Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 20/6/2015, 20 giugno 2015
LA MISSIONE E I PASTICCI
Dopo quasi un mese dai primi annunci di licenziamento a mezzo stampa, la sostituzione di Franco Bassanini con Claudio Costamagna alla presidenza della Cdp è cosa fatta. Le Fondazioni-azioniste della Cassa, che per almeno due settimane hanno ostacolato il ricambio al vertice denunciando strappi nella governance e oscure manovre sullo statuto della Cdp, hanno dato infatti il via libera solo dopo l’impegno scritto del Governo ad accontentarle sulle loro due vere esigenze prioritarie: i dividendi e i posti in consiglio.
Basta guardare la sintesi di questi impegni per capirlo: non modificare la missione della Cassa, non cambiare la gestione prudenziale del risparmio postale (o almeno della piccola quota che non finisce nel conto di cassa del Tesoro), ma soprattutto lasciare inalterato il flusso dei dividendi di spettanza per i prossimi esercizi. Non solo. Per avere l’Ok di Guzzetti, il Governo ha dovuto accettare la permanenza di Bassanini nel cda della Cassa come semplice consigliere, più l’allargamento del board a un nuovo membro formalmente «indipendente», ma sostanzialmente indicato dalle Fondazioni. Caso chiuso, dunque? Niente affatto. Perché al di la dei comunicati sull’uscita di Bassanini - a cui il Governo attribuisce ora la vera responsabilità dello scontro con le Fondazioni - il pasticcio-Cdp non sembra ancora risolto del tutto. Prima di chiudere il caso, infatti, il Premier dovrà trovare le parole giuste - ed essere molto convincente - per spiegare i motivi e l’urgenza di un simile terremoto al vertice dell’unico strumento operativo di politica industriale di cui dispone il Paese. Limitarsi a dire che serviva una scossa «per dare maggiore incisività ed efficacia all’azione della Cdp» è quanto meno insufficiente. Come appare debole, del resto, anche la rassicurazione fatta ieri sullo Statuto della Cdp: se da un lato è stato garantito alle Fondazioni che il perimetro operativo non sarà modificato per operazioni come l’ingresso in Telecom o nell’Ilva, dall’altro lato è lo stesso Palazzo Chigi a ricordare informalmente che anche con lo Statuto in vigore nulla vieta alla Cdp di intervenire finanziariamente in società private ma di valore strategico per il Paese. Chiusa una porta, insomma, rischia ora di spalancarsi una finestra.
Alla luce di quanto detto, è chiaro che per quanto mosso da buone intenzioni, il piano di riassetto della Cdp è stato gestito male e ha persino rischiato di finire peggio. Rispetto al piano iniziale che prevedeva la sostituzione contestuale del presidente Franco Bassanini (espresso dalle Fondazioni)?e dell’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, il Governo è riuscito ad ottenere per ora soltanto la presidenza per Claudio Costamagna, banchiere di grande valore ed esperienza internazionale, sia in campo finanziario che industriale: per la Cassa sarà importante, poiché rispetto a Bassanini l’ex banchiere di Goldman Sachs vanta un rapporto consolidato con gli investitori e i mercati internazionali.
Ma per sostituire Gorno, che ha respinto la richiesta di dimissioni volontarie in bianco aprendo un caso giuslavoristico di non facile soluzione, servirà invece altro tempo: prima di poter procedere alla nomina del candidato ufficiale Fabio Gallia, attuale ad della Bnl, Renzi, Padoan e il consigliere economico di Palazzo Chigi Andrea Guerra dovranno offrire al manager uscente un piano di indennizzo finanziario che non esponga il Governo al rischio di contestazioni legali da parte della Corte dei Conti, in particolare all’ipotesi di un danno erariale. Con le dimissioni volontarie, infatti, Gorno perderebbe il diritto all’indennizzo che avrebbe invece di diritto con un licenziamento che il Governo non sarebbe però in grado di giustificare né con il mercato né con la stessa Corte dei Conti. Persino l’ipotesi delle dimissioni in blocco dei 5 consiglieri del Mef, strada a cui si è pensato per far decadere l’intero cda e quindi chiudere la questione, non ha retto l’impatto con le regole: anche in questo caso, si rischiava il no della Corte dei Conti e il conseguente danno erariale. Ieri a Palazzo Chigi si ostentava ottimismo anche su questo fronte, prospettando non solo l’imminente separazione consensuale tra Gorno e la Cdp, ma anche la nomina di Gallia ad amministratore delegato. In realtà, con Gorno c’è per ora soltanto un accordo verbale, ma di scritto non c’è nulla. Per uscire dal tunnel, il Governo potrebbe anche offrire al manager un ruolo operativo in un’altra controllata pubblica, ma anche questa ipotesi, visto il discutibile trattamento riservatogli in questa vicenda, non sembra oggi molto percorribile. Senza contare che Gorno, artefice con Bassanini della trasformazione della Cdp da gigante addormentato a vero braccio operativo del governo nella politica industriale, ha subito la richiesta di dimissioni anticipate come una sfiducia personale dell’azionista, se non come una grave e ingiustificata forzatura delle regole. Pensare che le due parti possano ritrovare fiducia e serenità in un’altra azienda pubblica è molto difficile: tanto più perché è forte il dubbio che dietro al ribaltone ci siano ragioni diverse da quello note, come per esempio il rifiuto di Gorno ad alcune richieste giudicate rischiose, costose, fuori perimetro della Cassa o addirittura vietate: dall’ingresso in Telecom Italia o a quello nell’Ilva.
