Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  giugno 20 Sabato calendario

ENTRA ANCHE TU NELLA GRANDE FAVOLA DI ASCOT

Arrivare ad Ascot, in un lungo «pomeriggio dorato», significa passare, come per Alice, dall’altra parte dello specchio. In un Paese delle meraviglie magari un po’ kitsch, per un occhio non assuefatto alla britannicità più spericolata. Ma travolgente, affascinante, contagioso. Dove non ti limiti a incontrare aristocratici in tight e cilindro appena usciti dai piani alti di Downtown Abbey, ladies in tacchi himalayani e cappelli architettonici, pannose dame di mezza età confezionate in abitini fluo, sicuramente una regina -  o meglio «The Queen» - oltre a numerosi guardiani in bombetta che ti indirizzano gentili. No, lì per cinque giorni, quanto dura la settimana di «horse races» più famosa al mondo (18 in totale da martedì a sabato), sei anche tu un personaggio della favola, visto che il «dress code» - il codice di abbigliamento delle Royal Enclosures, il recinto più esclusivo - è rigido e inappellabile. «Morning coat», «waistcoat» e «top hat», ovvero tight, panciotto e cilindro per i gentlemen, e poi cappello, gonna sotto il ginocchio e spalle coperte per le signore (anche se poi, okay, non è proprio sempre così).
Per entrare nel sancta sanctorum del sogno British, il più esclusivo fra gli eventi sportivi della «season mondana», dove non a caso Audrey Hepburn-Eliza Dolittle di «My Fair Lady» fa il suo debutto in società, occorre essere invitati da qualcuno che faccia fa parte del club da almeno quattro anni. I soci sono all’incirca 80 mila, ma non si palesano mai tutti insieme. Elisabetta II arriva in carrozza ogni giorno alle 14, sfilando felice e gloriosa sul campo di gara, fa un cenno o dice «hallo» a qualche privilegiato, poi si ritira nel box reale a godersi l’amato spettacolo (sono 22 i cavalli di sua proprietà che hanno vinto una gara ad Ascot). Non che il «popolo» - si fa per dire - fuori dal recinto reale se la passi male. Veste comunque eccentrico, si gode un flute di Pimm’s, scommette, consuma picnic nel verdissimo prato che fa da parcheggio, estraendo seggiole e tovagliette da capientissimi bagagliai (di Bentley, perché no, di Jaguar e Rolls-Royce). Affittare un gazebo a un soffio dal traguardo - a proposito: giovedì Frankie Dettori ha vinto la sua 50esima gara ad Ascot - costa 500 sterline (circa 700 euro), ma bisogna sganciarne 200 per il servizio. «Anche in tempi di crisi - ha scritto un esperto di corse e del luogo, Alistair Down - Ascot dà modo ai ricchi di esibire il loro benessere. Ma le cose sono cambiate. Oggi è l’occasione per molta gente normale di passare una giornata speciale. È diventato più moderno e meno anacronistico».
I responsabili della Longines, lo sponsor svizzero che ad Ascot segna letteralmente «il Tempo», spiegano che l’evento è in perfetta sintonia con il loro marchio, insieme «esclusivo e friendly»: The Royal Ascot, per chi non lo sapesse, nel 2011 ha festeggiato 300 anni di storia. Nel 1711 fu infatti la regina Anna, mentre cavalcava nei paraggi di Windsor, a scoprire quei 72 ettari di prati, «ideali perché i cavalli possano galoppare a tutta velocità», e a battezzare la prima edizione (ignoto il vincitore). Al 1768 risale - pare - il primo Royal Meeting, al 1813 il decreto del Parlamento che ne garantiva l’utilizzo esclusivo per le corse. Ancora oggi è Buckingham Palace che ne nomina l’amministratore: Elisabetta, del resto, non se ne è persa un’edizione dal 1952.
Il percorso, un miglio e poco più di erba Berkshire rasata a 10 centimetri, ha fama di essere durissimo per cavalli e fantini. È la Formula 1 dell’ippica. «Ascot è un garden party che comprende alcune gare», sosteneva Edoardo VI. La differenza è che fra i vialetti di quel mondo incantevole e stracolorato oggi non camminano solo i re, ma anche le Alici dello specchio accanto. Purché indossino un cappellino, ovviamente.
Stefano Semeraro, La Stampa 20/6/2015