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 2015  giugno 20 Sabato calendario

RENZI E DELRIO SEMPRE PIÙ DIVISI

Lo scalpo di Franco Bassanini è un affronto a Graziano Delrio, amico e sostenitore del presidente della Cassa depositi e prestiti. L’ultimo anello di una catena che ha reso assai precari i rapporti tra Delrio e Matteo Renzi, un amore politico che si è infranto sugli scogli del governare.
Delrio era il suo figlioccio politico, renziano quando in pochissimi erano disposti, tra i dirigenti Pd, a scommettere su Matteo Renzi. Lui invece scese apertamente in campo a fianco del sindaco di Firenze, gettando nello sconforto il piacentino Pier Luigi Bersani, che era segretario Pd, e il ravennate Vasco Errani, che era presidente della Regione Emilia-Romagna. Sì, perché Del Rio era sindaco di Reggio Emilia, roccaforte, ieri, del Pci e ora del Pd. Che proprio Delrio si convertisse al rottamatore suonò come tradimento.
Tra i due (Renzi e Delrio) c’era feeling: entrambi sindaci, senza un passato Pci, cattolici senza ostentazione, convinti che bisognasse costruire un partito liquido, all’americana, in grado di guidare l’Italia post-berlusconiana e post-tecnicistica verso un approdo moderno ed europeo. Quando Renzi è diventato primo ministro l’ha chiamato a fare il vice: «Ho salvato Matteo sul cellulare – disse- con il nome Mosè. Io sono il suo Ietro». Il cheek to cheek è durato 14 mesi. Poi il decisionismo ruvido di Renzi è entrato in rotta di collisione con la saggezza padana di Delrio.
La separazione consensuale è avvenuta con Delrio che ha fatto le valigie e da Palazzo Chigi si è trasferito in via del Lavoro, al ministero delle Infrastrutture.
Camere separate e percorsi diversi. Ma il gentlemen’s agreement è entrato in crisi anche per il nervosismo che ha attanagliato il presidente del consiglio a causa della perdita di consenso, non solo elettorale. Renzi si ritrova bloccato in parlamento dove la maggioranza è più teorica che reale, bloccato nel partito perché la sua strategia di partito della nazione è fallita e perde voti a sinistra senza conquistarne a destra, bloccato sulla riforma costituzionale perché sarà pure stata una genialata la soluzione della presidenza della repubblica ma col patto del Nazareno calpestato è fermo al palo. Così il nervosismo sale e se l’è presa perfino per essere stato battuto in tv proprio da Delrio: per lui, tanto attento all’immagine, è stata una doccia ghiacciata. Nello stesso giorno e nella stessa fascia oraria, Delrio ospite di Otto e mezzo su La7 ha calamitato 1,3 milioni di telespettatori (5,1%) mentre Renzi su Rete4, a Quinta Colonna, s’è fermato a 1,2 milioni (4,7%).
Niente in confronto alla battaglia per la Cassa depositi e prestiti, che ha in cassaforte 250 miliardi che fanno tanta gola a Renzi. Delrio ha, con circospezione, cercato di blindare l’attuale presidente, Bassanini, difensore dell’autonomia della Cassa e contrario a farla diventare una nuova Iri. Bassanini contraccambia, promettendo appoggio al piano delle infrastrutture: «Il finanziamento delle infrastrutture resta uno dei nostri core business; ma nelle attuali condizioni della finanza pubblica, sempre meno possiamo farlo finanziando le pubbliche amministrazioni e sempre di più occorre farlo tramite Project financing, dunque ricorrendo a capitali privati. Ma i privati investono, in un mondo globalizzato, dove ci sono le condizioni migliori. Occorre che l’intero Paese e la sua classe dirigente si rendano conto che tutto il quadro, normativo e non solo, deve cambiare per attrarre gli investimenti necessari per il rafforzamento e la modernizzazione della infrastrutture. Certo, pesa anche la morfologia del Paese, ma sulla debolezza dei progetti infrastrutturali e sull’eccesso di costi impropri si può e si deve intervenire; e si deve assicurare la stabilità e la certezza delle norme: gli investitori hanno diritto che non cambi in peggio il quadro normativo sulla cui base hanno valutato la sostenibilità del loro investimento».
Pro-Bassanini e a fianco di Delrio sono scesi in campo Romano Prodi (chiamò Bassanini a fare il ministro in un suo governo), Enrico Letta («è un errore da matita rossa quello che Renzi sta facendo sulla Cdp»), Giuliano Poletti (è Delrio che lo ha proposto come ministro), Giuseppe Guzzetti, presidente delle fondazioni bancarie che detengono il 18,5% della Cassa («sono per la riconferma di Bassanini»), la sinistra Pd (Linda Lanzillotta, esponente della minoranza interna, è la moglie di Bassanini). La partita è aperta e non è di poco conto perché le mani della politica sulla Cdp potrebbero trasformarla in un dispendioso carrozzone. Per questo Delrio & Co premono perché la governance della Cdp rimanga autonoma.
Renzi non ha ancora digerito questa entrata a gamba tesa sulla faccenda, che Delrio lo ha bombardato sulla delicata questione del sindaco di Roma, Ignazio Marino. Il segretario Pd ne ha chiesto, in pratica, le dimissioni, senza averne parlato col commissario che lui stesso aveva inviato a bonificare il Pd romano, Matteo Orfini, il quale gli ha risposto a muso duro: «Il partito democratico non ha assolutamente mollato Marino, è il sindaco che ha vinto le primarie e le elezioni e ha il dovere di governare questa città. Marino non resta o va via dal suo posto perché lo decide Orfini o Renzi, la sua fonte di legittimazione sono i cittadini che lo hanno votato ed eletto».
Tra i due litiganti Delrio, a sorpresa, si è schierato con Orfini: «Se fossi in Marino non farei il passo indietro. Non gli sto dicendo di stare tranquillo, ma di fare le sue valutazioni da solo, non sono d’accordo che gli si dica di andarsene. È una persona straordinariamente onesta, è stato il primo a fare certe denunce, ha incarnato la svolta, se deve andare a casa con le stimmate delle disonestà gli dico no, ascolti i romani e verifichi cosa pensano, loro lo hanno eletto, deve decidere da solo in base a questo». Non solo. C’è chi ha visto una punta di malizia verso Renzi anche in una breve dichiarazione rilasciata da Delrio a Torino per l’inaugurazione del cantiere per la copertura del passante ferroviario: «Faccio gli auguri a tutti i nuovi sindaci, Venezia compresa».
C’eravamo tanti amati. Nel governo, Delrio è comunque il numero due, con buona pace di Maria Elena Boschi. L’abolizione delle Province (pur tra i tanti problemi) è opera sua, così come il riordino di un ministero tanto complesso (e chiacchierato) come quello delle Infrastrutture. Sa ascoltare, mediare, raggiungere gli obiettivi senza fare troppo rumore ma con determinazione. Piace a destra e a sinistra. A papa Francesco (s’è recato in udienza con la moglie e i nove figli) e agli ex-Pci delle sezioni toste di Reggio Emilia. Diplomatico, è pronto a smentire gli screzi col presidente: «Freddezza con Renzi? Macché. Io e Matteo siamo come fratelli. Non c’è nessun tipo di problema, abbiamo cominciato assieme».
Insomma, Renzi staisereno. C’è già chi dice che potrebbe essere Delrio il prossimo presidente del consiglio.
Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 20/6/2015