Da buon ex ufficiale dei Carabinieri, Gorno per ora tace e (in parte) obbedisce, ma è chiaro che la sua permanenza alla Cdp accanto al nuovo presidente Claudio Costamagna non è ipotizzabile se non per pochi giorni: con quale serenità, lunedì, Gorno potrà infatti tornare al lavoro? La soluzione del caso-Gorno è urgente non solo per garantire la piena operatività della Cdp, ma anche per il dovuto rispetto che si deve al manager uscente come a quello entrante. Ormai da un mese tutti sanno che l’attuale amministratore delegato della Bnl Fabio Gallia è in attesa di chiamata: non avendo mai smentito le indiscrezioni per la promessa di un’ascesa rapida al vertice Cdp, Gallia ha chiaramente compromesso le relazioni con il gruppo Bnp-Paribas, proprietario della Bnl. Quanto a lungo durerà la pazienza dei francesi prima di avviare loro stessi un avvicendamento in Bnl?
Oltre al pasticcio sulle strategie e sulla missione della Cassa, insomma, c’è anche un potenziale danno collaterale alle persone con cui si rischia di dover fare i conti. Ed è bene ricordare che per l’ascesa di Gallia al vertice della Cdp, il Governo dovrà comunque modificare lo Statuto della Cassa: un manager rinviato a giudicio (Trani accusa il banchiere di truffa sui derivati) non è infatti elegibile per l’incarico. Anche Gallia, come Costamagna, è un banchiere autorevole, apprezzato ed affidabile, ma ogni giorno di attesa in più per la sua nomina rischia di fornire munizioni a chi potrebbe contestare merito e procedura.
Per riassumere, fretta, errori e sottovalutazioni giuridiche hanno inficiato la credibilità e il successo di un piano di rilancio dell’attività della Cdp che il Governo avrebbe potuto concretizzare seguendo la regola d’oro che le cose prima si fanno e poi si dicono. O quanto meno, prima si spiegano bene agli interessati e poi si annunciano meglio al pubblico. Oggi, malgrado le dimissioni di Bassanini, a nessuno è chiaro veramente perchè il Governo si sia imbarcato in questa operazione e neppure quale ne sarà lo sbocco finale. Il doppio attacco alla missione della Cdp e ai suoi vertici doveva essere una sorta di blitz krieg e si è trasformato invece in una logorante guerra di trincea, dannosa sia per le persone sia per le istituzioni. Per onestà, c’è comunque da dire che anche le Fondazioni non escono meno danneggiate dal pasticcio che hanno contribuito a creare. Se è vero, come affermano, si aver saputo solo dai giornali che il Governo aveva l’intenzione di ribaltare la Cassa, allora avrebbero dovuto opporsi fino all’estremo se non lo ritenevano corretto o legittimo. Invece è stata scelta la linea del pugno duro in pubblico e del guanto di velluto in privato: sono bastate quattro garanzie sui dividendi e sui posti in consiglio per barattare Bassanini con Costamagna e la procedura con l’improvvisazione. Con buona pace del rispetto dei ruoli e delle istituzioni. Toccherà ora al Governo dimostrare con i fatti che tutto ciò era urgente e necessario per il Paese.
Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore 20/6/2015