronti ad accoglierlo. E’ una maratona di acrobazie, fisiche e vocali. Su Le cose che non dici cammina tra evoluzioni e capriole, sostenuto da un gancio. La scenografia è impressionante, diciannove schermi, torri che mandano video di scene urbane, ingranaggi, ballerini hip hop, palazzi che rotolano. Racconta prima di andare in scena: «Mi preparo da un anno. Mesi di prove con il coreografo, prove di volo in Belgio, dove ho pure avuto un piccolo incidente alla testa. Tanti esercizi vocali, come mai prima». Canta per due ore e mezza senza pausa (e senza stecche) e la scaletta è killer, basata sulla raccolta TZN, un cofanetto della memoria con tutti i singoli e inediti pensati proprio in vista di questo viaggio live, incluso Lo Stadio (in origine scritta per Jovanotti) e il suo coro premeditato. Il trittico iniziale Xdono, La differenza fra me e te e Sere nere esalta il pubblico, seguono il bel testo fossatiano Indietro, chitarra acustica e piano di E fuori è buio fanno alzare una foresta digitale di telefonini, come Il regalo più grande. Prima di dedicare Scivoli di nuovo, Ferro saluta il Papa, oggi in città: «Mi piace respirare la sua stessa aria. Spero che questo signore sia davvero il cambiamento. Per chi soffre perché agisce per amore, dico basta». Deciso e velato il suo riferimento alla lotta per i diritti omosessuali. Il laser mapping trasforma Ferro in una tela su cui si proiettano disegni e raggi, su Stop dimentica finisce in una gabbia virtuale, Olimpiade è il pretesto per uno spogliarello in controluce e per un omaggio ai passi di Michael Jackson in Smooth Criminal. Riparte il diario degli anni zero con lo strike di Ed ero contentissimo, L’amore è una cosa semplice, Ti scatterò una foto, Ti voglio bene. Tempo di ballare con E Raffaella è mia e Rosso relativo, e di crollare su La fine. Su Non me lo so spiegare un ponte mobile lo eleva a tre metri sulla gente e quel ritornello scioglilingua, a infilarlo nell’ordine esatto, dà una gran soddisfazione.
Ferro ha un pathos più autentico e meno furbetto di quello che serve il banchetto della musica leggera, non solo italiana. Le rime non sono obbligatorie e tentano la fuga dalla scontatezza e quando sono prevedibili è perché erano necessarie e quando sono incomprensibili spesso gli vengono perdonate. Perché è uno che si espone e non sembra separare la persona dall’artista. Per lui quel che è stato è stato d’animo. E’ sempre un po’ inadatto al clamore, sempre lì a misurarsi con i suoi tormenti, quelli passati e quelli che minacciano di tornare dopo le giornate di sole. Per successo e trasversalità è la migliore carta nazionale scoperta nel gioco discografico dell’ultimo decennio (che a dir la verità non ha offerto granché). E’ riuscito a mettere d’accordo critica e pubblico, raggiunge i più piccoli con semplicità, acronimi e ortografia adolescenziale (TVM, Xdono, Xverso) e gli adulti che si sentono come lui Alla sua età.
LA BAND
Ed è il segreto nascosto, la debolezza inconfessabile di molti amanti del rock, che si stupirebbero a vedere quanto macina questa sua band: «I miei musicisti vi faranno rimanere male per quanto sono bravi», si vanta. Ha reclutato Tim Stewart, chitarrista di Pink e Lady Gaga, Aaron Spears, batterista di Usher e Reggie Hamilton al basso. Più strumenti e meno elettronica, la voce resta centrale nonostante le distrazioni. E’ più sciolto rispetto al primo stadio romano nel 2009: «Stavolta ho uno show all’altezza. Lo stadio era dei rocker e degli stranieri, ora tocca a noi». Tocca a lui. Sorprende perché, a guardarlo, non ha nulla di sorprendente, finché non canta. Nè un look ricercato, né bello e dannato né melodico e banale, lo straordinario che esce da un ragazzo ordinario. Il finale è sulla luminosa Incanto, sigillata dal selfie con pubblico. La differenza, fra lui e gli altri del pop, c’è.
