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 2015  giugno 20 Sabato calendario

“I MIEI VIZI SENZA RIMORSI”

[Intervista a Gigi Proietti] –
«Quando scrivo mi piaccio di più, mi gestisco con più padronanza, nel senso che mi correggo, mi taglio, faccio a meno delle lungaggini verbali. Sì, perché parlando io sono sempre logorroico, mica che non lo so. E invece con la costruzione breve dei periodi, con una struttura di pochi vocaboli riesco a esprimere meglio un concetto. So bene che i suoni più sintetici sono meno fastidiosi, e capisco, pur non scordandomi d’essere un attore battitore libero, che quando evito di creare a braccio e mi metto a fare lo scrittore, riesco forse a farmi seguire di più da chi mi sente, da chi mi legge, magari parlando della Roma viziata di oggi o dei Sette vizi capitali, oggetto di un bel po’ di pensieri su un libro che sto progettando».
Gigi Proietti, un ex giovane cantante dalla voce ritmico-melodica-moderna, uno showman come non ce ne sono altri in Italia, un artista al top di cinquant’anni di strenua e popolare carriera di dicitore-mattatore-dissertatore, svela oggi un debole per la pratica privata e riflessiva della scrittura. «Dopo il mio primo libro autobiografico, “Tutto sommato qualcosa mi ricordo”, mi sono reso conto che le avventure dell’esistenza e la narrazione ad uso degli altri hanno bisogno di rapidi accostamenti, linguaggi veloci, stringatezza».
Ha in progetto un nuovo libro contenente scritti, testi, poesie in versi sciolti, e qualche sonetto romanesco. «Fino ad ora mi limitavo a leggere queste cose agli amici, ma adesso sono convinto a farne un volume-zibaldone, dove inserire ad esempio un brano di pensieri dedicati a una metropoli sociale e asociale, un pezzo già testato qualche volta col pubblico, e dove trattare una serie di riflessioni tutte mie sui Sette Vizi Capitali». Da non crederci: un artista ciclonico come Proietti confessa di regolarsi meglio coi testi che con gli sproloqui. E come farà il suo talentuoso umorismo furfantesco a soffermarsi sui dettami spirituali che mettono in guardia dai vizi?
«Guardi, io coi miei versi non ci vado tenero affatto – sostiene Gigi col suo ghigno – e il mini-poema che per ora si chiama “Strada” è dedicato espressamente alle prostitute oggetto d’una recente (non perseguita) idea di quartiere a luci rosse nel quartiere romano dell’Eur». Un cenno: “Strada,/ lunga strada/ che passa/ intorno al mondo,/ e lui resta, lì, fermo./ E, al principio/ un Municipio soltanto: l’Eur./ Saltando a piè pari/ parole di antico/ significato/ rinunci, se preferisci,/ a capire,/ ma resta lì, la strada,/ privata?/ Forse di senso,/ unico che va all’infinito./ E marciapiedi di sguardi traversi/ o traverse di strade più piccole/…Ed ora/ un bacio/ a voi tutte/ gentili e dolci “signore/ del sampietrino”/ un pensiero sano,/ ché altro non ho per voi:/ che/ il destino, il fato/ o qualche vostro Dio/ vi consenta di riuscire/ ancora a ridere/ di noi/ della nostra morale/ che su dai sette colli/ di mafia capitale/ piovigginando sale/ falsa e nebbiosa…”.
Ma l’idea di sconfinare in Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria e Superbia, come può essere venuta a un attore che dopo aver fatto in adolescenza il chierichetto è stato ed è Comico, Entertainer, Seratante, Crooner, Interprete Drammatico, Regista, Direttore Artistico e Maestro di culture profane?
«Metta che per me i Vizi sono un male oscuro. Che da quando ho smesso da piccolo di confessarmi mi sono ogni tanto chiesto se sono trasgressore o peccatore. Che certi peccati mi fanno sorridere, altri mi creano dubbi, altri ancora mi suscitano problemi nascosti. Metta che sono immune da sensi di colpa istigati da autorità religiose o istituzionali. E metta che i difetti spesso m’affascinano. Da dove cominciamo?».
Dall’Accidia.
«Beh, io sono caotico. Di tutto mi si potrà accusare meno che di essere pigro, accidioso. Io adoro la nevrosi. Però, a pensarci bene c’è la depressione, che è il frutto di una delusione, e io, sì, l’ho conosciuta: non ti dai pace, credi di non esserti spiegato, o di non aver capito. Ma adesso ho le spalle grosse…».
Voltiamo pagina. L’Avarizia.
«Sul piano civile la percepisco come la vittoria delle finanze sulla politica. Ci leggo l’accumulo delle banche internazionali, dei pescecani del capitalismo. Può essere un’illegalità. Poi se uno per risparmiare si priva del cibo, allora è scemo. Io non ho possedimenti, però ho un rapporto strano col denaro, forse per la paura di “aver rinunciato al posto fisso”. Ah, i compagni di lavoro, nel dopo-spettacolo, a cena, sono spesso miei ospiti. Può bastare?».
Passiamo alla Gola.
«Mi piace il vino, soprattutto la sera, insieme. Da un po’ ho fatto pace con dolci e caramelle. Sono di famiglia umbra, quindi ho un debole per la carne da cacciagione. Quanto ai super- alcolici ho ricordi da paura risalenti agli eccessi cui m’abbandonavo da cantante e suonatore di night a 20-21 anni. Di giorno da tempo il pranzo coincide con la colazione, perché m’alzo tardi».
Tocca all’Invidia.
«Alcuni vizi in genere provocano piacere. E invece l’invidia fa soffrire, e non infrangi alcuna norma. Ho sentito qualcosa, ma non ricordo bene cosa, quando Sting disse in pubblico d’aver fatto l’amore per nove ore. Artisticamente può succedere che ti roda, t’infastidisca il trionfo di un collega. Io non ho stizza se è bravo davvero, ma se non lo è m’incazzo, e lì però siamo nell’ira».
Ok, parliamo dell’Ira.
«Cosa rarissima, ma se capita non mi trattengo, vedo nero. Sempre da ventenne, al Pipistrello, un locale di Roma, quando a gentile richiesta mi fu domandato il pezzo “Una valigia piena di sogni” e un prepotente aggiunse “piena di m…” stavo per ammazzarlo, mi fermarono in tre-quattro, e fui licenziato (il cliente ha sempre ragione)».
Come la mettiamo con la Lussuria?
«Dai venti ai quarant’anni ho avuto un buon know how in materia di atti impuri (all’acqua di rosa, non bizzarri), frequentavo ambienti liberi. Nella maturità si fa quel che si può, ed è diventata una questione di sorrisi che ricambio con sorrisi».
Finiamo con la Superbia.
«Io credo di saper fare quello che faccio, sto più nell’amor proprio che nel narcisismo. Certo, quando la Bbc m’ha fatto i complimenti per il Globe Theatre a Roma... Io la superbia la paragono all’enfasi. Mia madre mi dette una lezione di anti-enfasi quando mi venne a trovare nel 1976 per “A me gli occhi, please” alla Tenda di Piazza Mancini, con duemila persone che alla fine urlavano, e io le chiesi “T’è piaciuto?”, sentendomi rispondere “Abbastanza”». «A proposito, chissà che col Giubileo io non ritiri fuori una mia scrittura sul mondo degli homeless, col protagonista che si chiama Giubileo…».
Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica 20/6/2015