Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 20/6/2015, 20 giugno 2015
GADDA-PARISE LETTERE TRA VICINI DI CASA E DI LIBRI
Lettere, cartoline, telegrammi. Destinate a compagni di studi e di prigionia; una sorella; un nipote quasi coetaneo; una traduttrice e ghost-writer, nonché squisita ospite estiva; scrittori a diversi gradi di stima reciproca e amicizia; critici di finissima esegesi; giovani letterati, complici e soccorrevoli. Si fa sempre più gremito lo scaffale che contiene gli epistolari di Carlo Emilio Gadda, via via apparsi da diversi editori in volumi distinti per destinatario, fin dagli anni Ottanta. Tanto materiale postale da far sognare un’edizione complessiva, magari ordinata cronologicamente essendo poi quella epistolografica la principale documentazione della biografia, per il resto riservata e anche misteriosa, del grande scrittore.
Dai diversi indirizzi di Milano, dagli alloggi della sua Grande Guerra (retrovie in Val Camonica, fronte in Friuli, prigionia in Germania), dalle sedi di lavoro (Argentina, Città del Vaticano, Belgio), da pensioni fiorentine e romane e finalmente dall’approdo del suo appartamento a Roma, Gadda ha tenuto contatti con un entourage non vasto e non sempre davvero empatico.
Domenico Scarpa ha ora curato l’edizione di quel che si è potuto reperire dell’epistolario fra Gadda e Goffredo Parise ( Se mi vede Cecchi, sono fritto... Corrispondenza e scritti 1962-1973, Adelphi, pagg. 346, euro 18) e con i suoi commenti, accurati e tanto esaurienti quanto discreti nel tono, mette in luce innanzitutto la qualità unica del rapporto che i due scrittori stabilirono. È stata un’amicizia alla pari, ma non certo per ragioni di età: dopo una prima conoscenza superficiale, la frequentazione divenne assidua nel 1961, quando Gadda aveva 68 anni e Parise 32. Né è il caso di parlare di ammirazione letteraria visto che i due colleghi, quando già erano amici, mostravano di non avere ancora letto l’uno le opere dell’altro.
Quello che possiamo dire è che Parise fu uno degli ultimi amici, e dei più distanziati in età, che Gadda acquisì. Dopo l’uscita di
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957) era diventato uno scrittore famoso; viveva a Roma, a Monte Mario,e cercava di onorare gli impegni editoriali presi nei decenni con Einaudi e Garzanti, dedicandosi a edizioni o riedizioni di suoi scritti inediti o dispersi ( tra cui La cognizione del dolore ). Parise voleva trasferirsi proprio nella zona di Gadda il quale, ingegnere edile con grande passione per la solidità dei muri e il funzionamento degli impianti, lo aiutò a trovare là un appartamento adatto. Quindi, da vicini di casa, i due non avevano molte ragioni per intrattenere un epistolario; infatti le lettere ora pubblicate, da cui Scarpa ha distillato ogni possibile indizio (biografico, ma soprattutto letterario e culturale), sono in realtà pochissime: risalgono al paio d’anni in cui Parise era tornato a vivere in Veneto. Ebbene, questa ventina di lettere, più quattro scritti di Parise su Gadda, più un dia-logo giornalistico fra i due, risultano sufficienti.
Scarpa correda ogni singolo testo di un commento che rintraccia circostanze e addentellati con le rispettive biografie e produzioni letterarie dei due amici. Grazie alla sua cura sbiadisce quel caleidoscopio di istantanee che compongono l’iconografia aneddotica (e francamente un po’ esausta) gaddiana: Parise che corre in auto e il passeggero Gadda che impugna il freno a mano; Parise che aizza Laura Betti a baciare l’inespugnabile ingegnere; eccetera. No, qui il punto è un altro e si precisa a mano a mano che Scarpa ricostruisce gli scambi fra i due. Prende un’importanza inaspettata soprattutto la donazione di Gadda a Parise delle opere di Darwin (che poi lo riterrà, con Freud, l’autore più importante mai letto). In primo piano, insomma, qui non sono bizze e bizzarrie quanto il cuore stesso dell’attività di scrittura, attività intesa, specialmente da Gadda, come un fatto innanzitutto gnoseologico: una forma di conoscenza. Testimonianze neanche troppo superficiali ne sono un titolo come La cognizione del dolore (di cui proprio in quei mesi Gadda approntava la prima edizione in volume) e le considerazioni filosofico-molisane del dottor Ingravallo, in apertura del Pasticciaccio . Ecco dunque che nel dialogo sul tema della “Fine della letteratura”, organizzato dal Corriere della Sera nel 1967, Gadda dice all’amico e collega Parise di «preconizzare lo scadimento e la fine del termine “letteratura”» («tra i pochi che aborrisco»), ma anche «la perdurante vita del fenomeno ». Vita che è evoluzione, varietà: non «monotona iterazione di tentativi insignificanti» o «addizione di termini eguali e noiosissimi anche se momentaneamente ignoti, come paracarri nella nebbia». Il neanche quarantenne e attivissimo Parise mostra invece di temere la stasi, molto più del suo stanco amico più che settantenne.
Seguendo la pista darwiniana Scarpa dà della vicenda letteraria (e velatamente autobiografica) di Gadda una rilettura illuminante. E quanto a quella biografica, ci consegna la ricostruzione di un’amicizia letteraria rara, fra due uomini di generazioni lontane e ciascuno lontano dalla media della propria. Che Gadda abbia intravisto in Parise tratti del proprio fratello, morto in guerra nel 1918, è un’ipotesi che Scarpa avanza con pudore, per concludere subito: «Dovunque sia il vero, Parise ha reso più tollerabile la vita di Gadda e ne ha avuto del bene; non c’è altro da dire». Da leggere e rileggere, invece, c’è molto.
Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 20/6/2015