Simona Orlando
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MARIO LUZZATTO FEGIZ, CORRIERE DELLA SERA –
Stadio Olimpico. Ultimi bagliori di un sole che non vuol saperne di tramontare. Tuonano i megawatt sulle note di «Xdono» e appare, circondato da un’esplosione di oggetti volanti alla Zabriskie Point , Tiziano Ferro sospeso in aria.
Sì, nel corso di lunghe sedute in una scuola acrobatica belga, l’artista (punto d’arrivo di un genere che oscilla fra pop e canzone d’autore) ha imparato a volare per la sua prima tournée negli stadi della sua folgorante carriera («il concerto all’Olimpico di Roma — dice Tiziano — non conta. Era solo una follia adolescenziale sull’onda del trionfo nei Palasport»).
Siamo di fronte a una band formidabile, con elementi sapientemente rubacchiati qua e la (da Zucchero a Pink), una voce baritonale scolpita da vocalizzi e timbriche inconsuete, ma soprattutto un contesto di tecnologia mai vista prima. C’è una interazione totale fra il corpo dell’artista e laser che mappano ogni suo gesto. Gli 850 metri quadri di schermi ad alta definizione si trasformano in edifici, laghi in fiamme. I 17 schermi centrali ambientano ogni canzone fra paesaggi urbani e coreografie, i 2 laterali moltiplicano l’artista e lo rendono sempre visibile (elegantissimo negli smoking neri o rossi). Il volo si ripete più volte nello spettacolo ogni volta con una variante. Durante «Non me lo so spiegare» attraversa un ponte mobile e percorre una lunga passerella sulla folla.
«Da mesi e mesi non penso ad altro — confessa l’artista —. Per anni ho guardato colleghi che affrontavano gli stadi, li ammiravo e li invidiavo. Poi ho capito che bastava volerlo, sollevare un po’ l’asticella delle proprie ambizioni. E, parlando di stadi, un giorno Jovanotti mi chiese di scrivergli una canzone dedicata al tema. Lui però non la sentiva sulle sue corde. E così ho deciso di utilizzarla io come sigla di questo tour. “Lo Stadio” racconta l’emozione di una grande platea dove non è possibile distinguere i buoni dai cattivi. Ma fotografa anche i complessi stati d’animo dell’artista on the road».
Gli effetti speciali non mettono in ombra, anzi esaltano, le qualità sonore dello show. «Ho messo su una band talmente brava che mi è stato difficile stare al passo con loro. Combinare poi il canto con le acrobazie e i voli mette a dura prova il mio fisico».
Inutile dire Ferro regala due ore di emozioni intense. Le intuizioni abbondano: «La vita è sempre bella perché la vita non riposa» («La tua vita non passerà»); «...grazie a chi sa sempre perdonare sulla porta alla mia età» («Alla mia età»). Dall’incontro con Fossati la straordinaria «Indietro» («L’ amore va veloce e tu stai indietro»). Tiziano Ferro recepisce il grande passato melodico e armonico della canzone italiana e lo stravolge seguendo percorsi complessi e capricciosi.
I tracciati di ogni canzone sono assolutamente imprevedibili e ciononostante entrano immediatamente sotto la pelle. In tutti i brani c’è almeno un passaggio che spacca il cuore grazie a un sapiente uso delle armonie. I percorsi musicali favoriti di Tiziano sono tre: quello modello montagne russe (cadute, risalite, impennate veloci, rallentamenti improvvisi) come «Ti scatterò una foto», quello ipnotico come «Ti voglio bene» o «Rosso relativo», e infine quello della grande enfasi armonico-melodico come «Xdono», «Sere nere», «Il regalo più grande». «La differenza fra te e me» resta un capolavoro. Altre canzoni della lunga maratona, «Il sole esiste per tutti», «E Raffaella è mia» omaggio all’icona del varietà televisivo, «L’amore è una cosa semplice», «Stop! Dimentica». La quantità di canzoni belle e orecchiabili è impressionante, vista la giovane età dell’artista.
Prossimi appuntamenti a Firenze, Roma, Bologna, Milano e Verona. «Ma quando questo show tornerà nei palasport non sarà la stessa cosa. Per cui non lasciatevelo sfuggire».
Mario Luzzatto fegiz