Massimiliano Castellani, Avvenire 20/6/2015, 20 giugno 2015
PLATINI 60
«Il campo ci fa guerreggiare sul fuorigioco e sulla prova tv, ma ci evita altre guerre vere e serie». Non lo ha detto Winston Churchill, ma un sovrano del footbal, Michel Platini. Domani “Le Roi” compie 60 anni e a srotolare il film della sua vita, ne esce una trama in bianco e nero. Non solo per l’immaginifico lustro (1982-’87) passato alla Juventus, ma perché dietro a questo Napoleone del calcio si cela un personaggio che avrebbe fatto gola alla fantasia di Moliere.
A ben guardarla, la sua più che una faccia è una maschera della comédie française. Il comico, così come l’intrigo e il farsesco, sono un tridente contemplato nel cammino di un esempio di campione e di astutissimo politico prestato al Palazzo del pallone internazionale. Gli inizi sono stati da favola, la storia tenera del “brutto anatroccolo”, «mi chiamavano “Ratz” (il nano)». Gambine fragili su un corpo esile e un cuore matto di chi, a Joeuf - il paese natale - dribblava solitario le sedie del Cafè des Sports. Il bar sport aperto da nonno Francesco, muratore, “macaronì” emigrato da Agrate Conturbia (Novara). È da lì che arrivavano i Platini, senza l’accento sulla “ì”. Allergico alla scuola («l’occhio di un calciatore vale più di una laurea»), Michel è il figlio di Aldo, professore di matematica che nel tempo libero allenava il Nancy, il club dove è cominciata l’ascesa del “les petit roi”. Un talento tardivo, visto che a 17 anni il lungimirante medico sociale del Metz lo scartò per «insuf- ficienza cardiaca e respirazione debole». Ma Michel ma bellesi sarebbe vendicato della svista clamorosa quella domenica che trascinò il suo Saint Etienne alla punizione esemplare: Metz sotterrato da un memorabile 9-2. Maestro sui calcio da fermo, pari «al nano più forte del mondo, Maradona », in Francia segnava un gol ogni 180 minuti. La maglia n. “10”, perennemente fuori dai calzoncini, segno particolare inconfondibile, del fantasista razionale che si ispirava al pelide Cruijff, ma che venerava Pelè come «unico vero “Dio” del calcio. Tant’è che da bambino mi firmavo Pelèitini». Ma al grande club, la Juve, si presentò a 27 anni: «Messi a 13 anni era già al Barcellona, come è cambiato il mondo del pallone... », ha ripetuto spesso l’ex re sole alla corte dell’Avvocato (Agnelli). Un affare reciproco, per lui e per la Juve che l’Avvocato sintetizzò nel suo stile: «Abbiamo preso Platini per un pezzo di pane e lui ci ha messo il foie gras». Platini si sdebitò ampiamente, vincendo scudetti (2), tutte le competizioni europee (la prima Coppa dei Campioni nella notte tragica dell’Heysel) un mondiale per club e stabilendo un record insuperato persino dai fenomeni attuali Messi e Cristiano Ronaldo, tre Palloni d’Oro di fila (dall’83 all’85).
Uno lo regalò proprio all’Avvocato che di quel gesto di sublime generosità amava ricordare: «Quando Platini me ne fece dono gli chiesi: ma è davvero tutto d’oro? Lui mi guardò sorridendo: e secondo lei, se era tutto d’oro glielo regalavo?».
E qui forse finisce il “film bianco”. Il guascone e istrionico Michel che in campo sapeva anche piangere («di gioia per l’Europeo vinto con la Francia nell’84, ma anche di tristezza, a Siviglia, per la semifinale persa ai rigori con la Germania »), a 32 anni, una volta appesi gli scarpini al chiodo, ha dato il ciak al suo lungo “film nero”. Una parentesi da ct della Francia e dal 1998 nominato boss dei Mondiali francesi - ha iniziato la sua colonizzazione dalla stanza dei palloni. Platini dal 2007 è il monarca assoluto della Uefa e pur dichiarandosi «agli antipodi» dell’amico- nemico, l’ex imperatore della Fifa Sepp Blatter, controlla il calcio europeo con le stesse modalità del famelico svizzero. Come Blatter carezzava le testoline votanti delle federazioni d’Africa e Asia, così l’abile Michel si è guadagnato il consenso delle “minori” d’Europa (54 preferenze) con la promessa di un Europeo a 24 squadre, l’accesso ai preliminari di Champions a più club dell’Est e il proclama: «Una mutua fiducia con le federazioni, grazie alla quale si realizza la democrazia partecipativa. Questo è il marchio della mia gestione». Una gestione che predica francescanamente a un movimento europeo che «ha perdite per 1 miliardo e 400 milioni l’anno e questo non è ammissibile, specie mentre c’è una parte del mondo che muore di fame». Ma all’indomani, alla stessa platea adorante ricorda che «il calcio è un grandissimo business da 300 miliardi di euro di giro d’affari annuale, al 25° posto tra i Pil del mondo, una gallina dalle uova d’oro».
Lui che è stato un galletto di platino, conosce ed apprezza moltissimo il colore dei soldi. Invita tutti gli abitanti del pianeta football a una «maggiore sostenibilità economica», che però ritiene possibile solo attraverso la chimera del “fairplay finanziario”. Quello spendere non un centesimo in più dei propri ricavi, è il diktat che finora «sembrano aver capito solo i club italiani», disse qualche tempo fa Le Roi. Infatti i dirigenti del Paris Saint Germain hanno eluso ogni vincolo del fairplay finanziario, e come loro tutti quelli dei club legati agli sceicchi del Qatar e ai magnati russi. Il figlio di Platini, l’avvocato Laurent, lavora con la Qatar Sports Investments e questo getta ombre nerissime. Gli stessi dubbi e le accuse mosse a Blatter, in parte valgono anche per Platini che, con la Fifa, ha fatto la sua parte nelle discutibili assegnazioni dei Mondiali di Russia 2018 e Qatar 2022. «In campo giocavo all’attacco, da quando sono presidente della Uefa mi tocca difendere come mi chiedeva il Trap alla Juve». Così si disimpegna il geniale Michel che, a 60 anni, oggi più di ieri, ha un mondo, a forma di pallone, sempre più incollato ai suoi piedi.